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INCOMINCIA LA SECONDA GIORNATA, NELLA QUALE, SOTTO IL REGGIMENTO DI FILOMENA, SI RAGIONA DI CHI, DA DIVERSE COSE INFESTATO, SIA OLTRE ALLA SUA SPERANZA RIUSCITO A LIETO FINE.



[ INTRODUZIONE ]

Già per tutto aveva il sol recato colla sua luce il nuovo giorno e gli uccelli su per li verdi rami cantando piacevoli versi ne davano agli orecchi testimonianza, quando parimente tutte le donne e i tre giovani levatisi ne' giardini se ne entrarono, e le rugiadose erbe con lento passo scalpitando d'una parte in un'altra, belle ghirlande faccendosi, per lungo spazio diportando s'andarono. E sì come il trapassato giorno avean fatto, così fecero il presente: per lo fresco avendo mangiato, dopo alcun ballo s'andarono a riposare, e da quello appresso la nona levatisi, come alla loro reina piacque, nel fresco pratello venuti a lei dintorno si posero a sedere. Ella, la quale era formosa e di piacevole aspetto molto, della sua ghirlanda dello alloro coronata, alquanto stata e tutta la sua compagnia riguardata nel viso, a Neifile comandò che alle future novelle con una desse principio. La quale, senza scusa alcuna fare, così lieta cominciò a parlare.



NOVELLA PRIMA

Martellino, infingendosi attratto, sopra santo Arrigo fa vista di guarire e, conosciuto il suo inganno, è battuto e poi preso; e in pericol venuto d'essere impiccato per la gola, ultimamente scampa.

Spesse volte, carissime donne, avvenne che chi altrui sé di beffare ingegnò, e massimamente quelle cose che sono da reverire, s'è colle beffe e talvolta col danno di sé solo ritrovato. Il che, acciò che io al comandamento della reina ubidisca, e principio dea con una mia novella alla proposta, intendo di raccontarvi quello che prima sventuratamente e poi, fuori di tutto il suo pensiero, assai felicemente a un nostro cittadino avvenisse.

Era, non è ancora lungo tempo passato, un tedesco a Trivigi, chiamato Arrigo, il quale, povero uomo essendo, di portar pesi a prezzo serviva chi il richiedeva; e, con questo, uomo di santissima vita e di buona era tenuto da tutti. Per la qual cosa, o vero o non vero che si fosse, morendo egli, adivenne, secondo che i trivigiani affermano, che nell'ora della sua morte le campane della maggior chiesa di Trivigi tutte, senza essere da alcuno tirate, cominciarono a sonare. Il che in luogo di miracolo avendo, questo Arrigo esser santo dicevano tutti; e concorso tutto il popolo della città alla casa nella quale il suo corpo giaceva, quello a guisa d'un corpo santo nella chiesa maggiore ne portarono, menando quivi zoppi attratti e ciechi e altri di qualunque infermità o difetto impediti, quasi tutti dovessero dal toccamento di questo corpo divenir sani.

In tanto tumulto e discorrimento di popolo, avvenne che in Trivigi giunsero tre nostri cittadini, de' quali l'uno era chiamato Stecchi, l'altro Martellino e il terzo Marchese, uomini li quali, le corti de' signori visitando, di contraffarsi e con nuovi atti contraffacendo qualunque altro uomo li veditori sollazzavano. Li quali quivi non essendo stati giammai, veggendo correre ogni uomo, si maravigliarono, e udita la cagione per che ciò era, disiderosi divennero d'andare a vedere.

E poste le lor cose a uno albergo, disse Marchese: « Noi vogliamo andare a veder questo santo; ma io per me non veggio come noi vi ci possiam pervenire, per ciò che io ho inteso che la piazza è piena di tedeschi e d'altra gente armata, la quale il signor di questa terra, acciò che romor non si faccia, vi fa stare; e oltre a questo la chiesa, per quello che si dica, è sì piena di gente che quasi niuna persona più vi può entrare. »

Martellino allora, che di veder questa cosa disiderava, disse: « Per questo non rimanga; ché di pervenire infino al corpo santo troverrò io ben modo. »

Disse Marchese: « Come? »

Rispose Martellino: « Dicolti. Io mi contraffarò a guisa d'uno attratto, e tu dall'un lato e Stecchi dall'altro, come se io per me andar non potessi, mi verrete sostenendo, faccendo sembianti di volermi là menare acciò che questo santo mi guarisca; egli non sarà alcuno che veggendoci non ci faccia luogo, e lascici andare. »

A Marchese e a Stecchi piacque il modo; e, senza alcuno indugio usciti fuori dello albergo, tutti e tre in un solitario luogo venuti, Martellino si storse in guisa le mani, le dita e le braccia e le gambe, e oltre a questo la bocca e gli occhi e tutto il viso, che fiera cosa pareva a vedere; né sarebbe stato alcuno che veduto l'avesse, che non avesse detto lui veramente esser tutto della persona perduto rattratto. E preso così fatto da Marchese e da Stecchi, verso la chiesa si dirizzarono, in vista tutti pieni di pietà, umilemente e per lo amor di Dio domandando a ciascuno che dinanzi lor si parava, che loro luogo facesse; il che agevolmente impetravano; e in brieve, riguardati da tutti, e quasi per tutto gridandosi « Fa luogo! fa luogo! », là pervennero ove il corpo di santo Arrigo era posto; e da certi gentili uomini, che v'erano da torno, fu Martellino prestamente preso e sopra il corpo posto, acciò che per quello il beneficio della sanità acquistasse. Martellino, essendo tutta la gente attenta a vedere che di lui avvenisse, stato alquanto, cominciò, come colui che ottimamente far lo sapeva, a far sembiante di distendere l'uno dediti, e appresso la mano, e poi il braccio, e così tutto a venirsi distendendo. Il che veggendo la gente, sì gran romore in lode di santo Arrigo facevano che i tuoni non si sarieno potuti udire.

Era per avventura un fiorentino vicino a questo luogo, il quale molto bene conoscea Martellino, ma per l'essere così travolto quando vi fu menato non lo avea conosciuto; il quale, veggendolo ridirizzato e riconosciutolo, subitamente cominciò a ridere e a dire: « Domine, fallo tristo! chi non avrebbe creduto, veggendol venire, che egli fosse stato attratto da dovero? »

Queste parole udirono alcuni trivigiani, li quali incontanente il domandarono: « Come! Non era costui attratto? »

A' quali il fiorentino rispose: « Non piaccia a Dio! egli è sempre stato diritto come è qualunque di noi, ma sa meglio che altro uomo, come voi avete potuto vedere, far queste ciance di contraffarsi in qualunque forma vuole. »

Come costoro ebbero udito questo, non bisognò più avanti; essi si fecero per forza innanzi e cominciarono a gridare:« Sia preso questo traditore e beffatore di Dio e de' santi, il quale, non essendo attratto, per ischernire il nostro santo e noi, qui a guisa d'attratto è venuto. » E così dicendo il pigliarono, e giù del luogo dove era il tirarono, e presolo per li capelli e stracciatigli tutti i panni in dosso, gli cominciarono a dare delle pugna e de' calci; né parea a colui esser uomo, che a questo far non correa. Martellino gridava mercé per Dio e quanto poteva s'aiutava; ma ciò era niente: la calca gli multiplicava ogni ora addosso maggiore.

La qual cosa veggendo Stecchi e Marchese, cominciarono fra sé a dire che la cosa stava male, e di sé medesimi dubitando, non ardivano a aiutarlo; anzi con gli altri insieme gridavano ch'el fosse morto, avendo nondimeno pensiero tuttavia come trarre il potessero delle mani del popolo. Il quale fermamente l'avrebbe ucciso, se uno argomento non fosse stato, il qual Marchese subitamente prese; che, essendo ivi di fuori la famiglia tutta della signoria, Marchese, come più tosto potè, n'andò a colui che in luogo del podestà v'era, e disse: « Mercé per Dio! egli è qua un malvagio uomo che m'ha tagliata la borsa con ben cento fiorini d'oro; io vi priego che voi il pigliate, sì che io riabbia il mio. »

Subitamente, udito questo, ben dodici de' sergenti corsero là dove il misero Martellino era senza pettine carminato, e alle maggior fatiche del mondo rotta la calca, loro tutto pesto e tutto rotto il trassero delle mani e menaronnelo a palagio; dove molti seguitolo che da lui si tenevano scherniti, avendo udito che per tagliaborse era stato preso, non parendo loro avere alcuno altro più giusto titolo a fargli dar la mala ventura, similemente cominciarono a dire, ciascuno da lui essergli stata tagliata la borsa. Le quali cose udendo il giudice del podestà, il quale era un ruvido uomo, prestamente da parte menatolo, sopra ciò 'ncominciò a esaminare. Ma Martellino rispondea motteggiando, quasi per niente avesse quella presura; di che il giudice turbato, fattolo legare alla colla, parecchie tratte delle buone gli fece dare con animo di fargli confessare ciò che coloro dicevano, per farlo poi appiccare per la gola.

Ma poi che egli fu in terra posto, domandandolo il giudice se ciò fosse vero che coloro incontro a lui dicevano, non valendogli il dire di no, disse: « Signor mio, io son presto a confessarvi il vero, ma fatevi a ciascun che mi accusa dire quando e dove io gli tagliai la borsa, e io vi dirò quello che io avrò fatto, e quel che no. »

Disse il giudice: « Questo mi piace; » e fattine alquanti chiamare, l'uno diceva che gliele avea tagliata otto dì eran passati, l'altro sei, l'altro quattro, e alcuni dicevano quel dì stesso.

Il che udendo Martellino, disse: « Signor mio, essi mentono tutti per la gola; e che io dica il vero, questa pruova ve ne posso fare, che così non fossi io mai in questa terra entrato, come io mal non ci fui, se non da poco fa in qua; e come io giunsi, per mia disavventura andai a vedere questo corpo santo, dove io sono stato pettinato come voi potete vedere; e che questo che io dico sia vero, ve ne può far chiaro l'uficiale del signore il quale sta alle presentagioni, e il suo libro, e ancora l'oste mio. Per che, se così trovate come io vi dico, non mi vogliate a instanzia di questi malvagi uomini straziare e uccidere. »

Mentre le cose erano in questi termini, Marchese e Stecchi, li quali avevan sentito che il giudice del podestà fieramente contro a lui procedeva, e già l'aveva collato, temetter forte, seco dicendo: « Male abbiam procacciato; noi abbiamo costui tratto della padella, e gittatolo nel fuoco. » Per che, con ogni sollecitudine dandosi attorno, e l'oste loro ritrovato, come il fatto era gli raccontarono. Di che esso ridendo, gli menò a un Sandro Agolanti, il quale in Trivigi abitava e appresso al signore avea grande stato, e ogni cosa per ordine dettagli, con loro insieme il pregò che de' fatti di Martellino gli tenesse.

Sandro, dopo molte risa, andatosene al signore, impetrò che per Martellino fosse mandato, e così fu. Il quale coloro che per lui andarono trovarono ancora in camicia dinanzi al giudice, e tutto smarrito e pauroso forte, perciò che il giudice niuna cosa in sua scusa voleva udire; anzi, per avventura avendo alcuno odio né fiorentini, del tutto era disposto a volerlo fare impiccar per la gola, e in niuna guisa rendere il voleva al signore, infino a tanto che costretto non fu di renderlo a suo dispetto. Al quale poiché egli fu davanti, e ogni cosa per ordine dettagli, porse prieghi che in luogo di somma grazia via il lasciasse andare; per ciò che, infino che in Firenze non fosse, sempre gli parrebbe il capestro aver nella gola. Il signore fece grandissime risa di così fatto accidente; e fatta donare una roba per uomo, oltre alla speranza di tutti e tre di così gran pericolo usciti, sani e salvi se ne tornarono a casa loro. --



NOVELLA SECONDA

Rinaldo d'Esti, rubato, capita a Castel Guiglielmo e è albergato da una donna vedova; e, de' suoi danni ristorato, sano e salvo si torna a casa sua.

Degli accidenti di Martellino da Neifile raccontati senza modo risero le donne, e massimamente tra' giovani Filostrato; al quale, per ciò che appresso di Neifile sedea, comandò la reina che novellando la seguitasse. Il quale senza indugio alcuno incominciò:

-- Belle donne, a raccontarsi mi tira una novella di cose catoliche e di sciagure e d'amore in parte mescolata, la quale per avventura non fia altro che utile avere udita; e spezialmente a coloro li quali per li dubbiosi paesi d'amore sono camminanti, né quali, chi non ha detto il paternostro di san Giuliano, spesse volte, ancora che abbia buon letto, alberga male.

Era adunque, al tempo del marchese Azzo da Ferrara, un mercatante chiamato Rinaldo d'Esti per sue bisogne venuto a Bologna; le quali avendo fornite e a casa tornandosi, avvenne che, uscito di Ferrara e cavalcando verso Verona, s'abbattè in alcuni li quali mercatanti parevano e erano masnadieri e uomini di malvagia vita e condizione, con li quali ragionando incautamente s'accompagnò. Costoro, veggendol mercatante e stimando lui dover portar danari, seco diliberarono che, come prima tempo si vedessero, di rubarlo; e perciò, acciò che egli niuna suspezion prendesse, come uomini modesti e di buona condizione, pure d'oneste cose e di lealtà andavano con lui favellando, rendendosi, in ciò che potevano e sapevano, umili e benigni verso di lui; per che egli di avergli trovati si reputava in gran ventura, per ciò che solo era con uno suo fante a cavallo.

E così camminando, d'una cosa in altra, come né ragionamenti addiviene, trapassando, caddero in sul ragionare delle orazioni che gli uomini fanno a Dio; e l'un de' masnadieri, che erano tre, disse verso Rinaldo: « E voi, gentile uomo, che orazione usate di dir camminando? »

Al quale Rinaldo rispose: « Nel vero io sono uomo di queste cose assai materiale e rozzo, e poche orazioni ho per le mani, sì come colui che mi vivo all'antica e lascio correr due soldi per ventiquattro denari; ma nondimeno ho sempre avuto in costume camminando di dir la mattina, quando esco dell'albergo, un paternostro e una avemaria per l'anima del padre e della madre di san Giuliano, dopo il quale io priego Idio e lui che la seguente notte mi deano buono albergo. E assai volte già de' miei dì sono stato camminando in gran pericoli, de' quali tutti scampato, pur sono la notte poi stato in buon luogo e bene albergato; per che io porto ferma credenza che san Giuliano, a cui onore io il dico, m'abbia questa grazia impetrata da Dio; né mi parrebbe il dì ben potere andare, né dovere la notte vegnente bene arrivare, che io non l'avessi la mattina detto. »

A cui colui, che domandato l'avea, disse: « E istamane dicestel voi? »

A cui Rinaldo rispose: « Sì bene. »

Allora quegli che già sapeva come andar doveva il fatto, disse seco medesimo: « Al bisogno ti fia venuto; ché, se fallito non ci viene, per mio avviso tu albergherai pur male »; e poi gli disse: « Io similmente ho già molto camminato e mai nol dissi, quantunque io l'abbia a molti molto già udito commendare, né giammai non m'avvenne che io per ciò altro che bene albergassi; e questa sera per avventura ve ne potrete avvedere chi meglio albergherà, o voi che detto l'avete o io che non l'ho detto. Bene è il vero che io uso in luogo di quello il dirupisti, o la 'ntemerata, o il deprofundi, che sono, secondo che una mia avola mi solea dire, di grandissima virtù. »

E così di varie cose parlando e al lor cammin procedendo, e aspettando luogo e tempo al loro malvagio proponimento, avvenne che, essendo già tardi, di là da Castel Guiglielmo, al valicare d'un fiume, questi tre, veggendo l'ora tarda e il luogo solitario e chiuso, assalitolo, il rubarono, e lui a piè e in camicia lasciato, partendosi dissero: « Va e sappi se il tuo san Giuliano questa notte ti darà buono albergo, ché il nostro il darà bene a noi »; e valicato il fiume andaron via.

Il fante di Rinaldo veggendolo assalire, come cattivo, niuna cosa al suo aiuto adoperò, ma, volto il cavallo sopra il quale era, non si ritenne di correre sì fu a Castel Guiglielmo, e in quello, essendo già sera, entrato, senza darsi altro impaccio, albergò.

Rinaldo, rimaso in camicia e scalzo, essendo il freddo grande e nevicando tuttavia forte, non sappiendo che farsi, veggendo già sopravvenuta la notte, tremando e battendo i denti, cominciò a riguardare se dattorno alcun ricetto si vedesse, dove la notte potesse stare, che non si morisse di freddo; ma niun veggendone (per ciò che poco davanti essendo stata guerra nella contrada v'era ogni cosa arsa), sospinto dalla freddura, trottando si dirizzò verso Castel Guiglielmo, non sappiendo perciò che il suo fante là o altrove si fosse fuggito, pensando, se dentro entrare vi potesse, qual che soccorso gli manderebbe Idio. Ma la notte oscura il soprapprese di lungi dal castello presso a un miglio; per la quale cosa sì tardi vi giunse che, essendo le porti serrate e i ponti levati, entrar non vi potè dentro. Laonde, dolente e isconsolato, piagnendo guardava dintorno dove porre si potesse, che almeno addosso non gli nevicasse; e per avventura vide una casa sopra le mura del castello sportata alquanto in fuori, sotto il quale sporto diliberò d'andarsi a stare infino al giorno; e là andatosene e sotto quello sporto trovato un uscio, come che serrato fosse, a piè di quello ragunato alquanto di pagliericcio che vicin v'era, tristo e dolente si pose a stare, spesse volte dolendosi a san Giuliano, dicendo questo non essere della fede che aveva in lui. Ma san Giuliano, avendo a lui riguardo, senza troppo indugio gli apparecchiò buono albergo.

Egli era in questo castello una donna vedova, del corpo bellissima quanto alcuna altra, la quale il marchese Azzo amava quanto la vita sua, e quivi a instanzia di sé la facea stare. E dimorava la predetta donna in quella casa, sotto lo sporto della quale Rinaldo s'era andato a dimorare. E era il dì dinanzi per avventura il marchese quivi venuto per doversi la notte giacere con essolei, e in casa di lei medesima tacitamente aveva fatto fare un bagno, e nobilmente da cena. E essendo ogni cosa presta, e niun'altra cosa che la venuta del marchese era da lei aspettata, avvenne che un fante giunse alla porta, il quale recò novelle al marchese, per le quali a lui subitamente cavalcar convenne; per la qual cosa, mandato a dire alla donna che non lo attendesse, prestamente andò via. Onde la donna, un poco sconsolata, non sappiendo che farsi, deliberò d'entrare nel bagno fatto per lo marchese, e poi cenare e andarsi al letto; e così nel bagno se n'entrò.

Era questo bagno vicino all'uscio dove il meschino Rinaldo s'era accostato fuori della terra; per che, stando la donna nel bagno, sentì il pianto e 'l tremito che Rinaldo faceva, il quale pareva diventato una cicogna. Laonde, chiamata la sua fante, le disse: « Va su e guarda fuor del muro a piè di questo uscio chi v'è, e chi egli è, e quel ch'el vi fa. » La fante andò, e aiutandola la chiarità dell'aere, vide costui in camicia e scalzo quivi sedersi come detto è, tremando forte; per che ella il domandò chi el fosse. E Rinaldo, sì forte tremando che appena poteva le parole formare, chi el fosse e come e perché quivi, quanto più brieve potè, le disse; e poi pietosamente la cominciò a pregare che, se esser potesse, quivi non lo lasciasse di freddo la notte morire. La fante, divenutane pietosa, tornò alla donna e ogni cosa le disse. La qual similmente pietà avendone, ricordatasi che di quello uscio aveva la chiave, il quale alcuna volta serviva alle occulte entrate del marchese, disse: « Va, e pianamente gli apri; qui è questa cena, e non saria chi mangiarla, e da poterlo albergare ci è assai. »

La fante, di questa umanità avendo molto commendata la donna, andò e sì gli aperse, e dentro messolo, quasi assiderato veggendolo, gli disse la donna: « Tosto, buono uomo, entra in quel bagno, il quale ancora è caldo. »

E egli questo, senza più inviti aspettare, di voglia fece; e tutto dalla caldezza di quello riconfortato, da morte a vita gli parve essere tornato. La donna gli fece apprestare panni stati del marito di lei, poco tempo davanti morto, li quali come vestiti s'ebbe, a suo dosso fatti parevano; e aspettando quello che la donna gli comandasse, incominciò a ringraziare Idio e san Giuliano che di sì malvagia notte, come egli aspettava, l'avevano liberato, e a buono albergo, per quello che gli pareva, condotto Appresso questo la donna alquanto riposatasi, avendo fatto fare un grandissimo fuoco in una sua camminata, in quella se ne venne, e del buono uomo domandò che ne fosse.

A cui la fante rispose: « Madonna, egli s'è rivestito, e è un bello uomo e par persona molto da bene e costumato. »

« Va dunque, » disse la donna « e chiamalo, e digli che qua se ne venga al fuoco, e sì cenerà, ché so che cenato non ha. »

Rinaldo nella camminata entrato, e veggendo la donna, e da molto parendogli, reverentemente la salutò, e quelle grazie le quali seppe maggiori del beneficio fattogli le rende'. La donna, vedutolo e uditolo, e parendole quello che la fante dicea, lietamente il ricevette e seco al fuoco familiarmente il fè sedere e dello accidente che quivi condotto l'avea il domandò. Alla quale Rinaldo per ordine ogni cosa narrò. Aveva la donna, nel venire del fante di Rinaldo nel castello, di questo alcuna cosa sentita, per che ella ciò che da lui era detto interamente credette; e sì gli disse ciò che del suo fante sapeva e come leggiermente la mattina appresso ritrovare il potrebbe. Ma poi che la tavola fu messa, come la donna volle, Rinaldo, con lei insieme le mani lavatesi, si pose a cenare. Egli era grande della persona e bello e piacevole nel viso e di maniere assai laudevoli e graziose e giovane di mezza età; al quale la donna avendo più volte posto l'occhio addosso e molto commendatolo, e già, per lo marchese che con lei dovea venire a giacersi, il concupiscibile appetito avendo desto nella mente, dopo la cena, da tavola levatasi, colla sua fante si consigliò se ben fatto le paresse che ella, poi che il marchese beffata l'avea, usasse quel bene che innanzi l'avea la fortuna mandato.

La fante, conoscendo il disiderio della sua donna, quanto potè e seppe a seguirlo la confortò; per che la donna, al fuoco tornatasi, dove Rinaldo solo lasciato aveva, cominciatolo amorosamente a guardare, gli disse: « Deh, Rinaldo, perché state voi così pensoso? Non credete voi potere essere ristorato d'un cavallo e d'alquanti panni che voi abbiate perduti? Confortatevi, state lietamente, voi siete in casa vostra; anzi vi voglio dire più avanti, che, veggendovi cotesti panni in dosso, li quali del mio morto marito furono, parendomi voi pur desso, m'è venuto stasera forse cento volte voglia d'abbracciarvi e di baciarvi; e, se io non avessi temuto che dispiaciuto vi fosse, per certo io l'avrei fatto. »

Rinaldo, queste parole udendo e il lampeggiar degli occhi della donna veggendo, come colui che mentecatto non era, fattolesi incontro colle braccia aperte, disse: « Madonna, pensando che io per voi possa omai sempre dire che io sia vivo, a quello guardando donde torre mi faceste, gran villania sarebbe la mia se io ogni cosa che a grado vi fosse non m'ingegnassi di fare; e però contentate il piacer vostro d'abbracciarmi e di baciarmi, ché io abbraccerò e bacerò voi vie più che volentieri. »

Oltre a queste non bisognar più parole. La donna, che tutta d'amoroso disio ardeva, prestamente gli si gittò nelle braccia; e poi che mille volte, disiderosamente strignendolo, baciato l'ebbe e altrettante da lui fu baciata, levatisi di quindi, nella camera se n'andarono, e senza niuno indugio coricatisi, pienamente e molte volte, anzi che il giorno venisse, i lor disii adempierono. Ma poi che a apparire cominciò l'aurora, sì come alla donna piacque, levatisi, acciò che questa cosa non si potesse presummere per alcuno, datigli alcuni panni assai cattivi e empiutagli la borsa di denari, pregandolo che questo tenesse celato, avendogli prima mostrato che via tener dovesse a venir dentro a ritrovare il fante suo, per quello usciolo onde era entrato, il mise fuori.

Egli, fatto dì chiaro, mostrando di venire di più lontano, aperte le porti, entrò nel castello e ritrovò il suo fante; per che, rivestitosi de' panni suoi che nella valigia erano, e volendo montare in su 'l cavallo del fante, quasi per divino miracolo addivenne che li tre masnadieri che la sera davanti rubato l'aveano, per altro maleficio da loro fatto poco poi appresso presi, furono in quel castello menati, e per confessione da loro medesimi fatta, gli fu restituito il suo cavallo, i panni e i danari, né ne perdé altro che un paio di cintolini, dei quali non sapevano i masnadieri che fatto se n'avessero. Per la qual cosa Rinaldo, Idio e san Giuliano ringraziando, montò a cavallo e sano e salvo ritornò a casa sua; e i tre masnadieri il dì seguente andarono a dar de' calci a rovaio. --



NOVELLA TERZA

Tre giovani male il loro avere spendendo, impoveriscono; de' quali un nepote con uno abate accontatosi, tornandosi a casa per disperato, lui truova essere la figliuola del re d'Inghilterra, la quale lui per marito prende e de' suoi zii ogni danno ristora, tornandogli in buono stato.

Furono con ammirazione ascoltati i casi di Rinaldo d'Esti dalle donne e dà giovani, e la sua divozion commendata, e Idio e san Giuliano ringraziati, che al suo bisogno maggiore gli avevano prestato soccorso. Né fu per ciò (quantunque cotal mezzo di nascoso si dicesse) la donna reputata sciocca, che saputo aveva pigliare il bene che Idio a casa l'aveva mandato. E mentre che della buona notte che colei ebbe sogghignando si ragionava, Pampinea, che sé allato allato a Filostrato vedea, avvisando, sì come avvenne, che a lei la volta dovesse toccare, in sé stessa recatasi, quel che dovesse dire cominciò a pensare; e dopo il comandamento della reina, non meno ardita che lieta, così cominciò a parlare:

-- Valorose donne, quanto più si parla de' fatti della fortuna, tanto più, a chi vuole le sue cose ben riguardare, ne resta a poter dire: e di ciò niuno dee aver maraviglia, se discretamente pensa che tutte le cose, le quali noi scioccamente nostre chiamiamo, sieno nelle sue mani, e per conseguente da lei secondo il suo occulto giudicio, senza alcuna posa d'uno in altro e d'altro in uno successivamente, senza alcuno conosciuto ordine da noi, esser da lei permutate. Il che, quantunque con piena fede in ogni cosa e tutto il giorno si mostri, e ancora in alcune novelle di sopra mostrato sia, nondimeno, piacendo alla nostra reina che sopra ciò si favelli, forse non senza utilità degli ascoltanti aggiugnerò alle dette una mia novella, la quale avviso dovrà piacere.

Fu già nella nostra città un cavaliere, il cui nome fu messer Tebaldo, il quale, secondo che alcuni vogliono, fu de' Lamberti; e altri affermano lui essere stato degli Agolanti, forse più dal mestiere de' figliuoli di lui poscia fatto, conforme a quello che sempre gli Agolanti hanno fatto e fanno, prendendo argomento, che da altro. Ma, lasciando stare di quale delle due case si fosse, dico che esso fu né suoi tempi ricchissimo cavaliere, e ebbe tre figliuoli, de' quali il primo ebbe nome Lamberto, il secondo Tedaldo, e il terzo Agolante, già belli e leggiadri giovani, quantunque il maggiore a diciotto anni non aggiugnesse, quando esso messer Tebaldo ricchissimo venne a morte, e a loro, sì come a legittimi suoi eredi, ogni suo bene e mobile e stabile lasciò. Li quali, veggendosi rimasi ricchissimi e di contanti e di possessioni, senza alcuno altro governo che del loro medesimo piacere, senza alcuno freno o ritegno cominciarono a spendere, tenendo grandissima famiglia e molti e buoni cavalli e cani e uccelli e continuamente corte, donando e armeggiando, e faccendo ciò non solamente che a gentili uomini s'appartiene, ma ancora quello che nello appetito loro giovenile cadeva di voler fare. Né lungamente fecer cotal vita,che il tesoro lasciato loro dal padre venne meno; e non bastando alle cominciate spese seguire le loro rendite, cominciarono a impegnare e a vendere le possessioni; e oggi l'una e doman l'altra vendendo, appena s'avvidero che quasi al niente venuti furono, e aperse loro gli occhi la povertà, li quali la ricchezza aveva tenuti chiusi.

Per la qual cosa Lamberto, chiamati un giorno gli altri due, disse loro qual fosse l'orrevolezza del padre stata e quanta la loro, e quale la lor ricchezza e chente la povertà nella quale per lo disordinato loro spendere eran venuti; e, come seppe il meglio, avanti che più della lor miseria apparisse, gli confortò con lui insieme a vendere quel poco che rimaso era loro e andarsene via; e così fecero. E, senza commiato chiedere o fare alcuna pompa, di Firenze usciti, non si ritenner sì furono in Inghilterra; e quivi, presa in Londra una casetta, faccendo sottilissime spese, agramente cominciarono a prestare a usura; e sì fu in questo loro favorevole la fortuna, che in pochi anni grandissima quantità di denari avanzarono.

Per la qual cosa con quelli, successivamente or l'uno or l'altro a Firenze tornandosi, gran parte delle lor possessioni ricomperarono, e molte dell'altre comperar sopra quelle, e presero moglie; e continuamente in Inghilterra prestando, a attendere a' fatti loro un giovane loro nepote, che avea nome Alessandro, mandarono, e essi tutti e tre a Firenze avendo dimenticato a qual partito gli avesse lo sconcio spendere altra volta recati, nonostante che in famiglia tutti venuti fossero, più che mai strabocchevolmente spendevano e erano sommamente creduti da ogni mercatante, e d'ogni gran quantità di danari. Le quali spese alquanti anni aiutò loro sostenere la moneta da Alessandro loro mandata, il quale messo s'era in prestare a' baroni sopra castella e altre loro entrate, le quali di gran vantaggio bene gli rispondevano.

E mentre così i tre fratelli largamente spendeano e mancando denari accattavano, avendo sempre la speranza ferma in Inghilterra, avvenne che, contro alla oppinion d'ogni uomo, nacque in Inghilterra una guerra tra il re e un suo figliuolo, per la qual tutta l'isola si divise, e chi tenea con l'uno e chi coll'altro; per la qual cosa furono tutte le castella de' baroni tolte a Alessandro, né alcuna altra rendita era che di niente gli rispondesse. E sperandosi che di giorno in giorno tra 'l figliuolo e 'l padre dovesse esser pace, e per conseguente ogni cosa restituita a Alessandro, e merito e capitale, Alessandro dell'isola non si partiva, e i tre fratelli, che in Firenze erano, in niuna cosa le loro spese grandissime limitavano, ogni giorno più accattando. Ma poi che in più anni niuno effetto seguire si vide alla speranza avuta, li tre fratelli non solamente la credenza perderono, ma, volendo coloro che aver doveano esser pagati, furono subitamente presi; e non bastando al pagamento le lor possessioni, per lo rimanente rimasono in prigione, e le lor donne e i figliuoli piccioletti qual se ne andò in contado e qual qua e qual là assai poveramente in arnese, più non sappiendo che aspettare si dovessono, se non misera vita sempre.

Alessandro, il quale in Inghilterra la pace più anni aspettata avea, veggendo che ella non venia e parendogli quivi non meno in dubbio della vita sua che invano dimorare, di liberato di tornarsi in Italia, tutto soletto si mise in cammino. E per ventura di Bruggia uscendo, vide n'usciva similmente uno abate bianco con molti monaci accompagnato e con molta famiglia e con gran salmeria avanti, al quale appresso venieno due cavalieri antichi e parenti del re, co' quali, sì come con conoscenti, Alessandro accontatosi, da loro in compagnia fu volentieri ricevuto.

Camminando adunque Alessandro con costoro, dolcemente gli domandò chi fossero i monaci che con tanta famiglia cavalcavano avanti e dove andassono. Al quale l'uno de' cavalieri rispose: « Questi che avanti cavalca è un giovinetto nostro parente, nuovamente eletto abate d'una delle maggior badie d'lnghilterra; e per ciò che egli è più giovane che per le leggi non è conceduto a sì fatta dignità, andiam noi con esso lui a Roma a impetrare dal Santo Padre che nel difetto della troppo giovane età dispensi con lui, e appresso nella dignità il confermi; ma ciò non si vuol con alcuno ragionare. »

Camminando adunque il novello abate ora avanti e ora appresso alla sua famiglia, sì come noi tutto il giorno veggiamo per cammino avvenire de' signori, gli venne nel cammino presso di sé veduto Alessandro, il quale era giovane assai, di persona e di viso bellissimo, e, quanto alcuno altro esser potesse, costumato e piacevole e di bella maniera; il quale maravigliosamente nella prima vista gli piacque quanto mai alcuna altra cosa gli fosse piaciuta e, chiamatolo a sè, con lui cominciò piacevolmente a ragionare e domandar chi fosse, donde venisse e dove andasse. Al quale Alessandro ogni suo stato liberamente aperse e sodisfece alla sua domanda e sé a ogni suo servigio, quantunque poco potesse, offerse. L'abate, udendo il suo ragionare bello e ordinato, e più partitamente i suoi costumi considerando e lui seco estimando, come che il suo mestiere fosse stato servile, essere gentile uomo, più del piacer di lui s'accese e, già pieno di compassion divenuto delle sue sciagure, assai familiarmente il confortò e gli disse che a buona speranza stesse, per ciò che, se valente uom fosse, ancora Idio il riporterebbe là onde la fortuna l'aveva gittato, e più a alto; e pregollo che, poi verso Toscana andava, gli piacesse d'essere in sua compagnia, con ciò fosse cosa che esso là similmente andasse. Alessandro gli rendè grazie del conforto e sé a ogni suo comandamento disse esser presto.

Camminando adunque l'abate, al quale nuove cose si volgean per lo petto del veduto Alessandro, avvenne che dopo più giorni essi pervennero a una villa, la quale non era troppo riccamente fornita d'alberghi; e volendo quivi l'abate albergare, Alessandro in casa d'uno oste, il quale assai suo dimestico era, il fece smontare, e fecegli la sua camera fare nel meno disagiato luogo della casa; e quasi già divenuto uno siniscalco dello abate, sì come colui che molto era pratico, come il meglio si potè per la villa allogata tutta la sua famiglia chi qua e chi là, avendo l'abate cenato e già essendo buona pezza di notte e ogni uomo andato a dormire, Alessandro domandò l'oste là dove esso potesse dormire.

Al quale l'oste rispose: « In verità io non so; tu vedi che ogni cosa è pieno, e puoi veder me e la mia famiglia dormir su per le panche; tuttavia nella camera dello abate sono certi granai, à quali io ti posso menare e porrovvi su alcun letticello, e quivi, se ti piace, come meglio puoi questa notte ti giaci. »

A cui Alessandro disse: « Come andrò io nella camera dello abate, che sai che è piccola e per istrettezza non v'è potuto giacere alcuno de' suoi monaci? Se io mi fossi di ciò accorto quando le cortine si tesero, io avrei fatto dormire sopra i granai i monaci suoi e io mi sarei stato dove i monaci dormono. »

Al quale l'oste disse: « L'opera sta pur così, e tu puoi, se tu vuogli, quivi stare il meglio del mondo: l'abate dorme, e le cortine son dinanzi; io vi ti porrò chetamente una coltricetta, e dormiviti. »

Alessandro, veggendo che questo si poteva fare senza da re alcuna noia allo abate, vi s'accordò, e quanto più cheta mente potè vi s'acconciò. L'abate, il quale non dormiva, anzi alli suoi nuovi disii fieramente pensava, udiva ciò che l'oste e Alessandro parlavano, e similmente avea sentito dove Alessandro s'era a giacer messo; per che, seco stesso forte contento, cominciò a dire: « Idio ha mandato tempo a' miei desiri: se io nol prendo, per avventura simile a pezza non mi tornerà. »

E diliberatosi del tutto di prenderlo, parendogli ogni cosa cheta per lo albergo, con sommessa voce chiamò Alessandro e gli disse che appresso lui si coricasse; il quale, dopo molte disdette spogliatosi, vi si coricò. L'abate postagli la mano sopra 'l petto, lo 'ncominciò a toccare non altramenti che sogliano fare le vaghe giovani i loro amanti; di che Alessandro si maravigliò forte e dubitò non forse l'abate, da disonesto amore preso si movesse a così fattamente toccarlo. La qual dubitazione, o per presunzione o per alcuno atto che Alessandro facesse, subitamente l'abate conobbe, e sorrise; e prestamente di dosso una camicia, che avea, cacciatasi, prese la mano d'Alessandro e quella sopra il petto si pose, dicendo: « Alessandro, caccia via il tuo sciocco pensiero, e, cercando qui, conosci quello che io nascondo. »Alessandro, posta la mano sopra il petto dello abate, trovò due poppelline tonde e sode e dilicate, non altramenti che se d'avorio fossono state; le quali egli trovate e conosciuto tantosto costei esser femina, senza altro invito aspettare, prestamente abbracciatala, la voleva baciare, quando ella gli disse: « Avanti che tu più mi t'avvicini, attendi quello che io ti voglio dire. Come tu puoi conoscere, io son femina e non uomo; e pulcella partitami da casa mia, al papa andava che mi maritasse. O tua ventura o mia sciagura che sia, come l'altro giorno ti vidi, sì di te m'accese Amore, che donna non fu mai che tanto amasse uomo; e per questo io ho diliberato di volere te avanti che alcuno altro per marito; dove tu me per moglie non vogli, tantosto di qui ti diparti e nel tuo luogo ritorna. »

Alessandro, quantunque non la conoscesse, avendo riguardo alla compagnia che ella avea, lei estimò dovere essere nobile e ricca, e bellissima la vedea; per che, senza troppo lungo pensiero, rispose che, se questo a lei piacea, a lui era molto a grado. Essa allora levatasi a sedere in su il letto, davanti a una tavoletta dove Nostro Signore era effigiato, postogli in mano uno anello, gli si fece sposare; e appresso insieme abbracciatisi, con gran piacere di ciascuna delle parti, quanto di quella notte restava si sollazzarono. E, preso tra loro modo e ordine alli lor fatti, come il giorno venne, Alessandro levatosi e per quindi della camera uscendo, donde era entrato, senza sapere alcuno dove la notte dormito si fosse, lieto oltre misura, con lo abate e con sua compagnia rientrò in cammino, e dopo molte giornate pervennero a Roma.

E quivi, poi che alcun dì dimorati furono, l'abate con li due cavalieri e con Alessandro senza più entrarono al Papa; e fatta la debita reverenza così cominciò l'abate a favellare: « Santo Padre, sì come voi meglio che alcuno altro dovete sapere, ciascun che bene e onestamente vuol vivere, dee, in quanto può, fuggire ogni cagione la quale a altramenti fare il potesse conducere; il che acciò che io, che onestamente viver disidero, potessi compiutamente fare, nell'abito nel quale mi vedete, fuggita segretamente con grandissima parte de' tesori del re d'lnghilterra mio padre (il quale al re di Scozia vecchissimo signore, essendo io giovane come voi mi vedete, mi voleva per moglie dare), per qui venire, acciò che la vostra santità mi maritasse, mi misi in via. Né mi fece tanto la vecchiezza del re di Scozia fuggire, quanto la paura di non fare per la fragilità della mia giovanezza, se a lui maritata fossi, cosa che fosse contra le divine leggi e contra l'onore del real sangue del padre mio. E così disposta venendo, Idio, il quale solo ottimamente conosce ciò che fa mestiere a ciascuno, credo per la sua misericordia, colui che a lui piacea che mio marito fosse mi pose avanti agli occhi; e quel fu questo giovane » e mostrò Alessandro « il quale voi qui appresso di me vedete, li cui costumi e il cui valore son degni di qualunque gran donna, quantunque forse la nobiltà del suo sangue non sia così chiara come è la reale. Lui ho adunque preso e lui voglio; né mai alcuno altro n'avrò, che che se ne debba parere al padre mio o a altrui. Per che la principal cagione per la quale mi mossi è tolta via; ma piacquemi di fornire il mio cammino, sì per visitare li santi luoghi e reverendi, de' quali questa città è piena, e la vostra santità, e sì acciò che per voi il contratto matrimonio tra Alessandro e me solamente nella presenza di Dio io facessi aperto nella vostra e per conseguente degli altri uomini. Per che umilemente vi priego che quello che a Dio e a me è piaciuto sia a grado a voi, e la vostra benedizion ne doniate, acciò che con quella, sì come con più certezza del piacere di Colui del quale voi siete vicario, noi possiamo insieme, all'onore di Dio e al vostro, vivere e ultimamente morire. »

Maravigliossi Alessandro udendo la moglie esser figliuola del re d'lnghilterra, e di mirabile allegrezza occulta fu ripieno; ma più si maravigliarono li due cavalieri e sì si turbarono che, se in altra parte che davanti al papa stati fossero, avrebbono a Alessandro e forse alla donna fatta villania. D'altra parte il papa si maravigliò assai e dello abito della donna e della sua elezione; ma, conoscendo che indietro tornare non si potea, la volle del suo priego sodisfare. E primieramente, racconsolati i cavalieri li quali turbati conoscea e in buona pace con la donna e con Alessandro rimessigli, diede ordine a quello che da far fosse. E il giorno posto da lui essendo venuto, davanti a tutti i cardinali e dimolti altri gran valenti uomini, li quali invitati a una grandissima festa da lui apparecchiata eran venuti, fece venire la donna realmente vestita, la qual tanto bella e sì piacevol parea che meritamente da tutti era commendata e simigliantemente Alessandro splendidamente vestito, in apparenza e in costurni non miga giovane che a usura avesse prestato, ma più tosto reale e da' due cavalieri molto onorato; e quivi da capo fece solennemente le sponsalizie celebrare, e appresso le nozze belle e magnifiche fatte, colla sua benedizione gli licenziò.

Piacque a Alessandro e similmente alla donna, di Roma partendosi, di venire a Firenze, dove già la fama aveva la novella recata; e quivi, da' cittadini con sommo onore ricevuti, fece la donna li tre fratelli liberare, avendo prima fatto ogni uom pagare, e loro e le lor donne rimise nelle lor possessioni. Per la qual cosa, con buona grazie di tutti, Alessandro con la sua donna, menandone seco Agolante, si partì di Firenze, e a Parigi venuti, onorevolmente dal re ricevuti furono.

Quindi andarono i due cavalieri in Inghilterra e tanto col re adoperarono, che egli le rende' la grazia sua e con grandissima festa lei e 'l suo genero ricevette, il quale egli poco appresso con grandissimo onore fè cavaliere e donogli la contea di Cornovaglia. Il quale fu da tanto e tanto seppe fare, che egli paceficò il figliuolo col padre, di che seguì gran bene all'isola, e egli n'acquistò l'amore e la grazia di tutti i paesani; e Agolante ricoverò tutto ciò che aver vi doveano interamente e ricco oltre modo si tornò a Firenze, avendol prima il conte Alessandro cavalier fatto. Il conte poi con la sua donna gloriosamente visse; e, secondo che alcuni voglion dire, tra col suo senno e valore e l'aiuto del suocero, egli conquistò poi la Scozia e funne re coronato. --



NOVELLA QUARTA

Landolfo Rufolo, impoverito, divien corsale e da' genovesi preso rompe in mare e sopra una cassetta di gioie carissime piena scampa; e in Gurfo ricevuto da una femina, ricco si torna a casa sua.

La Lauretta appresso Pampinea sedea; la qual, veggendo lei al glorioso fine della sua novella, senza altro aspettare a parlar cominciò in cotal guisa:

-- Graziosissime donne, niuno atto della fortuna, secondo il mio giudicio, si può veder maggiore che vedere uno d'infima miseria a stato reale elevare, come la novella di Pampinea n'ha mostrato essere al suo Alessandro addivenuto. E per ciò che a qualunque della proposta materia da quinci innanzi novellerà converrà che infra questi termini dica, non mi vergognerò io di dire una novella, la quale, ancora che miserie maggiori in sé contenga, non per ciò abbia così splendida riuscita. Ben so che, pure a quella avendo riguardo, con minor diligenzia fia la mia udita; ma altro non potendo, sarò scusata.

Credesi che la marina da Reggio a Gaeta sia quasi la più dilettevole parte d'ltalia; nella quale assai presso a Salerno e una costa sopra 'l mare riguardante, la quale gli abitanti chiamano la costa d'Amalfi, piena di picciole città, di giardini e di fontane, e d'uomini ricchi e procaccianti in atto di mercatantia sì come alcuni altri. Tra le quali città dette n'è una chiamata Ravello, nella quale, come che oggi v'abbia di ricchi uomini, ve n'ebbe già uno il quale fu ricchissimo, chiamato Landolfo Rufolo; al quale non bastando la sua ricchezza, disiderando di raddoppiarla, venne presso che fatto di perder con tutta quella sé stesso.

Costui adunque, sì come usanza suole essere de' mercatanti, fatti suoi avvisi, comperò un grandissimo legno, e quello tutto di suoi denari caricò di varie mercatantie e andonne con esse in Cipri. Quivi, con quelle qualità medesime di mercatantie che egli aveva portate, trovò essere più altri legni venuti; per la qual cagione, non solamente gli convenne far gran mercato di ciò che portato avea, ma quasi, se spacciar volle le cose sue, gliele convenne gittar via; laonde egli fu vicino al disertarsi.

E portando egli di questa cosa seco grandissima noia, non sappiendo che farsi e veggendosi di ricchissimo uomo in brieve tempo quasi povero divenuto, pensò o morire o rubando ristorare i danni suoi, acciò che la onde ricco partito s'era povero non tornasse. E, trovato comperatore del suo gran legno, con quegli denari e con gli altri che della sua mercatantia avuti avea, comperò un legnetto sottile da corseggiare, e quello d'ogni cosa opportuna a tal servigio armò e guernì ottimamente, e diessi a far sua della roba d'ogni uomo, e massimamente sopra i turchi.

Al qual servigio gli fu molto più la fortuna benivola che alla mercatantia stata non era. Egli, forse infra uno anno, rubò e prese tanti legni di turchi, che egli si trovò non solamente avere racquistato il suo che in mercatantia avea perduto, ma di gran lunga quello avere raddoppiato. Per la qual cosa, gastigato dal primo dolore della perdita, conoscendo che egli aveva assai per non incappar nel secondo, a sé medesimo dimostrò quello che aveva, senza voler più, dovergli bastare; e per ciò si dispose di tornarsi con esso a casa sua. E pauroso della mercatantia, non s'mpacciò d'investire altramenti i suoi denari, ma con quello legnetto col quale guadagnati gli avea, dato de' remi in acqua, si mise al ritornare. E già nello Arcipelago venuto, levandosi la sera uno scilocco, il quale non solamente era contrario al suo cammino, ma ancora faceva grossissimo il mare, il quale il suo picciol legno non avrebbe bene potuto comportare, in uno seno di mare, il quale una piccola isoletta faceva, da quello vento coperto, si raccolse, quivi proponendo d'aspettarlo migliore. Nel qual seno poco stante due gran cocche di genovesi, le quali venivano di Costantinopoli, per fuggire quello che Landolfo fuggito avea, con fatica pervennero. Le genti delle quali, veduto il legnetto e chiusagli la via da potersi partire, udendo di cui egli era e già per fama conoscendol ricchissimo, sì come uomini naturalmente vaghi di pecunia e rapaci, a doverlo avere si disposero. E messa in terra parte della lor gente con balestra e bene armata, in parte la fecero andare che del legnetto niuna persona, sé saettato esser non voleva, poteva discendere; e essi, fattisi tirare a' paliscalmi e aiutati dal mare, s'accostarono al picciol legno di Landolfo, e quello con picciola fatica in picciolo spazio, con tutta la ciurma, senza perderne uomo, ebbero a man salva; e fatto venire sopra l'una delle lor cocche Landolfo e ogni cosa del legnetto tolta, quello sfondolarono, lui in un povero farsettino ritenendo.

Il dì seguente, mutatosi il vento, le cocche ver Ponente venendo fer vela: e tutto quel dì prosperamente vennero al loro viaggio; ma nel far della sera si mise un vento tempestoso, il qual faccendo i mari altissimi, divise le due cocche l'una dall'altra. E per forza di questo vento addivenne che quella sopra la quale era il misero e povero Landolfo, con grandissimo impeto di sopra all'isola di Cifalonia percosse in una secca e, non altramenti che un vetro percosso a un muro tutta s'aperse e si stritolò; di che i miseri dolenti che sopra quella erano, essendo già il mare tutto pieno di mercatantie che notavano e di casse e di tavole, come in così fatti casi suole avvenire, quantunque oscurissima notte fosse e il mare grossissimo e gonfiato, notando quelli che notar sapevano, s'incominciarono a appiccare a quelle cose che per ventura loro si paravan davanti.

Intra li quali il misero Landolfo, ancora che molte volte il dì davanti la morte chiamata avesse, seco eleggendo di volerla più tosto che di tornare a casa sua povero come si vedea, vedendola presta n'ebbe paura; e, come gli altri, venutagli alle mani una tavola, a quella s'appicco', se forse Idio, indugiando egli l'affogare, gli mandasse qualche aiuto allo scampo suo; e a cavallo a quella, come meglio poteva, veggendosi sospinto dal mare e dal vento ora in qua e ora in là, si sostenne infino al chiaro giorno. Il quale venuto, guardandosi egli d'attorno, niuna cosa altro che nuvoli e mare vedea, e una cassa la quale sopra l'onde del mare notando talvolta con grandissima paura di lui gli s'appressava, temendo non quella cassa forse il percotesse per modo che gli noiasse; e sempre che presso gli venia, quanto potea con mano, come che poca forza n'avesse, la lontanava. Ma come che il fatto s'andasse, avvenne che, solutosi subitamente nell'aere un groppo di vento e percosso nel mare, sì grande in questa cassa diede e la cassa nella tavola sopra la quale Landolfo era, che, riversata, per forza Landolfo lasciatola andò sotto l'onde e ritornò suso notando, più da paura che da forza aiutato, e vide da se molto dilungata la tavola; per che, temendo non potere a essa pervenire, s'appressò alla cassa la quale gli era assai vicina, e sopra il coperchio di quella posto il petto, come meglio poteva, colle braccia la reggeva diritta. E in questa maniera, gittato dal mare ora in qua e ora in là, senza mangiare, sì come colui che non aveva che, e bevendo più che non avrebbe voluto, senza sapere ove si fosse o vedere altro che mare, dimorò tutto quel giorno e la notte vegnente.

Il dì seguente appresso, o piacer di Dio o forza di vento che 'l facesse, costui divenuto quasi una spugna, tenendo forte con amendue le mani gli orli della cassa a quella guisa che far veggiamo a coloro che per affogar sono, quando prendono alcuna cosa, pervenne al lito dell'isola di Gurfo, dove una povera feminetta per ventura suoi stovigli con la rena e con l'acqua salsa lavava e facea belli. La quale, come vide costui avvicinarsi, non conoscendo in lui alcuna forma, dubitando e gridando si trasse indietro. Questi non potea favellare e poco vedea, e perciò niente le disse; ma pure, mandandolo verso la terra il mare, costei conobbe la forma della cassa, e più sottilmente guardando e vedendo, conobbe primieramente le braccia stese sopra la cassa, quindi appresso ravvisò la faccia e quello essere che era s'imaginò. Per che, da compassion mossa, fattasi alquanto per lo mare, che già era tranquillo, e per li capelli presolo, con tutta la cassa il tiro in terra, e quivi con fatica le mani dalla cassa sviluppatogli, e quella posta in capo a una sua figlioletta che con lei era, lui come un picciol fanciullo ne portò nella terra, e in una stufa messolo, tanto lo stropicciò e con acqua calda lavo che in lui ritornò lo smarrito calore e alquante delle perdute forze; e quando tempo le parve trattonelo, con alquanto di buon vino e di confetto il riconforto, e alcun giorno, come potè il meglio, il tenne, tanto che esso, le forze recuperate, conobbe la dove era. Per che alla buona femina parve di dovergli la sua cassa rendere, la quale salvata gli avea, e di dirgli che omai procacciasse sua ventura, e così fece.

Costui, che di cassa non si ricordava, pur la prese, presentandogliele la buona femina, avvisando quella non potere sì poco valere che alcun dì non gli facesse le spese; e trovandola molto leggiera, assai manco della sua speranza. Nondimeno, non essendo la buona femina in casa, la sconficcò per vedere che dentro vi fosse, e trovò in quella molte preziose pietre, e legate e sciolte, delle quali egli alquanto s'intendea; le quali veggendo e di gran valore conoscendole, lodando Idio che ancora abbandonare non l'avea voluto, tutto si riconfortò. Ma, si come colui che in picciol tempo fieramente era stato balestrato dalla fortuna due volte, dubitando della terza, pensò convenirgli molta cautela avere a voler quelle cose poter conducere a casa sua; per che in alcuni stracci, come meglio potè, ravvoltole, disse alla buona femina che più di cassa non avea bisogno, ma che, se le piacesse, un sacco gli donasse e avessesi quella.

La buona femina il fece volentieri; e costui, rendutele quelle grazie le quali poteva maggiori del beneficio da lei ricevuto, recatosi suo sacco in collo, da lei si partì, e montato sopra una barca, passò a Brandizio, e di quindi, marina marina, si condusse infino a Trani, dove trovati de' suoi cittadini li quali eran drappieri, quasi per l'amor di Dio fu da loro rivestito, avendo esso già loro tutti li suoi accidenti narrati, fuori che della cassa; e oltre a questo, prestatogli cavallo e datogli compagnia, infino a Ravello, dove del tutto diceva di voler tornare, il rimandarono.

Quivi parendogli essere sicuro, ringraziando Idio che condotto ve l'avea, sciolse il suo sacchetto: e con più diligenzia cercata ogni cosa che prima fatto non avea, trovò sé avere tante e sì fatte pietre che, a convenevole pregio vendendole e ancor meno, egli era il doppio più ricco che quando partito s'era. E trovato modo di spacciare le sue pietre, infino a Gurfo mandò una buona quantità di denari, per merito del servigio ricevuto, alla buona femina che di mare l'avea tratto, e il simigliante fece a Trani a coloro che rivestito l'aveano; e il rimanente, senza più volere mercatare, si ritenne e onorevolmente visse infino alla fine. --



NOVELLA QUINTA

Andreuccio da Perugia, venuto a Napoli a comperar cavalli, in una notte da tre gravi accidenti soprapreso, da tutti scampato con un rubino si torna a casa sua.

-- Le pietre da Landolfo trovate -- cominciò la Fiammetta, alla quale del novellar toccava -- m'hanno alla memoria tornata una novella non guari meno di pericoli in sé contenente che la narrata dalla Lauretta, ma in tanto differente da essa, in quanto quegli forse in più anni e questi nello spazio d'una sola notte addivennero, come udirete.

Fu, secondo che io già intesi, in Perugia un giovane il cui nome era Andreuccio di Pietro, cozzone di cavalli; il quale, avendo inteso che a Napoli era buon mercato di cavalli, messisi in borsa cinquecento fiorin d'oro, non essendo mai più fuori di casa stato, con altri mercatanti là se n'andò: dove giunto una domenica sera in sul vespro, dall'oste suo informato la seguente mattina fu in sul Mercato, e molti ne vide e assai ne gli piacquero e di più e più mercato tenne, né di niuno potendosi accordare, per mostrare che per comperar fosse, sì come rozzo e poco cauto più volte in presenza di chi andava e di chi veniva trasse fuori questa sua borsa de' fiorini che aveva.

E in questi trattati stando, avendo esso la sua borsa mostrata, avvenne che una giovane ciciliana bellissima, ma disposta per piccol pregio a compiacere a qualunque uomo, senza vederla egli, passò appresso di lui e la sua borsa vide e subito seco disse: « Chi starebbe meglio di me se quegli denari fosser miei? » e passò oltre. Era con questa giovane una vecchia similmente ciciliana, la quale, come vide Andreuccio, lasciata oltre la giovane andare, affettuosamente corse a abbracciarlo: il che la giovane veggendo, senza dire alcuna cosa, da una delle parti la cominciò a attendere. Andreuccio, alla vecchia rivoltosi e conosciutala, le fece gran festa, e promettendogli essa di venire a lui all'albergo, senza quivi tenere troppo lungo sermone, si partì : e Andreuccio si tornò a mercatare ma niente comperò la mattina. La giovane, che prima la borsa d'Andreuccio e poi la contezza della sua vecchia con lui aveva veduta, per tentare se modo alcuno trovar potesse a dovere aver quelli denari, o tutti o parte, cautamente incominciò a domandare chi colui fosse o donde e che quivi facesse e come il conoscesse. La quale ogni cosa così particularmente de' fatti d'Andreuccio le disse come avrebbe per poco detto egli stesso, sì come colei che lungamente in Cicilia col padre di lui e poi a Perugia dimorata era, e similmente le contò dove tornasse e perché venuto fosse.

La giovane, pienamente informata e del parentado di lui e de' nomi, al suo appetito fornire con una sottil malizia, sopra questo fondò la sua intenzione, e a casa tornatasi, mise la vecchia in faccenda per tutto il giorno acciò che a Andreuccio non potesse tornare; e presa una sua fanticella, la quale essa assai bene a così fatti servigi aveva ammaestrata, in sul vespro la mandò all'albergo dove Andreuccio tornava.

La qual, quivi venuta, per ventura lui medesimo e solo trovò in su la porta e di lui stesso il domandò. Alla quale dicendole egli che era desso, essa, tiratolo da parte, disse: « Messere, una gentil donna di questa terra, quando vi piacesse, vi parleria volentieri. » Il quale ve vedendola, tutto postosi mente e parendogli essere un bel fante della persona, s'avvisò questa donna dover di lui essere innamorata, quasi altro bel giovane che egli non si trovasse allora in Napoli, e prestamente rispose che era apparecchiato e domandolla dove e quando questa donna parlargli volesse.

A cui la fanticella rispose: « Messere, quando di venir vi piaccia, ella v'attende in casa sua. »

Andreuccio presto, senza alcuna cosa dir nell'albergo, disse: « Or via mettiti avanti, io ti verrò appresso. »

Laonde la fanticella a casa di costei il condusse, la quale dimorava in una contrada chiamata Malpertugio, la quale quanto sia onesta contrada il nome medesimo il dimostra. Ma esso, niente di ciò sappiendo né suspicando, credendosi in uno onestissimo luogo andare e a una cara donna, liberamente, andata la fanticella avanti, se n'entrò nella sua casa; e salendo su per le scale, avendo la fanticella già sua donna chiamata e detto « Ecco Andreuccio », la vide in capo della scala farsi a aspettarlo.

Ella era ancora assai giovane, di persona grande e con bellissimo viso, vestita e ornata assai orrevolemente; alla quale come Andreuccio fu presso, essa incontrogli da tre gradi discese con le braccia aperte, e avvinghiatogli il collo alquanto stette senza alcuna cosa dire, quasi da soperchia tenerezza impedita; poi lagrimando gli basciò la fronte e con voce alquanto rotta disse: « O Andreuccio mio, tu sii il ben venuto! »

Esso, maravigliandosi di così tenere carezze, tutto stupefatto rispose: « Madonna, voi siate la ben trovata! »

Ella appresso, per la man presolo, suso nella sua sala il menò e di quella, senza alcuna cosa parlare, con lui nella sua camera se n'entrò, la quale di rose, di fiori d'aranci e d'altri odori tutta oliva, là dove egli un bellissimo letto incortinato e molte robe su per le stanghe, secondo il costume di là, e altri assai belli e ricchi arnesi vide; per le quali cose, sì come nuovo, fermamente credette lei dovesse essere non men che gran donna.

E postisi a sedere insieme sopra una cassa che appiè del suo letto era, così gli cominciò a parlare: « Andreuccio, io sono molto certa che tu ti maravigli e delle carezze le quali io ti fo e delle mie lagrime, sì come colui che non mi conosci e per avventura mai ricordar non m'udisti. Ma tu udirai tosto cosa la quale più ti farà forse maravigliare, sì come è che io sia tua sorella; e dicoti che, poi che Idio m'ha fatta tanta grazia che io anzi la mia morte ho veduto alcuno de' miei fratelli, come che io disideri di vedervi tutti, io non morrò a quella ora che io consolata non muoia. E se tu forse questo mai più non udisti, io tel vo'dire. Pietro, mio padre e tuo, come io credo che tu abbi potuto sapere, dimorò lungamente in Palermo, e per la sua bontà e piacevolezza vi fu e è ancora da quegli che il conobbero amato assai. Ma tra gli altri che molto l'amarono, mia madre, che gentil donna fu e allora era vedova, fu quella che più l'amò, tanto che, posta giù la paura del padre e de' fratelli e il suo onore, in tal guisa con lui si dimestico', che io ne nacqui e sonne qual tu mi vedi. Poi, sopravenuta cagione a Pietro di partirsi di Palermo e tornare in Perugia, me con la mia madre piccola fanciulla lasciò, né mai, per quello che io sentissi, più né di me né di lei si ricordò: di che io, se mio padre stato non fosse, forte il riprenderei avendo riguardo alla ingratitudine di lui verso mia madre mostrata (lasciamo stare allo amore che a me come a sua figliola non nata d'una fante né di vil femina dovea portare), la quale le sue cose e sé parimente, senza sapere altrimenti chi egli si fosse, da fedelissimo amor mossa rimise nelle sue mani. Ma che è?. Le cose mal fatte e di gran tempo passate sono troppo più agevoli a riprendere che a emendare: la cosa andò pur così. Egli mi lasciò piccola fanciulla in Palermo, dove, cresciuta quasi come io mi sono, mia madre, che ricca donna era, mi diede per moglie a uno da Gergenti, gentile uomo e da bene, il quale per amor di mia madre e di me tornò a stare a Palermo; e quivi, come colui che è molto guelfo cominciò a avere alcuno trattato col nostro re Carlo. Il quale, sentito dal re Federigo prima che dare gli si potesse effetto, fu cagione di farci fuggire di Cicilia quando io aspettava essere la maggior cavalleressa che mai in quella isola fosse; donde, prese quelle poche cose che prender potemmo (poche dico per rispetto alle molte le quali avavamo), la sciate le terre e li palazzi, in questa terra ne rifuggimmo, dove il re Carlo verso di noi trovammo sì grato che, ristoratici in parte li danni li quali per lui ricevuti avavamo, e possessioni e case ci ha date, e dà continuamente al mio marito, e tuo cognato che è, buona provisione, sì come tu potrai ancor vedere. E in questa maniera son qui, dove io, la buona mercé di Dio e non tua, fratel mio dolce, ti veggio. »

E così detto, da capo il rabbracciò e ancora teneramente lagrimando gli basciò la fronte.

Andreuccio, udendo questa favola così ordinatamente, così compostamente detta da costei, alla quale in niuno atto moriva la parola tra'denti né balbettava la lingua, e ricordandosi esser vero che il padre era stato in Palermo e per se medesimo de' giovani conoscendo i costumi, che volentieri amano nella giovanezza, e veggendo le tenere lagrime, gli abbracciari e gli onesti basci, ebbe ciò che ella diceva più che per vero: e poscia che ella tacque, le rispose: « Madonna, egli non vi dee parer gran cosa se io mi maraviglio: per ciò che nel vero, o che mio padre, per che che egli sel facesse, di vostra madre e di voi non ragionasse giammai, o che, se egli ne ragionò, a mia notizia venuto non sia, io per me niuna coscienza aveva di voi se non come se non foste; e emmi tanto più caro l'avervi qui mia sorella trovata, quanto io ci sono più solo e meno questo sperava. E nel vero io non conosco uomo di sì alto affare al quale voi non doveste esser cara, non che a me che un picciolo mercatante sono. Ma d'una cosa vi priego mi facciate chiaro: come sapeste voi che io qui fossi? »

Al quale ella rispose: « Questa mattina mel fè sapere una povera femina la qual molto meco si ritiene, per ciò che con nostro padre, per quello che ella mi dica, lungamente e in Palermo e in Perugia stette, e se non fosse che più onesta cosa mi parea che tu a me venissi in casa tua che io a te nell'altrui, egli ha gran pezza che io a te venuta sarei. »

Appresso queste parole ella cominciò distintamente a domandare di tutti i suoi parenti nominatamente, alla quale di tutti Andreuccio rispose, per questo ancora più credendo quello che meno di creder gli bisognava.

Essendo stati i ragionamenti lunghi e il caldo grande, ella fece venire greco e confetti e fè dar bere a Andreuccio; il quale dopo questo partir volendosi, per ciò che ora di cena era, in niuna guisa il sostenne, ma sembiante fatto di forte turbarsi abbracciandol disse: « Ahi lassa me, ché assai chiaro conosco come io ti sia poco cara! Che è a pensare che tu sii con una tua sorella mai più da te non veduta, e in casa sua, dove, qui venendo, smontato esser dovresti, e vogli di quella uscire per andare a cenare all'albergo? Di vero tu cenerai con esso meco: e perché mio marito non ci sia, di che forte mi grava, io ti saprò bene secondo donna fare un poco d'onore. »

Alla quale Andreuccio, non sappiendo altro che rispondersi, disse: « Io v'ho cara quanto sorella si dee avere, ma se io non ne vado, io sarò tutta sera aspettato a cena e farò villania. »

E ella allora disse: « Lodato sia Idio, se io non ho in casa per cui mandare a dire che tu non sii aspettato! benché tu faresti assai maggior cortesia, e tuo dovere, mandare a dire a' tuoi compagni che qui venissero a cenare, e poi, se pure andare te ne volessi, ve ne potresti tutti andar di brigata. »

Andreuccio rispose che de' suoi compagni non volea quella sera, ma, poi che pure a grado l'era, di lui facesse il piacer suo. Ella allora fè vista di mandare a dire all'albergo che egli non fosse atteso a cena; e poi, dopo molti altri ragionamenti, postisi a cena e splendidamente di più vivande serviti, astutamente quella menò per lunga infino alla notte obscura; e essendo da tavola levati e Andreuccio partir volendosi, ella disse che ciò in niuna guisa sofferrebbe, per ciò che Napoli non era terra da andarvi per entro di notte, e massimamente un forestiere; e che come che egli a cena non fosse atteso aveva mandato a dire, così aveva dello albergo fatto il somigliante. Egli, questo credendo e dilettandogli, da falsa credenza ingannato, d'esser con costei, stette. Furono adunque dopo cena i ragionamenti molti e lunghi non senza cagione tenuti; e essendo della notte una parte passata, ella, lasciato Andreuccio a dormire nella sua camera con un piccol fanciullo che gli mostrasse se egli volesse nulla, con le sue femine in un'altra camera se n'andò.

Era il caldo grande: per la qual cosa Andreuccio, veggendosi solo rimasto, subitamente si spogliò in farsetto e trassesi i panni di gamba e al capo del letto gli si pose; e richiedendo il naturale uso di dovere diporre il superfluo peso del ventre, dove ciò si facesse domandò quel fanciullo, il quale nell'uno de' canti della camera gli mostrò uno uscio e disse: « Andate là entro. » Andreuccio dentro sicuramente passato, gli venne per ventura posto il piè sopra una tavola, la quale dalla contraposta parte sconfitta dal travicello sopra il quale era, per la qual cosa capolevando questa tavola con lui insieme se n'andò quindi giuso: e di tanto l'amò Idio, che niuno male si fece nella caduta, quantunque alquanto cadesse da alto, ma tutto della bruttura, della quale il luogo era pieno, s'imbrattò. Il quale luogo, acciò che meglio intendiate e quello che è detto e ciò che segue, come stesse vi mostrerò. Egli era in un chiassetto stretto, come spesso tra due case veggiamo: sopra due travicelli, tra l'una casa e l'altra posti, alcune tavole eran confitte e il luogo da seder posto, delle quali tavole quella che con lui cadde era l'una.

Ritrovandosi adunque là giù nel chiassetto Andreuccio, dolente del caso, cominciò a chiamare il fanciullo; ma il fanciullo, come sentito l'ebbe cadere, così corse a dirlo alla donna. La quale, corsa alla sua camera, prestamente cercò se i suoi panni v'erano; e trovati i panni e con essi i denari, li quali esso non fidandosi mattamente sempre portava addosso, avendo quello a che ella di Palermo, sirocchia d'un perugin faccendosi, aveva teso il lacciuolo, più di lui non curandosi prestamente andò a chiuder l'uscio del quale egli era uscito quando cadde.

Andreuccio, non rispondendogli il fanciullo, cominciò più forte a chiamare: ma ciò era niente. Per che egli, già sospettando e tardi dello inganno cominciandosi a accorgere salito sopra un muretto che quello chiassolino dalla strada chiudea e nella via disceso, all'uscio della casa, il quale egli molto ben riconobbe, se n'andò, e quivi invano lungamente chiamò e molto il dimenò e percosse. Di che egli piagnendo, come colui che chiara vedea la sua disavventura, cominciò a dire: « Oimè lasso, in come piccol tempo ho io perduti cinquecento fiorini e una sorella! »

E dopo molte altre parole, da capo cominciò a battere l'uscio e a gridare; e tanto fece così che molti de' circunstanti vicini, desti, non potendo la noia sofferire, si levarono; e una delle servigiali della donna, in vista tutta sonnocchiosa, fattasi alla finestra proverbiosamente disse: « Chi picchia là giù? »

« Oh! » disse Andreuccio « o non mi conosci tu? Io sono Andreuccio, fratello di madama Fiordaliso. »

Al quale ella rispose: « Buono uomo, se tu hai troppo bevuto, va dormi e tornerai domattina; io non so che Andreuccio né che ciance son quelle che tu dì; va in buona ora e lasciaci dormir, se ti piace. »

« Come » disse Andreuccio « non sai che io mi dico? Certo sì sai; ma se pur son così fatti i parentadi di Cicilia, che in sì piccol termine si dimentichino, rendimi almeno i panni miei li quali lasciati v'ho, e io m'andrò volentier con Dio. »

Al quale ella quasi ridendo disse: « Buono uomo, e'mi par che tu sogni », e il dir questo e il tornarsi dentro e chiuder la finestra fu una cosa.

Di che Andreuccio, già certissimo de' suoi danni, quasi per doglia fu presso a convertire in rabbia la sua grande ira e per ingiuria propose di rivolere quello che per parole riaver non potea; per che da capo, presa una gran pietra, con troppi maggior colpi che prima fieramente cominiciò a percuotere la porta. La qual cosa molti de' vicini avanti destisi e levatisi, credendo lui essere alcuno spiacevole il quale queste parole fingesse per noiare quella buona femina, recatosi a noia il picchiare il quale egli faceva, fattisi alle finestre, non altramenti che a un can forestiere tutti quegli della contrada abbaiano adosso, cominciarono a dire: « Questa è una gran villania a venire a questa ora a casa le buone femine e dire queste ciance; deh! va con Dio, buono uomo; lasciaci dormir, se ti piace; e se tu hai nulla a far con lei, tornerai domane, e non ci dar questa seccaggine stanotte »

Dalle quali parole forse assicurato uno che dentro dalla casa era, ruffiano della buona femina, il quale egli né veduto né sentito avea, si fece alle finestre e con una boce grossa, orribile e fiera disse: « Chi è laggiù? »

Andreuccio, a quella voce levata la testa, vide uno il quale, per quel poco che comprender potè, mostrava di dovere essere un gran bacalare, con una barba nera e folta al volto, e come se del letto o da alto sonno si levasse sbadigliava e stropicciavasi gli occhi: a cui egli, non senza paura, rispose: « Io sono un fratello della donna di là entro. »

Ma colui non aspettò che Andreuccio finisse la risposta, anzi più rigido assai che prima disse: « Io non so a che io mi tegno che io non vegno là giù, e deati tante bastonate quante io ti vegga muovere, asino fastidioso e ebriaco che tu dei essere, che questa notte non ci lascerai dormire persona »; e tornatosi dentro serrò la finestra.

Alcuni de' vicini, che meglio conoscieno la condizion di colui, umilmente parlando a Andreuccio dissono: « Per Dio, buono uomo, vatti con Dio, non volere stanotte essere ucciso costì : vattene per lo tuo migliore. »

Laonde Andreuccio, spaventato dalla voce di colui e dalla vista e sospinto da' conforti di coloro li quali gli pareva che da carità mossi parlassero, doloroso quanto mai alcuno altro e de' suoi denar disperato, verso quella parte onde il dì aveva la fanticella seguita, senza sa per dove s'andasse, prese la via per tornarsi all'albergo. E a se medesimo dispiacendo per lo puzzo che a lui di lui veniva, disideroso di volgersi al mare per lavarsi, si torse a man sinistra e su per una via chiamata la Ruga Catalana si mise. E verso l'alto della città andando, per ventura davanti si vide due che verso di lui con una lanterna in mano venieno li quali temendo non fosser della famiglia della corte o altri uomini a mal far disposti, per fuggirli, in un casolare, il qual si vide vicino, pianamente ricoverò. Ma costoro, quasi come a quello proprio luogo inviati andassero, in quel medesimo casolare se n'entrarono; e quivi l'un di loro, scaricati certi ferramenti che in collo avea, con l'altro insieme gl'incominciò a guardare, varie cose sopra quegli ragionando.

E mentre parlavano, disse l'uno: « Che vuol dir questo? Io sento il maggior puzzo che mai mi paresse sentire »; e questo detto alzata alquanto la lanterna, ebbe veduto il cattivel d'Andreuccio, e stupefatti domandar: « Chi è là? »

Andreuccio taceva, ma essi avvicinatiglisi con lume il domandarono che quivi così brutto facesse: alli quali Andreuccio ciò che avvenuto gli era narrò interamente. Costoro, imaginando dove ciò gli potesse essere avvenuto, dissero fra sè: « Veramente in casa lo scarabone Buttafuoco fia stato questo. »

E a lui rivolti, disse l'uno: « Buono uomo, come che tu abbi perduti i tuoi denari, tu molto a lodare Idio che quel caso ti venne che tu cadesti né potesti poi in casa rientrare: per ciò che, se caduto non fossi, vivi sicuro che, come prima adormentato ti fossi, saresti stato amazzato e co' denari avresti la persona perduta. Ma che giova oggimai di piagnere? Tu ne potresti così riavere un denaio come avere delle stelle del cielo: ucciso ne potrai tu bene essere, se colui sente che tu mai ne facci parola. »

E detto questo, consigliatisi alquanto, gli dissero: « Vedi, a noi è presa compassion di te: e per ciò, dove tu vogli con noi essere a fare alcuna cosa la quale a fare andiamo, egli ci pare esser molto certi che in parte ti toccherà il valere di troppo più che perduto non hai »

Andreuccio, sì come disperato, rispuose ch'era presto.

Era quel dì sepellito uno arcivescovo di Napoli, chiamato messer Filippo Minutolo, era stato sepellito con ricchissimi ornamenti e con uno rubino in dito il quale valeva oltre cinquecento fiorin d'oro, il quale costoro volevano andare a spogliare; e così a Andreuccio fecer veduto.

Laonde Andreuccio, più cupido che consigliato, con loro si mise in via; e andando verso la chiesa maggiore, e Andreuccio putendo forte, disse l'uno: « Non potremmo noi trovar modo che costui si lavasse un poco dove che sia, che egli non putisse così fieramente? »

Disse l'altro: « Sì, noi siam qui presso a un pozzo al quale suole sempre esser la carrucola e un gran secchione; andianne là e laverenlo spacciatamente. »

Giunti a questo pozzo trovarono che la fune v'era ma il secchione n'era stato levato: per che insieme diliberarono di legarlo alla fune e di collarlo nel pozzo, e egli là giù si lavasse e, come lavato fosse, crollasse la fune e essi il tirerebber suso; e così fecero.

Avvenne che, avendol costor nel pozzo collato, alcuni della famiglia della signoria, li quali e per lo caldo e perché corsi erano dietro a alcuno avendo sete, a quel pozzo venieno a bere: li quali come quegli due videro, incontanente cominciarono a fuggire, li famigliari che quivi venivano a bere non avendogli veduti. Essendo già nel fondo del pozzo Andreuccio lavato, dimenò la fune. Costoro assetati, posti giù lor tavolacci e loro armi e lor gonnelle, cominciarono la fune a tirare credendo a quella il secchion pien d'acqua essere appicato. Come Andreuccio si vide alla sponda del pozzo vicino così, lasciata la fune, con le mani si gittò sopra quella. La qual cosa costoro vedendo, da subita paura presi, senza altro dir lasciaron la fune e cominciarono quanto più poterono a fuggire: di che Andreuccio si maravigliò forte, e se egli non si fosse bene attenuto, egli sarebbe infin nel fondo caduto forse non senza suo gran danno o morte; ma pure uscitone e queste arme trovate, le quali egli sapeva che i suoi compagni non avean portate, ancora più s'incominciò a maravigliare.

Ma dubitando e non sappiendo che, della sua fortuna dolendosi, senza alcuna cosa toccar quindi diliberò di partirsi: e andava senza saper dove. Così andando si venne scontrato in que'due suoi compagni, li quali a trarlo del pozzo venivano; e come il videro, maravigliandosi forte, il domandarono chi del pozzo l'avesse tratto. Andreuccio rispose che non sapea, e loro ordinatamente disse come era avvenuto e quello che trovato aveva fuori del pozzo. Di che costoro, avvisatisi come stato era, ridendo gli contarono perché s'eran fuggiti e chi stati eran coloro che su l'avean tirato. E senza più parole fare, essendo già mezzanotte, n'andarono alla chiesa maggiore, e in quella assai leggiermente entrarono e furono all'arca, la quale era di marmo e molto grande; e con lor ferro il coperchio, ch'era gravissimo, sollevaron tanto quanto uno uomo vi potesse entrare, e puntellaronlo.

E fatto questo, cominciò l'uno a dire: « Chi entrerà dentro? »

A cui l'altro rispose: « Non io. »

« Né io » disse colui « ma entrivi Andreuccio. »

« Questo non farò io » disse Andreuccio.

Verso il quale ammenduni costoro rivolti dissero: « Come non v'enterrai? In fè di Dio, se tu non v'entri, noi ti darem tante d'uno di questi pali di ferro sopra la testa, che noi ti farem cader morto. »

Andreuccio temendo v'entrò, e entrandovi pensò seco: « Costoro mi ci fanno entrare per ingannarmi, per ciò che, come io avrò loro ogni cosa dato, mentre che io penerò a uscir dall'arca, essi se ne andranno pe'fatti loro e io rimarrò senza cosa alcuna. » E per ciò s'avisò di farsi innanzi tratto la parte sua; e ricordatosi del caro anello che aveva loro udito dire, come fu giù disceso così di dito il trasse all'arcivescovo e miselo a sè; e poi dato il pasturale e la mitra è guanti e spogliatolo infino alla camiscia, ogni cosa diè loro dicendo che più niente v'avea. Costoro, affermando che esser vi doveva l'anello, gli dissero che cercasse per tutto: ma esso rispondendo che non trovava e sembiante facendo di cercarne, alquanto li tenne a aspettare. Costoro che d'altra parte eran sì come lui maliziosi,dicendo pur che ben cercasse preso tempo, tirarono via il puntello che il coperchio dell'arca sostenea, e fuggendosi lui dentro dall'arca lasciaron racchiuso. La qual cosa sentendo Andreuccio, qual egli allor divenisse ciascun sel può pensare.

Egli tentò più volte e col capo e con le spalle se alzare potesse il coperchio, ma invano si faticava: per che da grave dolor vinto, venendo meno cadde sopra il morto corpo dell'arcivescovo; e chi allora veduti gli avesse malagevolmente avrebbe conosciuto chi più si fosse morto, o l'arcivescovo o egli. Ma poi che in sé fu ritornato, dirottissimamente cominciò a piagnere, veggendosi quivi senza dubbio all'un de' due fini dover pervenire: o in quella arca, non venendovi alcuni più a aprirla, di fame e di puzzo tra'vermini del morto corpo convenirlo morire, o vegnendovi alcuni e trovandovi lui dentro, sì come ladro dovere essere appiccato. E in così fatti pensieri e doloroso molto stando, sentì per la chiesa andar genti e parlar molte persone, le quali sì come gli avvisava, quello andavano a fare che esso co' suoi compagni avean già fatto: di che la paura gli crebbe forte. Ma poi che costoro ebbero l'arca aperta e puntellata, in quistion caddero chi vi dovesse entrare, e niuno il voleva fare; pur dopo lunga tencione un prete disse: « Che paura avete voi? credete voi che egli vi manuchi? Li morti non mangian uomini: io v'entrerò dentro io. » E così detto, posto il petto sopra l'orlo dell'arca, volse il capo in fuori e dentro mandò le gambe per doversi giuso calare. Andreuccio, questo vedendo, in piè levatosi prese il prete per l'una delle gambe e fè sembiante di volerlo giù tirare. La qual cosa sentendo il prete mise uno strido grandissimo e presto dell'arca si gittò fuori; della qual cosa tutti gli altri spaventati, lasciata l'arca aperta, non altramente a fuggir cominciarono che se da centomilia diavoli fosser perseguitati.

La qual cosa veggendo Andreuccio, lieto oltre a quello che sperava, subito si gittò fuori e per quella via onde era venuto se ne uscì dalla chiesa; e già avvicinandosi al giorno, con quello anello in dito andando all'avventura, pervenne alla marina e quindi al suo albergo si abbattè; dove li suoi compagni e l'albergatore trovò tutta la notte stati in sollecitudine de' fatti suoi. A' quali ciò che avvenuto gli era raccontato, parve per lo consiglio dell'oste loro che costui incontanente si dovesse di Napoli partire; la qual cosa egli fece prestamente e a Perugia tornossi, avendo il suo investito in uno anello, dove per comperare cavalli era andato. --



NOVELLA SESTA

Madonna Beritola, con due cavriuoli sopra una isola trovata, avendo due figliuoli perduti, ne va in Lunigiana; quivi l'un de' figliuoli col signor di lei si pone e con la figliuola di lui giace e è messo in prigione: Cicilia ribellata al re Carlo e il figliuolo riconosciuto dalla madre, sposa la figliuola del suo signore e il suo fratel ritrova e in grande stato ritornano.

Avevan le donne parimente e i giovani riso molto de' casi d'Andreuccio dalla Fiammetta narrati, quando Emilia, sentendo la novella finita, per comandamento della reina così cominciò:

-- Gravi cose e noiose sono i movimenti vari della Fortuna, de' quali perché quante volte alcuna cosa si parla, tante è un destare delle nostre menti, le quali leggiermente s'addormentano nelle sue lusinghe, giudico mai rincrescer non dover l'ascoltare e a' felici e agli sventurati, in quanto li primi rende avvisati e i secondi consola. E per ciò, quantunque gran cose dette ne sieno avanti, io intendo di raccontarvene una novella non meno vera che pietosa; la quale, ancora che lieto fine avesse, fu tanta e sì lunga l'amaritudine, che appena che io possa credere che mai da letizia seguita si raddolcisse.

Carissime donne, voi dovete sapere che appresso la morte di Federigo secondo imperadore fu re di Cicilia coronato Manfredi, appo il quale in grandissimo stato fu un gentile uomo di Napoli chiamato Arrighetto Capece, il quale per moglie avea una bella e gentil donna similmente napoletana, chiamata madonna Beritola Caracciola. Il quale Arrighetto, avendo il governo dell'isola nelle mani, sentendo che il re Carlo primo avea a Benevento vinto e ucciso Manfredi, e tutto il regno a lui si rivolgea, avendo poca sicurtà della corta fede de' ciciliani e non volendo suddito divenire del nimico del suo signore, di fuggire s'apparecchiava. Ma questo da' ciciliani conosciuto, subitamente egli e molti altri amici e servitori del re Manfredi furono per prigioni dati al re Carlo, e la possessione dell'isola appresso. Madonna Beritola in tanto mutamento di cose, non sappiendo che d'Arrighetto si fosse e sempre di quello che era avvenuto temendo, per tema di vergogna, ogni sua cosa lasciata, con un suo figliuolo d'età forse d'otto anni, chiamato Giuffredi, e gravida e povera, montata sopra una barchetta, se ne fuggì a Lipari, e quivi partorì un altro figliuol maschio, il quale nominò lo Scacciato; e presa una balia, con tutti sopra un legnetto montò per tornarsene a Napoli a' suoi parenti.

Ma altramenti avvenne che il suo avviso; perciò che per forza di vento il legno, che a Napoli andar dovea, fu trasportato all'isola di Ponzo, dove, entrati in un picciol seno di mare, cominciarono a attender tempo al loro viaggio. Madama Beritola, come gli altri, smontata in su l'isola e sopra quella un luogo solitario e rimoto trovato, quivi a dolersi del suo Arrighetto si mise tutta sola. E questa maniera ciascun giorno tenendo, avvenne che, essendo ella al suo dolersi occupata, senza che alcuno o marinaro o altri se n'accorgesse, una galea di corsari sopravvenne, la quale tutti a man salva gli prese, e andò via.

Madama Beritola, finito il suo diurno lamento, tornata al lito per rivedere i figliuoli, come usata era di fare, niuna persona vi trovò; di che prima si maravigliò, e poi, subitamente di quello che avvenuto era sospettando, gli occhi infra 'l mare sospinse, e vide la galea, non molto ancora allungata, dietro tirarsi il legnetto; per la qual cosa ottimamente conobbe, sì come il marito, aver perduti i figliuoli; e povera e sola e abbandonata, senza saper dove mai alcuno doversene ritrovare, quivi vedendosi, tramortita, il marito è figliuoli chiamando, cadde in su 'l lito. Quivi non era chi con acqua fredda o con altro argomento le smarrite forze rivocasse; per che a bello agio poterono gli spiriti andar vagando dove lor piacque; ma, poi che nel misero corpo le partite forze insieme colle lagrime e col pianto tornate furono, lungamente chiamò i figliuoli, e molto per ogni caverna gli andò cercando. Ma poi che la sua fatica conobbe vana e vide la notte sopravvenire, sperando e non sappiendo che, di sé medesima alquanto divenne sollicita, e dal lito partitasi, in quella caverna, dove di piagnere e di dolersi era usa, si ritornò.

E poi che la notte con molta paura e con dolore inestimabile fu passata, e il dì nuovo venuto, e già l'ora della terza valicata, essa, che la sera avanti cenato non avea, da fame costretta, a pascere l'erbe si diede; e, pasciuta come potè, piagnendo, a vari pensieri della sua futura vita si diede. Nè quali mentre ella dimorava, vide venire una cavriuola e entrare ivi vicino in una caverna, e dopo alquanto uscirne e per lo bosco andarsene; per che ella, levatasi, là entrò donde uscita era la cavriuola, e videvi due cavriuoli forse il dì medesimo nati, li quali le parevano la più dolce cosa del mondo e la più vezzosa; e, non essendolesi ancora del nuovo parto rasciutto il latte del petto, quegli teneramente prese e al petto gli si pose. Li quali, non rifiutando il servigio, così lei poppavano come la madre avrebber fatto; e d'allora innanzi dalla madre a lei niuna distinzion fecero. Per che, parendo alla gentil donna avere nel diserto luogo alcuna compagnia trovata, l'erbe pascendo e bevendo l'acqua, e tante volte piagnendo quante del marito e de' figliuoli e della sua preterita vita si ricordava, quivi e a vivere e a morire s'era disposta, non meno dimestica della cavriuola divenuta che de' figliuoli.

E così dimorando la gentil donna divenuta fiera, avvenne dopo più mesi che per fortuna similmente quivi arrivò un legnetto di pisani, dove ella prima era arrivata, e più giorni vi dimorò. Era sopra quel legno un gentile uomo chiamato Currado de' marchesi Malespini con una sua donna valorosa e santa; e venivano di pellegrinaggio da tutti i santi luoghi li quali nel regno di Puglia sono, e a casa loro se ne tornavano. Il quale, per passare malinconia, insieme colla sua donna e con alcuni suoi famigliari e con suoi cani, un dì a andare fra l'isola si mise, e non guari lontano al luogo, dove era madama Beritola, cominciarono i cani di Currado a seguire i due cavriuoli, li quali già grandicelli pascendo andavano; li quali cavriuoli da' cani cacciati, in nulla altra parte fuggirono che alla caverna dove era madama Beritola. La quale, questo vedendo, levata in piè e preso un bastone, li cani mandò indietro; e quivi Currado e la sua donna, che i lor cani seguitavano, sopravvenuti, vedendo costei, che bruna e magra e pilosa divenuta era, si maravigliarono, e ella molto più di loro. Ma poi che a' prieghi di lei ebbe Currado i suoi cani tirati indietro, dopo molti prieghi la piegarono a dire chi ella fosse e che quivi facesse; la quale pienamente ogni sua condizione e ogni suo accidente e il suo fiero proponimento loro aperse. Il che udendo Currado, che molto bene Arrighetto Capece conosciuto avea, di compassion pianse, e con parole assai s'ingegnò di rimuoverla da proponimento sì fiero, offerendole di rimenarla a casa sua o di seco tenerla in quello onore che sua sorella, e stesse tanto che Idio più lieta fortuna le mandasse innanzi. Alle quali proferte non piegandosi la donna, Currado con lei lasciò la moglie e le disse che da mangiare quivi facesse venire, e lei, che tutta era stracciata, d'alcuna delle sue robe rivestisse e del tutto facesse che seco la ne menasse. La gentil donna con lei rimasa, avendo prima molto con madama Beritola pianto de' suoi infortuni, fatti venire vestimenti e vivande, colla maggior fatica del mondo a prendergli e a mangiar la condusse; e ultimamente, dopo molti prieghi, affermando ella di mai non volere andare ove conosciuta fosse, la 'ndusse a doversene seco andare in Lunigiana insieme co' due cavriuoli e colla cavriuola, la quale in quel mezzo era tornata e, non senza gran maraviglia della gentil donna, l'avea fatta grandissima festa.

E così venuto il buon tempo, madama Beritola con Currado e colla sua donna sopra il lor legno montò, e con loro insieme la cavriuola e i due cavriuoli (da'quali, non sappiendosi per tutti il suo nome, ella fu Cavriuola dinominata), e con buon vento tosto infino nella foce della Magra n'andarono, dove smontati, alle lor castella ne salirono. Quivi appresso la donna di Currado madama Beritola, in abito vedovile, come una sua damigella, onesta e umile e obediente stette, sempre a' suoi cavriuoli avendo amore e faccendogli nutricare.

I corsari, li quali avevano a Ponzo preso il legno sopra il quale madama Beritola venuta era, lei lasciata sì come da lor non veduta, con tutta l'altra gente a Genova n'andarono; e quivi tra'padroni della galea divisa la preda, tocco'per avventura, tra l'altre cose, in sorte a un messer Guasparrin d'Oria la balia di madama Beritola e i due fanciulli con lei; il quale lei co' fanciulli insieme a casa sua ne mandò, per tenergli a guisa di servi né servigi della casa. La balia, dolente oltre modo della perdita della sua donna e della misera fortuna nella quale sé e i due fanciulli caduti vedea, lungamente pianse. Ma, poi che vide le lacrime niente giovare e sé esser serva con loro insieme, ancora che povera femina fosse, pure era savia e avveduta; per che, prima come potè il meglio riconfortatasi, e appresso riguardando dove erano pervenuti, s'avvisò che, se i due fanciulli conosciuti fossono, per avventura potrebbono di leggiere impedimento ricevere; e oltre a questo sperando che, quando che sia, si potrebbe mutar la fortuna e essi potrebbero, se vivi fossero, nel perduto stato tornare, pensò di non palesare a alcuna persona chi fossero, se tempo di ciò non vedesse; e a tutti diceva, che di ciò domandata l'avessero, che suoi figliuoli erano. E il maggiore non Giuffredi, ma Giannotto di Procida nominava; al minore non curò di mutar nome; e con somma diligenzia mostrò a Giuffredi perché il nome cambiato gli avea e a qual pericolo egli potesse essere se conosciuto fosse; e questo non una volta ma molte e molto spesso, gli ricordava; la qual cosa il fanciullo, che intendente era, secondo l'ammaestramento della savia balia ottimamente faceva. Stettero adunque, e mal vestiti e peggio calzati, a ogni vil servigio adoperati, colla balia insieme pazientemente più anni i due garzoni in casa messer Guasparrin.

Ma Giannotto, già d'età di sedici anni, avendo più animo che a servo non s'apparteneva, sdegnando la viltà della servil condizione, salito sopra galee che in Alessandria andavano, dal servigio di messer Guasparrin si partì, e in più parti andò in niente potendosi avanzare. Alla fine, forse dopo tre o quattro anni appresso la partita fatta da messer Guasparrin, essendo bel giovane e grande della persona divenuto, e avendo sentito il padre di lui, il quale morto credeva che fosse, essere ancor vivo, ma in prigione e in cattività per lo re Carlo guardato, quasi della fortuna disperato, vagabundo andando, pervenne in Lunigiana, e quivi per ventura con Currado Malespina si mise per famigliare, lui assai acconciamente e a grado servendo. E come che rade volte la sua madre, la quale colla donna di Currado era, vedesse, niuna volta la conobbe, né ella lui; tanto la età l'uno e l'altro, da quello che esser soleano quando ultimamente si videro, gli avea trasformati.

Essendo adunque Giannotto al servigio di Currado, avvenne che una figliuola di Currado, il cui nome era Spina, rimasa vedova d'uno Niccolò da Grignano, alla casa del padre tornò; la quale, essendo assai bella e piacevole e giovane di poco più di sedici anni, per ventura pose gli occhi addosso a Giannotto, e egli a lei, e ferventissimamente l'uno dell'altro s'innamorò. Il quale amore non fu lungamente senza effetto; e più mesi durò avanti che di ciò niuna persona s'accorgesse. Per la qual cosa essi, troppo assicurati, cominciarono a tener maniera men discreta che a così fatte cose non si richiedea. E andando un giorno per un bosco bello e folto d'alberi la giovane insieme con Giannotto, lasciata tutta l'altra compagnia, entrarono innanzi; e parendo loro molto di via aver gli altri avanzati, in un luogo dilettevole e pien d'erba e di fiori, e d'alberi chiuso, ripostisi, a prendere amoroso piacere l'un dell'altro incominciarono. E come che lungo spazio stati già fossero insieme, avendo il gran diletto fattolo loro parere molto brieve, in ciò dalla madre della giovane prima, e appresso da Currado, soprappresi furono. Il quale, doloroso oltre modo questo vedendo, senza alcuna cosa dire del perché, amenduni gli fece pigliare a tre suoi servidori e a uno suo castello legati menargliene; e d'ira e di cruccio fremendo andava, disposto di fargli vituperosamente morire.

La madre della giovane, quantunque molto turbata fosse e degna reputasse la figliuola per lo suo fallo d'ogni crudel penitenzia, avendo per alcuna parola di Currado compreso qual fosse l'animo suo verso i nocenti, non potendo ciò comportare, avacciandosi sopraggiunse l'adirato marito, e cominciollo a pregare che gli dovesse piacere di non correr furiosamente a volere nella sua vecchiezza della figliuola divenir micidiale e a bruttarsi le mani del sangue d'un suo fante, e che egli altra maniera trovasse a sodisfare all'ira sua, sì come di fargli imprigionare e in prigione stentare e piagnere il peccato commesso. E tanto e queste e molte altre parole gli andò dicendo la santa donna, che essa da uccidergli l'animo suo rivolse; e comandò che in diversi luoghi ciascun di loro imprigionato fosse, e quivi guardati bene, e con poco cibo e con molto disagio servati infino a tanto che esso altro diliberasse di loro; e così fu fatto.

Quale la vita loro in cattività e in continue lagrime e in più lunghi digiuni che loro non sarien bisognati si fosse, ciascuno sel può pensare. Stando adunque Giannotto e la Spina in vita così dolente e essendovi già uno anno, senza ricordarsi Currado di loro, dimorati, avvenne che il re Piero di Raona, per trattato di messer Gian di Procida, l'isola di Cicilia ribellò e tolse al re Carlo; di che Currado, come ghibellino, fece gran festa.

La quale Giannotto sentendo da alcuno di quelli che a guardia l'aveano, gittò un gran sospiro, e disse: « Ahi lasso me! che passati sono omai quattordici anni che io sono andato tapinando per lo mondo, niuna altra cosa aspettando che questa, la quale, ora che venuta è, acciò che io mai d'aver ben più non speri, m'ha trovato in prigione, della quale mai se non morto uscire non spero! »

« E come? » disse il prigioniere « che monta a te quello che i grandissimi re si facciano? Che avevi tu a fare in Cicilia? »

A cui Giannotto disse: « El pare che 'l cuor mi si schianti, ricordandomi di ciò che già mio padre v'ebbe a fare; il quale, ancora che picciol fanciul fossi quando me ne fuggii, pur mi ricorda che io nel vidi signore, vivendo il re Manfredi. »

Seguì il prigioniere: « E chi fu tuo padre? »

« Il mio padre » disse Giannotto « posso io omai sicuramente manifestare, poi del pericolo mi veggio fuori, il quale io temeva scoprendolo. Egli fu chiamato e è ancora, s'el vive, Arrighetto Capece, e io non Giannotto, ma Giuffredi ho nome; e non dubito punto, se io di qui fossi fuori, che tornando in Cicilia io non vi avessi ancora grandissimo luogo. »

Il valente uomo, senza più avanti andare, come prima ebbe tempo, tutto questo raccontò a Currado. Il che Currado udendo, quantunque al prigioniere mostrasse di non curarsene, andatosene a madonna Beritola, piacevolmente la domandò se alcun figliuolo avesse d'Arrighetto avuto che Giuffredi avesse nome. La donna piagnendo rispose che, se il maggiore de' suoi due che avuti avea fosse vivo, così si chiamerebbe e sarebbe d'eta di ventidue anni.

Questo udendo Currado avvisò lui dovere esser desso, e caddegli nell'animo, se così fosse, che egli a una ora poteva una gran misericordia fare e la sua vergogna e quella della figliuola tor via, dandola per moglie a costui; e per ciò fattosi segretamente Giannotto venire, partitamente d'ogni sua passata vita l'esaminò. E trovando per assai manifesti indizi lui veramente esser Giuffredi, figliuolo d'Arrighetto Capece, gli disse: « Giannotto, tu sai quanta e quale sia la 'ngiuria la qual tu m'hai fatta nella mia propia figliuola, là dove, trattandoti io bene e amichevolmente, secondo che servidor si dee fare, tu dovevi il mio onore e delle mie cose sempre e cercare e operare; e molti sarebbero stati quegli, a' quali se tu quello avessi fatto che a me facesti, che vituperosamente ti avrebber fatto morire; so il che la mia pietà non sofferse. Ora, poi che così è come tu mi dì, che tu figliuolo sé di gentile uomo e di gentil donna, io voglio alle tue angoscie, quando tu medesimo vogli, porre fine e trarti della miseria e della cattività nella qual tu dimori, e a una ora il tuo onore e 'l mio nel suo debito luogo riducere. Come tu sai, la Spina, la quale tu con amorosa, avvegna che sconvenevole a te e a lei, amistà prendesti, è vedova, e la sua dota è grande e buona; quali sieno i suoi costumi, e il padre e la madre di lei, tu il sai; del tuo presente stato niente dico. Per che, quando tu vogli, io sono disposto, dove ella disonestamente amica ti fu, ch'ella onestamente tua moglie divenga e che in guisa di mio figliuolo qui, con esso meco e con lei, quanto ti piacerà dimori. »

Aveva la prigione macerate le carni di Giannotto, ma il generoso animo dalla sua origine tratto non aveva ella in cosa alcuna diminuito, né ancora lo 'ntero amore il quale egli alla sua donna portava. E quantunque egli ferventemente disiderasse quello che Currado gli offereva e sé vedesse nelle sue forze, in niuna parte piegò quello che la grandezza dello animo suo gli mostrava di dover dire, e rispose: « Currado, né cupidità di signoria né desiderio di denari né altra cagione alcuna mi fece mai alla tua vita né alle tue cose insidie, come traditor, porre. Amai tua figliuola e amo e amerò sempre, per ciò che degna la reputo del mio amore; e se io seco fui meno che onestamente, secondo la oppinion de' meccanici, quel peccato commisi, il quale sempre seco tiene la giovanezza congiunto e che, se via si volesse torre, converrebbe che via si togliesse la giovanezza, e il quale, se i vecchi si volessero ricordare d'essere stati giovani e gli altrui difetti colli loro misurare e li loro cogli altrui, non saria grave come tu e molti altri fanno; e come amico e non come nemico il commisi. Quello che tu offeri di voler fare sempre il disiderai, e se io avessi creduto che conceduto mi dovesse esser suto, lungo tempo è che domandato l'avrei; e tanto mi sarà ora più caro, quanto di ciò la speranza è minore. Se tu non hai quello animo che le parole tue dimostrano, non mi pascere di vana speranza; fammi ritornare alla prigione e quivi quanto ti piace mi fa affliggere, ché quanto io amerò la Spina, tanto sempre per amor di lei amerò te, che che tu mi ti facci, e avrotti in reverenza. »

Currado, avendo costui udito, si maravigliò e di grande animo il tenne e il suo amore fervente reputò, e più ne l'ebbe caro; e per ciò levatosi in piè, l'abbracciò e baciò, e senza dar più indugio alla cosa, comandò che quivi chetamente fosse menata la Spina. Ella era nella prigione magra e pallida divenuta e debole, e quasi un'altra femina che esser non soleva parea, e così Giannotto un altro uomo: i quali nella presenzia di Currado di pari consentimento contrassero le sponsalizie secondo la nostra usanza.

E poi che più giorni, senza sentirsi da alcuna persona di ciò che fatto era alcuna cosa, gli ebbe di tutto ciò che bisognò loro e di piacere era fatti adagiare, parendogli tempo di farne le loro madri liete, chiamate la sua donna e la Cavriuola, così verso lor disse: « Che direste voi, madonna, se io vi facessi il vostro figliuolo maggior riavere, essendo egli marito d'una delle mie figliuole? »

A cui la Cavriuola rispose: « Io non vi potrei di ciò altro dire se non che, se io vi potessi più esser tenuta che io non sono, tanto più vi sarei quanto voi più cara cosa che non sono io medesima a me mi rendereste; e rendendomela in quella guisa che voi dite, alquanto in me la mia perduta speranza rivocareste; » e lagrimando si tacque.

Allora disse Currado alla sua donna: « E a te che ne parrebbe, donna, se io così fatto genero ti donassi? »

A cui la donna rispose: « Non che un di loro, che gentili uomini sono, ma un ribaldo, quando a voi piacesse, mi piacerebbe. »

Allora disse Currado: « Io spero infra pochi dì farvi di ciò liete femine. »

E veggendo già nella prima forma i due giovani ritornati, onorevolmente vestitigli, domandò Giuffredi: « Che ti sarebbe caro sopra l'allegrezza la qual tu hai, se tu qui la tua madre vedessi? »

A cui Giuffredi rispose: « Egli non mi si lascia credere che i dolori de' suoi sventurati accidenti l'abbian tanto lasciata viva; ma, se pur fosse, sommamente mi saria caro, sì come colui che ancora per lo suo consiglio mi crederrei gran parte del mio stato ricoverare in Cicilia. »

Allora Currado l'una e l'altra donna quivi fece venire. Elle fecero amendune maravigliosa festa alla nuova sposa, non poco maravigliandosi, quale spirazione potesse essere stata che Currado avesse a tanta benignità recato, che Giannotto con lei avesse congiunto. Al quale madama Beritola, per le parole da Currado udite, cominciò a riguardare, e da occulta virtù desta in lei alcuna rammemorazione de' puerili lineamenti del viso del suo figliuolo, senza aspettare altro dimostramento, colle braccia aperte gli corse al collo; né la soprabondante pietà e allegrezza materna le permisero di potere alcuna parola dire, anzi sì ogni virtù sensitiva le chiusero che quasi morta nelle braccia del figliuol cadde. Il quale, quantunque molto si maravigliasse, ricordandosi d'averla molte volte avanti in quel castello medesimo veduta e mai non riconosciutola, pur non dimeno conobbe incontanente l'odor materno e sé medesimo della sua preterita trascutaggine biasimando, lei nelle braccia ricevuta lagrimando teneramente baciò. Ma poi che madama Beritola, pietosamente dalla donna di Currado e dalla Spina aiutata e con acqua fredda e con altre loro arti, in sé le smarrite forze ebbe rivocate, rabbraccò da capo il figliuolo con molte lagrime e con molte parole dolci; e piena di materna pietà mille volte o più il baciò, e egli lei reverentemente molto la vide e ricevette.

Ma poi che l'accoglienze oneste e liete furo iterate tre e quattro volte, non senza gran letizia e piacere de' circustanti, e l'uno all'altro ebbe ogni suo accidente narrato; avendo già Currado a' suoi amici significato con gran piacere di tutti il nuovo parentado fatto da lui, e ordinando una bella e magnifica festa, gli disse Giuffredi: « Currado, voi avete fatto me lieto di molte cose e lungamente avete onorata mia madre; ora, acciò che niuna parte in quello che per vo'si possa ci resti a fare, vi priego che voi mia madre e la mia festa e me facciate lieti della presenza di mio fratello, il quale in forma di servo messer Guasparrin d'Oria tiene in casa il quale come io vi dissi già, e lui e me prese in corso; e appresso che voi alcuna persona mandiate in Cicilia, il quale pienamente s'informi delle condizioni e dello stato del paese, e mettasi a sentire quello che è d'Arrighetto mio padre, se egli è o vivo o morto; e se è vivo, in che stato; e d'ogni cosa pienamente informato, a noi ritorni. »

Piacque a Currado la domanda di Giuffredi e, senza alcuno indugio, discretissime persone mandò e a Genova e in Cicilia. Colui che a Genova andò, trovato messer Guasparrin, da parte di Currado diligentemente il pregò che lo Scacciato e la sua balia gli dovesse mandare, ordinatamente narrandogli ciò che per Currado era stato fatto verso Giuffredi e verso la madre.

Messer Guasparrin si maraviò forte questo udendo, e disse: « Egli è vero che io farei per Currado ogni cosa, che io potessi, che gli piacesse; e ho bene in casa avuti, già sono quattordici anni, il garzon che tu dimandi e una sua madre, li quali io gli manderò volentieri; ma dira'gli da mia parte che si guardi di non aver troppo creduto o di non credere alle favole di Giannotto, il qual dì che oggi si fa chiamar Giuffredi, per ciò che egli è troppo più malvagio che egli non s'avvisa. »

E così detto, fatto onorare il valente uomo, si fece in segreto chiamar la balia e cautamente la esaminò di questo fatto. La quale, avendo udita la rebellion di Cicilia e sentendo Arrighetto esser vivo, cacciata via la paura che già avuta avea, ordinatamente ogni cosa gli disse. e le cagioni gli mostrò per che quella maniera che fatto aveva tenuta avesse. Messer Guasparrin, veggendo li detti della balia con quegli dello ambasciador di Currado ottimamente convenirsi. cominciò a dar fede alle parole; e per un modo e per un altro, sì come uomo che astutissimo era, fatta inquisizion di questa opera, e più ogni ora trovando cose che più fede gli davano al fatto, vergognandosi del vil trattamento fatto del garzone, in ammenda di ciò, avendo una sua bella figlioletta d'età d'undici anni, conoscendo egli chi Arrighetto era stato e fosse, con una gran dota gli diè per moglie; e, dopo una gran festa di ciò fatta. col garzone e colla figliuola e collo ambasciadore di Currado e colla balia montato sopra una galeotta bene armata, se ne venne a Lerici; dove, ricevuto da Currado, con tutta la sua brigata n'andò a un castel di Currado, non molto di quivi lontano, dove la festa grande era apparecchiata.

Quale la festa della madre fosse rivedendo il suo figliuolo, qual quella de' due fratelli, qual quella di tutti e tre alla fedel balia, qual quella di tutti fatta a messer Guasparrin e alla sua figliuola, e di lui a tutti, e di tutti insieme con Currado e colla sua donna e co' figliuoli e co' suoi amici, non si potrebbe con parole spiegare; e per ciò a voi, donne, la lascio a imaginare. Alla quale, acciò che compiuta fosse, volle Domeneddio, abbondantissimo donatore quando comincia, sopraggiugnere le liete novelle della vita e del buono stato d'Arrighetto Capece.

Per ciò che, essendo la festa grande e i convitati (le donne e gli uomini) alle tavole ancora alla prima vivanda, sopraggiunse colui il quale andato era in Cicilia, e tra l'altre cose, raccontò d'Arrighetto che, essendo egli in Catania per lo re Carlo guardato in prigione quando il romore contro al re si levò nella terra, il popolo a furore corse alla prigione e, uccise le guardie, lui n'avean tratto fuori, e sì come capitale nemico del re Carlo, l'avevano fatto lor capitano e seguitolo a cacciare e a uccidere i franceschi. Per la qual cosa egli sommamente era venuto nella grazia del re Pietro, il quale lui in tutti i suoi beni e in ogni suo onore rimesso aveva; laonde egli era in grande e in buono stato; aggiugnendo che egli aveva lui con sommo onore ricevuto e inestimabile festa aveva fatta della sua donna e del figliuolo, de' quali mai dopo la presura sua niente aveva saputo; e oltre a ciò mandava per loro una saettia con alquanti gentili uomini, li quali appresso venieno. Costui fu con grande allegrezza e festa ricevuto e ascoltato; e prestamente Currado con alquanti dei suoi amici in contro si fecero a' gentili uomini che per madama Beritola e per Giuffredi venieno, e loro lietamente ricevette, e al suo convito, il quale ancora al mezzo non era, gl'introdusse.

Quivi e la donna e Giuffredi e oltre a questi tutti gli altri con tanta letizia gli videro, che mai simile non fu udita; e essi, avanti che a mangiar si ponessero, da parte d'Arrighetto e salutarono e ringraziarono, quanto il meglio seppero e più poterono, Currado e la sua donna dell'onore fatto e alla donna di lui e al figliuolo; e Arrighetto e ogni cosa che per lui si potesse offersero al lor piacere. Quindi a messer Guasparrin rivolti, il cui beneficio era inoppinato, dissero sé essere certissimi che, qualora ciò che per lui verso lo Scacciato stato era fatto da Arrighetto si sapesse, che grazie simiglianti e maggiori rendute sarebbono. Appresso questo, lietissimamente nella festa delle due nuove spose e con li novelli sposi mangiarono.

Nè solo quel dì fece Currado festa al genero e agli altri suoi e parenti e amici, ma molti altri. La quale poi che riposata fu, parendo a madama Beritola e a Giuffredi e agli altri di doversi partire, con molte lagrime da Currado e dalla sua donna e da messer Guasparrin, sopra la saettia montati, seco la Spina menandone, si partirono; e avendo prospero vento, tosto in Cicilia pervennero, dove con tanta festa da Arrighetto tutti parimente, è figliuoli e le donne, furono in Palermo ricevuti, che dire non si potrebbe giammai: dove poi molto tempo si crede che essi tutti felicemente vivessero, e, come conoscenti del ricevuto beneficio, amici di Messer Domeneddio. --



NOVELLA SETTIMA

Il soldano di Babilonia ne manda una sua figliuola a marito al re del Garbo, la quale per diversi accidenti in ispazio di quatro anni alle mani di nove uomini perviene in diversi luoghi: ultimamente, restituita al padre per pulcella, ne va al re del Garbo, come prima faceva, per moglie.

Forse non molto più si sarebbe la novella d'Emilia distesa, che la compassione avuta dalle giovani donne a' casi di madama Beritola loro avrebbe condotte a lagrimare. Ma, poi che a quella fu posta fine, piacque alla reina che Panfilo seguitasse, la sua raccontando; per la qual cosa egli, che ubidientissimo era, incominciò:

-- Malagevolmente, piacevoli donne, si può da noi conoscer quello che per noi si faccia, per ci che, se come assai volte s'è potuto vedere, molti estimando, se essi ricchi divenissero, senza sollecitudine e sicuri poter vivere, quello non solamente con prieghi a Dio addomandarono, ma sollecitamente, non recusando alcuna fatica o pericolo, d'acquistarlo cercarono; e, come che loro venisse fatto, trovarono chi per vaghezza di così ampia eredità gli uccise, li quali avanti che arricchiti fossero amavan la vita loro. Altri di basso stato per mille pericolose battaglie, per mezzo il sangue de' fratelli e degli amici loro saliti all'altezza de' regni, in quegli somma felicità esser credendo, senza le infinite sollecitudini e paure di che piena la videro e sentirono, conobbero, non senza la morte loro, che nell'oro alle mense reali si beveva il veleno. Molti furono che la forza corporale e la bellezza, e certi gli ornamenti, con appetito ardentissimo disiderarono, né prima d'aver mal disiderato s'avvidero, che essi quelle cose loro di morte essere o di dolorosa vita cagione. E acciò che io partitamente di tutti gli umani disideri non parli, affermo niuno poterne essere con pieno avvedimento, sì come sicuro da' fortunosi casi, che da' viventi si possa eleggere; per che, se dirittamente operar volessimo, a quello prendere e possedere ci dovremmo disporre che Colui ci donasse, il quale sol ciò che ci fa bisogno conosce e puolci dare. Ma per ciò che, come che gli uomini in varie cose pecchino disiderando, voi, graziose donne, sommamente peccate in una, cioè nel disiderare d'esser belle, in tanto che, non bastandovi le bellezze che dalla natura concedute vi sono, ancora con maravigliosa arte quelle cercate d'accrescere, mi piace di raccontarvi quanto sventuratamente fosse bella una saracina, alla quale in forse quattro anni avvenne per la sua bellezza di fare nuove nozze da nove volte.

Già è buon tempo passato che di Babilonia fu un soldano, il quale ebbe nome Beminedab, al quale ne'suoi dì assai cose secondo il suo piacere avvennero. Aveva costui, tra gli altri suoi molti figliuoli e maschi e femine, una figliuola chiamata Alatiel, la quale, per quello che ciascuno che la vedeva dicesse, era la più bella femina che si vedesse in quei tempi nel mondo; e per ciò che in una grande sconfitta, la quale aveva data a una gran moltitudine d'arabi che addosso gli eran venuti, l'aveva maravigliosamente aiutato il re del Garbo, a lui, domandandogliele egli di grazia speziale, l'aveva per moglie data, e lei con onorevole compagnia e d'uomini e di donne e con molti nobili e ricchi arnesi fece sopra una nave bene armata e ben corredata montare, e a lui mandandola, l'accomandò a Dio.

I marinari, come videro il tempo ben disposto, diedero le vele a' venti e del porto d'Alessandria si partirono e più giorni felicemente navigarono; e già avendo la Sardigna passata, parendo loro alla fine del loro cammino esser vicini, si levarono subitamente un giorno diversi venti, li quali, essendo ciascuno oltre modo impetuoso, sì faticarono la nave dove la donna era e'marinari, che più volte per perduti si tennero. Ma pure, come valenti uomini, ogni arte e ogni forza operando, essendo da infinito mare combattuti, due dì sostennero; e surgendo già dalla tempesta cominciata la terza notte, e quella non cessando ma crescendo tutta fiata, non sappiendo essi dove si fossero né potendolo per estimazion marinaresca comprendere né per vista, per ciò che oscurissimo di nuvoli e di buia notte era il cielo, essendo essi non guari sopra Maiolica, sentirono la nave sdrucire.

Per la qual cosa, non veggendovi alcun rimedio al loro scampo, avendo a mente ciascun sè medesimo e non altrui, in mare gittarono un paliscalmo, e sopra quello più tosto di fidarsi disponendo, che sopra la isdrucita nave, si gittarono i padroni; a' quali appresso or l'uno or l'altro di quanti uomini erano nella nave, quantunque quelli che prima nel paliscalmo eran discesi colle coltella in mano il contradicessero, tutti si gittarono; e, credendosi la morte fuggire, in quella incapparono; per ciò che non potendone per la contrarietà del tempo tanti reggere il paliscalmo, andato sotto, tutti quanti perirono. E la nave, che da impetuoso vento era sospinta, quantunque sdrucita fosse e già presso che piena d'acqua, non essendovi su rimasa altra persona che la donna e le sue femine (e quelle tutte per la tempesta del mare e per la paura vinte su per quella quasi morte giacevano), velocissimamente correndo, in una piaggia dell'isola di Maiolica percosse. E fu tanta e sì grande la foga di quella, che quasi tutta si ficcò nella rena vicina al lito forse una gittata di pietra; e quivi dal mar combattuta, la notte, senza poter più dal vento esser mossa, si stette.

Venuto il giorno chiaro e alquanto la tempesta acchetata, la donna, che quasi mezza morta era, alzò la testa, e così debole come era cominciò a chiamare ora uno e ora un altro della sua famiglia; ma per niente chiamava, ché i chiamati eran troppo lontani. Per che, non sentendosi rispondere a alcuno né alcuno veggendone, si maravigliò molto e cominciò a avere grandissima paura; e come meglio potè levatasi, le donne che in compagnia di lei erano e l'altre femine tutte vide giacere, e or l'una e or l'altra dopo molto chiamare tentando, poche ve ne trovò che avessono sentimento, sì come quelle che, tra per grave angoscia di stomaco e per paura morte s'erano; di che la paura alla donna divenne maggiore. Ma nondimeno, strignendola necessità di consiglio, per ciò che quivi tutta sola si vedeva, non conoscendo o sappiendo dove si fosse, pure stimolò tanto quelle che vive erano, che su le fece levare; e trovando quelle non sapere dove gli uomini andati fossero, e veggendo la nave in terra percossa e d'acqua piena, con quelle insieme dolorosamente cominciò a piagnere. E già era ora di nona, avanti che alcuna persona su per lo lito o in altra parte vedessero, a cui di sé potessero fare venire alcuna pietà a aiutarle.

In su la nona, per avventura da un suo luogo tornando, passò quindi un gentile uomo, il cui nome era Pericon da Visalgo, con più suoi famigli a cavallo; il quale, veggendo la nave, subitamente imaginò ciò che era e comandò a un de' famigli che senza indugio procacciasse di su montarvi e gli raccontasse ciò che vi fosse. Il famigliare, ancora che con difficultà il facesse, pur vi montò su, e trovò la gentil giovane, con quella poca compagnia che avea, sotto il becco della proda della nave tutta timida star nascosa. Le quali, come costui videro, piagnendo più volte misericordia addomandarono; ma, accorgendosi che intese non erano, né esse lui intendevano, con atti s'ingegnarono di dimostrare la loro disavventura. Il famigliare, come potè il meglio ogni cosa ragguardata, raccontò a Pericone ciò che su v'era; il quale, prestamente fattone giù torre le donne e le più preziose cose che in essa erano e che aver si potessono, con esse n'andò a un suo castello; e quivi con vivande e con riposo riconfortate le donne, comprese, per gli arnesi ricchi, la donna che trovata avea dovere essere gran gentil donna, e lei prestamente conobbe all'onore che vedeva dall'altre fare a lei sola. E quantunque pallida e assai male in ordine della persona per la fatica del mare allor fosse la donna, pur parevano le sue fattezze bellissime a Pericone; per la qual cosa subitamente seco diliberò, se ella marito non avesse, di volerla per moglie, e se per moglie avere non la potesse, di volere avere la sua amistà.

Era Pericone uomo di fiera vista e robusto molto; e avendo per alcun dì la donna ottimamente fatta servire, e per questo essendo ella riconfortata tutta, veggendola esso oltre a ogni estimazione bellissima, dolente senza modo che lei intendere non poteva né ella lui, e così non poter saper chi si fosse, acceso nondimeno della sua bellezza smisuratamente, con atti piacevoli e amorosi s'ingegnò d'inducerla a fare senza contenzione i suoi piaceri. Ma ciò era niente: ella rifiutava del tutto la sua dimestichezza; e intanto più s'accendeva l'ardore di Pericone. Il che la donna veggendo, e già quivi per alcuni giorni dimorata, e per li costumi avvisando che tra cristiani era e in parte dove, se pure avesse saputo, il farsi conoscere le montava poco, avvisandosi che a lungo andare o per forza o per amore le converrebbe venire a dovere i piaceri di Pericon fare, con altezza d'animo seco propose di calcare la miseria della sua fortuna, e alle sue femine, che più che tre rimase non le ne erano, comandò che a alcuna persona mai manifestassero chi fossero, salvo se in parte si trovassero dove aiuto manifesto alla lor libertà conoscessero; oltre a questo sommamente confortandole a conservare la loro castità, affermando sé aver seco proposto che mai di lei se non il suo marito goderebbe. Le sue femine di ciò la commendarono, e dissero di servare al loro potere il suo comandamento.

Pericone, più di giorno in giorno accendendosi, e tanto più quanto più vicina si vedeva la disiderata cosa e più negata, e veggendo che le sue lusinghe non gli valevano, di spose lo 'ngegno e l'arti, riserbandosi alla fine le forze. E essendosi avveduto alcuna volta che alla donna piaceva il vino, sì come a colei che usata non n'era di bere per la sua legge che il vietava, con quello, sì come con ministro di Venere, s'avvisò di poterla pigliare; e mostrando di non aver cura di ciò che ella si mostrava schifa, fece una sera, per modo di solenne festa, una bella cena, nella quale la donna venne; e in quella, essendo di molte cose la cena lieta, ordinò con colui che a lei serviva, che di vari vini mescolati le desse bere. Il che colui ottimamente fece; e ella, che di ciò non si guardava, dalla piacevolezza del beveraggio tirata, più ne prese che alla sua onestà non sarebbe richiesto; di che ella, ogni avversità trapassata dimenticando, divenne lieta, e veggendo alcune femine alla guisa di Maiolica ballare, essa alla maniera alessandrina ballò. Il che veggendo Pericone, esser gli parve vicino a quel che egli disiderava; e continuando in più abbondanza di cibi e di beveraggi la cena, per grande spazio di notte la prolungò.

Ultimamente, partitisi i convitati, colla donna solo se n'entrò nella camera; la quale, più calda di vino che d'onestà temperata, quasi come se Pericone una delle sue femine fosse, senza alcuno ritegno di vergogna, in presenza di lui spogliatasi, se n'entrò nel letto. Pericone non diede indugio a seguitarla; ma spento ogni lume, prestamente dall'altra parte le si coricò allato, e in braccio recatalasi, senza alcuna contradizione di lei, con lei incominciò amorosamente a sollazzarsi; il che poi che ella ebbe sentito, non avendo mai davanti saputo con che corno gli uomini cozzano, quasi pentuta del non avere alle lusinghe di Pericone assentito, senza attendere d'essere a così dolci notti invitata, spesse volte sé stessa invitava, non colle parole, ché non si sapea fare intendere, ma co' fatti.

A questo gran piacere di Pericone e di lei, non essendo la fortuna contenta d'averla di moglie d'un re fatta divenire amica d'un castellano, le si parò davanti più crudele amistà. Aveva Pericone un fratello d'età di venticinque anni, bello e fresco come una rosa, il cui nome era Marato; il quale, avendo costei veduta e essendogli sommamente piaciuta, parendogli, secondo che per gli atti di lei poteva comprendere, essere assai bene della grazia sua e estimando che ciò che di lei disiderava niuna cosa gliele toglieva se non la solenne guardia che faceva di lei Pericone, cadde in un crudel pensiero, e al pensiero seguì senza indugio lo scelerato effetto.

Era allora per ventura nel porto della città una nave, la quale di mercatantia era carica per andare in Chiarenza in Romania, della quale due giovani genovesi eran padroni, e già aveva collata la vela per doversi, come buon vento fosse, partire; colli quali Marato convenutosi, ordinò come da loro colla donna la seguente notte ricevuto fosse. E questo fatto, faccendosi notte, seco ciò che far doveva avendo disposto, alla casa di Pericone, il quale di niente da lui si guardava, sconosciutamente se n'andò con alcuni suoi fidatissimi compagni, li quali a quello che fare intendeva richiesti aveva, e nella casa, secondo l'ordine tra lor posto, si nascose. E poi che parte della notte fu trapassata, aperto a' suoi compagni, là dove Pericon colla donna dormiva n'andarono, e quella aperta, Pericon dormente uccisono, e la donna desta e piagnente minacciando di morte, se alcun romore facesse, presero; e con gran parte delle più preziose cose di Pericone, senza essere stati sentiti, prestamente alla marina n'andarono, e quivi senza indugio sopra la nave se ne montarono Marato e la donna, e'suoi compagni se ne tornarono.

I marinari, avendo buon vento e fresco, fecero vela al lor viaggio. La donna amaramente e della sua prima sciagura e di questa seconda si dolfe molto; ma Marato col santo cresci in man che Dio ci diè la cominciò per sì fatta maniera a consolare, che ella, già con lui dimesticatasi, Pericone dimenticato aveva; e già le pareva star bene quando la fortuna l'apparecchiò nuova tristizia, quasi non contenta delle passate. Per ciò che, essendo ella di forma bellissima, sì come già più volte detto avemo, e di maniere laudevoli molto, sì forte di lei i due giovani padroni della nave s'innamorarono che, ogn'altra cosa dimenticatane, solamente a servirle e a piacerle intendevano, guardandosi sempre non Marato s'accorgesse della cagione.

E essendosi l'un dell'altro di questo amore avveduto, di ciò ebbero insieme segreto ragionamento, e convennersi di fare l'acquisto di questo amor comune, quasi amore così questo dovesse patire, come la mercatantia o i guadagni fanno. E veggendola molto da Marato guardata, e per ciò alla loro intenzione impediti, andando un dì a vela velocissimamente la nave, e Marato standosi sopra la poppa e verso il mare riguardando, di niuna cosa da loro guardandosi, di concordia andarono e, lui prestamente di dietro preso, il gittarono in mare; e prima per ispazio di più d'un miglio dilungati furono, che alcuno si fosse pure avveduto Marato esser caduto in mare; il che sentendo la donna, e non veggendosi via da poterlo ricoverare, nuovo cordoglio sopra la nave a far cominciò.

Al conforto della quale i due amanti incontanente vennero, e con dolci parole e con promesse grandissime, quantunque ella poco intendesse, lei, che non tanto il perduto Marato quanto la sua sventura piagnea, s'ingegnavan di racchetare. E dopo lunghi sermoni e una e altra volta con lei usati, parendo loro lei quasi avere racconsolata, a ragionamento vennero tra sé medesimi, qual prima di loro la dovesse con seco menare a giacere. E, volendo ciascuno essere il primo, né potendosi in ciò tra loro alcuna concordia trovare, prima con parole grave e dura riotta incominciarono, e da quella accesi nell'ira, messo mano alle coltella, furiosamente s'andarono addosso, e più colpi, non potendo quelli che sopra la nave erano dividergli, si diedono insieme: de' quali incontanente l'un cadde morto e l'altro in molte parti della persona gravemente fedito rimase in vita. Il che dispiacque molto alla donna, sì come a colei che quivi sola senza aiuto o consiglio d'alcun si vedea, e temeva forte non sopra lei l'ira si volgesse de' parenti e degli amici de' due padroni; ma i prieghi del fedito e il prestamente pervenire a Chiarenza, dal pericolo della morte la liberarono. Dove col fedito insieme discese in terra, e con lui dimorando in uno albergo, subitamente corse la fama della sua gran bellezza per la città, e agli orecchi del prenze della Morea, il quale allora era in Chiarenza, pervenne; laonde egli veder la volle, e vedutola, e oltre a quello che la fama portava bella parendogli, sì forte di lei subitamente s'innamorò, che a altro non poteva pensare. E avendo udito in che guisa quivi pervenuta fosse, s'avvisò di doverla potere avere. E cercando de' modi, e i parenti del fedito sappiendolo, senza altro aspettare, prestamente gliele mandarono; il che al prenze fu sommamente caro e alla donna altressì, per ciò che fuor d'un gran pericolo esser le parve.

Il prenze vedendola oltre alla bellezza ornata di costumi reali, non potendo altramenti saper chi ella si fosse, nobile donna dovere essere l'estimò, e per tanto il suo amore in lei si raddoppiò; e onorevolmente molto tenendola, non a guisa d'amica, ma di sua propia moglie la trattava. Il perché, avendo a' trapassati mali alcun rispetto la donna e parendole assai bene stare, tutta riconfortata e lieta divenuta, in tanto le sue bellezze fiorirono, che di niuna altra cosa pareva che tutta la Romania avesse da favellare.

Per la qual cosa al duca d'Atene, giovane e bello e pro'della persona, amico e parente del prenze, venne disidero di vederla; e mostrando di venirlo a visitare, come usato era talvolta di fare, con bella e onorevole compagnia se ne venne a Chiarenza, dove onorevolmente fu ricevuto e con gran festa. Poi dopo alcuni dì venuti insieme a ragionamento delle bellezze di questa donna, domandò il duca se così era mirabil cosa come si ragionava.

A cui il prenze rispose: « Molto più! ma di ciò non le mie parole ma gli occhi tuoi voglio ti faccian fede. »

A che sollecitando il duca il prenze, insieme n'andarono là dove ella era; la quale costumatamente molto e con lieto viso, avendo davanti sentita la lor venuta, gli ricevette; e in mezzo di loro fattala sedere, non si potè di ragionar con lei prender piacere, per ciò che essa poco o niente di quella lingua intendeva. Per che ciascun lei, sì come maravigliosa cosa, guardava, e il duca massimamente, il quale appena seco poteva credere lei essere cosa mortale; e non accorgendosi, riguardandola, dell'amoroso veleno che egli con gli occhi bevea, credendosi al suo piacer sodisfare mirandola, sé stesso miseramente impacciò, di lei ardentissimamente innamorandosi. E poi che da lei insieme col prenze partito si fu e ebbe spazio di poter pensare seco stesso, estimava il prenze sopra ogni altro felice, sì bella cosa avendo al suo piacere; e, dopo molti e vari pensieri, pesando più il suo focoso amore che la sua onestà, diliberò, che che avvenir se ne dovesse, di privare di questa felicità il prenze e sé a suo potere farne felice.

E avendo l'animo al doversi avacciare, lasciando ogni ragione e ogni giustizia dall'una delle parti, agl'inganni tutto il suo pensier dispose; e un giorno, secondo l'ordine malvagio da lui preso, insieme con un segretissimo cameriere del prenze, il quale avea nome Ciuriaci, segretissimamente tutti i suoi cavalli e le sue cose fece mettere in assetto per doversene andare; e la notte vegnente insieme con un compagno, tutti armati, messo fu dal predetto Ciuriaci nella camera del prenze chetamente, il quale egli vide che per lo gran caldo che era, dormendo la donna, esso tutto ignudo si stava a una finestra volta alla marina a ricevere un venticello che da quella parte veniva. Per la qual cosa, avendo il suo compagno davanti informato di quello che avesse a fare, chetamente n'andò per la camera infino alla finestra, e quivi con un coltello ferito il prenze per le reni, infino all'altra parte il passò e, prestamente presolo, dalla finestra il gittò fuori. Era il palagio sopra il mare, e alto molto, e quella finestra alla quale allora era il prenze, guardava sopra certe case dall'impeto del mare fatte cadere, nelle quali rade volte o non mai andava persona; per che avvenne, sì come il duca davanti avea provveduto, che la caduta del corpo del prenze da alcuno non fu né potè esser sentita.

Il compagno del duca ciò veggendo esser fatto, prestamente un capestro da lui per ciò portato, faccendo vista di fare carezze a Ciuriaci, gli gittò alla gola, e tirò sì che Ciuriaci niuno romore potè fare; e sopraggiuntovi il duca, lui strangolarono, e dove il prenze gittato avea il gittarono. E questo fatto, manifestamente conoscendo sé non esser stati né dalla donna né da altrui sentiti, prese il duca un lume in mano, e quello portò sopra il letto, e chetamente tutta la donna, la quale fisamente dormiva, scoperse; e riguardandola tutta, la lodò sommamente, e se vestita gli era piaciuta, oltre a ogni comparazione ignuda gli piacque. Per che, di più caldo disio accesosi, non spaventato dal ricente peccato da lui commesso, con le mani ancor sanguinose, allato le si coricò e con lei, tutta sonnocchiosa e credente che il prenze fosse, si giacque.

Ma poi che alquanto con grandissimo piacere fu dimorato con lei, levatosi e fatto alquanti de' suoi compagni quivi venire, fe'prender la donna in guisa che romore far non potesse, e per una falsa porta, dond'egli entrato era, trattala, e a caval messala, quanto più potè tacitamente, con tutti i suoi entrò in cammino, e verso Atene se ne tornò. Ma (per ciò che moglie aveva) non in Atene, ma a un suo bellissimo luogo, che poco di fuori dalla città sopra il mare aveva, la donna più che altra dolorosa mise, quivi nascosamente tenendola e faccendola onorevolmente di ciò che bisognava servire.

Aveano la seguente mattina i cortigiani del prenze infino a nona aspettato che il prenze si levasse; ma niente sentendo, sospinti gli usci delle camere, che solamente chiusi erano, e niuna persona trovandovi, avvisando che occultamente in alcuna parte andato fosse per istarsi alcun dì a suo diletto con quella sua bella donna, più non si dierono impaccio. E così standosi, avvenne che il dì seguente un matto, entrato intra le ruine dove il corpo del prenze e di Ciuriaci erano, per lo capestro tirò fuori Ciuriaci, e andavaselo tirando dietro. Il quale non senza gran maraviglia fu riconosciuto da molti, li quali con lusinghe fattisi menare al matto là, onde tratto l'avea, quivi, con grandissimo dolore di tutta la città, quello del prenze trovarono, e onorevolmente il sepellirono; e de' commettitori di così grande eccesso investigando, e veggendo il duca d'Atene non esservi, ma essersi furtivamente partito, estimarono, così come era, lui dovere aver fatto questo e menatasene la donna. Per che prestamente in lor prenze un fratello del morto prenze sustituendo, lui alla vendetta con ogni lor potere incitarono; il quale, per più altre cose poi accertato così essere come imaginato avieno, richiesti e amici e parenti e servidori di diverse parti, prestamente congregò una bella e grande e poderosa oste, e a far guerra al duca d'Atene si dirizzò.

Il duca, queste cose sentendo, a difesa di sé similmente ogni suo sforzo apparecchiò, e in aiuto di lui molti signor vennero, tra'quali, mandati dallo imperadore di Costantino poli, furono Constanzio suo figliuolo e Manovello suo nepote, con bella e con gran gente; li quali dal duca onorevolemente ricevuti furono, e dalla duchessa più, per ciò che loro sirocchia era.

Appressandosi di giorno in giorno più alla guerra le cose, la duchessa, preso tempo, amenduni nella camera se gli fece venire, e quivi con lagrime assai e con parole molte tutta la istoria narrò, le cagioni della guerra mostrando e il dispetto a lei fatto dal duca della femina, la quale nascosamente si credeva tenere; e forte di ciò condogliendosi, gli pregò che allo onor del duca e alla consolazion di lei quello compenso mettessero, che per loro si potesse il migliore. Sapevano i giovani tutto il fatto come stato era: e per ciò, senza troppo addomandar, la duchessa come seppero il meglio riconfortarono e di buona speranza la riempirono; e da lei informati dove stesse la donna, si dipartirono.

E avendo molte volte udita la donna di maravigliosa bellezza commendare, disideraron di vederla e il duca pregarono che loro la mostrasse. Il quale, mal ricordandosi di ciò che al prenze avvenuto era per averla mostrata a lui, promise di farlo; e fatto in un bellissimo giardino, che nel luogo,dove la donna dimorava era, apparecchiare un magnifico desinare, loro la seguente mattina con pochi altri compagni a mangiar con lei menò. E sedendo Constanzio con lei, la cominciò a riguardare pieno di maraviglia, seco affermando mai sì bella cosa non aver veduta, e che per certo per iscusato si doveva avere il duca e qualunque altro che, per avere una così bella cosa, facesse tradimento o altra disonesta cosa; e una volta e altra mirandola, e più ciascuna commendandola, non altramenti a lui avvenne che al duca avvenuto era. Per che, da lei innamorato partitosi, tutto il pensiero della guerra abbandonato, si diede a pensare come al duca torre la potesse, ottimamente a ciascuna persona il suo amor celando.

Ma mentre che esso in questo fuoco ardeva, sopravenne il tempo d'uscire contro al prenze, che già alle terre del duca s'avvicinava; per che il duca e Constanzio e gli altri tutti, secondo l'ordine dato, d'Atene usciti, andarono a contrastare a certe frontiere, acciò che più avanti non potesse il prenze venire. E quivi per più dì dimorando, avendo sempre Constanzio l'animo e 'l pensiero a quella donna, imaginando che, ora che 'l duca non l'era vicino, assai bene gli potrebbe venir fatto il suo piacere, per aver cagione di tornarsi a Atene si mostrò forte della persona disagiato; per che, con licenzia del duca, commessa ogni sua podestà in Manovello, a Atene se ne venne alla sorella, e quivi, dopo alcun dì, messala nel ragionare del dispetto che dal duca le pareva ricevere per la donna la qual teneva, le disse che, dove ella volesse, egli assai bene di ciò l'aiuterebbe, faccendola di colà ove era trarre e menarla via. La duchessa, estimando Constanzio questo per amore di lei e non della donna fare, disse che molto le piacea, sì veramente dove in guisa si facesse che il duca mai non risapesse che essa a questo avesse consentito; il che Constanzio pienamente le promise. Per che la duchessa consentì che egli, come il meglio gli paresse, facesse.

Constanzio chetamente fece armare una barca sottile, e quella una sera ne mandò vicina al giardino dove dimorava la donna, informati de' suoi che su v'erano quello che a fare avessero, e appresso con altri n'andò al palagio dove era la donna; dove da quegli che quivi al servigio di lei erano fu lietamente ricevuto, e ancora dalla donna, e con esso lui da' suoi servidori accompagnata e da' compagni di Constanzio, sì come gli piacque, se n'andò nel giardino.

E quasi alla donna da parte del duca parlar volesse, con lei verso una porta che sopra il mare usciva solo se n'andò, la quale già essendo da uno de suoi compagni aperta, e quivi col segno dato chiamata la barca, fattala prestamente prendere e sopra la barca porre, rivolto alla famiglia di lei disse: « Niuno se ne muova né faccia motto, se egli non vuol morire, per ciò che io intendo non di rubare al duca la femina sua, ma di torre via l'onta la quale egli fa alla mia sorella. »

A questo niuno ardì di rispondere; per che Constanzio co' suoi sopra la barca montato e alla donna che piagnea accostatosi, comandò che de' remi dessero in acqua e andasser via. Li quali, non vogando ma volando, quasi in sul dì del seguente giorno a Egina pervennero.

Quivi in terra discesi e riposandosi, Constanzio colla donna, che la sua sventurata bellezza piagnea, si sollazzò; quindi, rimontati in su la barca, infra pochi giorni pervennero a Chios, e quivi, per tema delle riprensioni del padre e che la donna rubata non gli fosse tolta, piacque a Constanzio, come in sicuro luogo, di rimanersi; dove più giorni la bella donna pianse la sua disavventura; ma pur poi da Constanzio riconfortata, come l'altre volte fatto avea, s'incominciò a prendere piacere di ciò che la fortuna avanti l'apparecchiava.

Mentre queste cose andavano in questa guisa, Osbech, allora re de' turchi, il quale in continua guerra stava collo imperadore, in questo tempo venne per caso alle Smirre; e quivi udendo come Constanzio in lasciva vita con una sua donna, la quale rubata avea, senza alcun provedimento si stava in Chios, con alcuni legnetti armati là andatone una notte e tacitamente colla sua gente nella terra entrato, molti sopra le letta ne prese prima che s'accorgessero li nemici esser sopravenuti; e ultimamente alquanti, che, risentiti, erano all'arme corsi, n'uccisero; e arsa tutta la terra, e la preda e'prigioni sopra le navi posti, verso le Smirre si ritornarono. Quivi pervenuti, trovando Osbech, che giovane uomo era, nel riveder della preda, la bella donna, e conoscendo questa esser quella che con Constanzio era stata sopra il letto dormendo presa, fu sommamente contento veggendola; e senza niuno indugio sua moglie la fece e celebrò le nozze e con lei si giacque più mesi lieto.

Lo 'mperadore il quale, avanti che queste cose avvenissero, aveva tenuto trattato con Basano, re di Capadocia, acciò che sopra Osbech dall'una parte con le sue forze discendesse, e egli colle sue l'assalirebbe dall'altra, né ancora pienamente l'aveva potuto fornire, per ciò che alcune cose le quali Basano addomandava, sì come meno convenevoli, non aveva voluto fare, sentendo ciò che al figliuolo era avvenuto, dolente fuor di misura, senza alcuno indugio ciò che il re di Capadocia domandava fece, e lui quanto più potè allo scendere sopra Osbech sollecitò, apparecchiandosi egli d'altra parte d'andargli addosso. Osbech, sentendo questo, il suo essercito ragunato, prima che da due potentissimi signori fosse stretto in mezzo, andò contro al re di Capadocia, lasciata nelle Smirre a guardia d'un suo fedel famigliare e amico la sua bella donna, e col re di Capadocia dopo alquanto tempo affrontatosi combatté, e fu nella battaglia morto e il suo essercito sconfitto e disperso. Per che Basano vittorioso cominciò liberamente a venirsene verso le Smirre, e vegnendo, ogni gente a lui, sì come a vincitore, ubidiva.

Il famigliar d'Osbech, il cui nome era Antioco, a cui la bella donna era a guardia rimasa, ancora che attempato fosse, veggendola così bella, senza servare al suo amico e signor fede, di lei s'innamorò; e sappiendo la lingua di lei (il che molto a grado l'era, sì come a colei alla quale parecchi anni a guisa quasi di sorda e di mutola era convenuta vivere, per lo non aver persona inteso, né essa essere stata intesa da persona), da amore incitato, cominciò seco tanta famigliarità a pigliare in pochi dì, che non dopo molto, non avendo riguardo al signor loro che in arme e in guerra era, fecero la dimestichezza non solamente amichevole, ma amorosa divenire, l'uno dell'altro pigliando sotto le lenzuola maraviglioso piacere.

Ma sentendo costoro Osbech essere vinto e morto, e Basano ogni cosa venir pigliando, insieme per partito presero di quivi non aspettarlo; ma, presa grandissima parte delle più care cose che quivi eran d'Osbech, insieme nascosamente se n'andarono a Rodi; e quivi non guari di tempo dimorarono, che Antioco infermò a morte. Col quale tornando per ventura un mercatante cipriano, da lui molto amato e sommamente suo amico, sentendosi egli verso la fine venire, pensò di volere e le sue cose e la sua cara donna lasciare a lui.

E già alla morte vicino, amenduni gli chiamò così dicendo: « Io mi veggio senza alcun fallo venir meno; il che mi duole, per ciò che di vivere mai non mi giovò come or faceva. È il vero che d'una cosa contentissimo muoio, per ciò che, pur dovendo morire, mi veggio morire nelle braccia di quelle due persone le quali io più amo che alcune altre che al mondo ne sieno, cioè nelle tue, carissimo amico, e in quelle di questa donna, la quale io più che me medesimo ho amata poscia che io la conobbi. E' il vero che grave m'è, lei sentendo qui forestiera e senza aiuto e senza consiglio, morendomi io, rimanere; e più sarebbe grave ancora, se io qui non sentissi te, il quale io credo che quella cura di lei avrai per amor di me, che di me medesimo avresti; e per ciò quanto più posso ti priego, che s'egli avviene che io muoia, che le mie cose e ella ti sieno raccomandate, e quello dell'une e dell'altra facci, che credi che sia consolazione dell'anima mia. E te, carissima donna, priego che dopo la mia morte me non dimentichi, acciò che io di là vantar mi possa, che io di qua amato sia dalla più bella donna che mai formata fosse dalla natura. Se di queste due cose voi mi darete intera speranza, senza niun dubbio n'andrò consolato. »

L'amico mercatante e la donna similmente, queste parole udendo, piagnevano; e avendo egli detto, il confortarono e promisongli sopra la lor fede di quel fare che egli pregava, se avvenisse che el morisse. Il quale non stette guari che trapassò e da loro fu onorevolmente fatto sepellire.

Poi, pochi dì appresso, avendo il mercatante cipriano ogni suo fatto in Rodi spacciato e in Cipri volendosene tornare sopra una cocca di catalani che v'era, domandò la bella donna quello che far volesse, con ciò fosse cosa che a lui convenisse in Cipri tornare. La donna rispose che con lui, se gli piacesse, volentieri se n'andrebbe, sperando che per amor d'Antioco da lui come sorella sarebbe trattata e riguardata. Il mercatante rispose che d'ogni suo piacere era contento; e acciò che da ogni ingiuria che sopravenire le potesse avanti che in Cipri fosser la difendesse, disse che era sua moglie. E sopra la nave montati, data loro una cameretta nella poppa, acciò che i fatti non paressero alle parole contrari, con lei in uno lettuccio assai piccolo si dormiva. Per la qual cosa avvenne quello che né dell'un né dell'altro nel partir da Rodi era stato intendimento, cioè che incitandogli il buio e l'agio e 'l caldo del letto, le cui forze non son piccole, dimenticata l'amistà e l'amor d'Antioco morto, quasi da iguale appetito tirati, cominciatisi a stuzzicare insieme, prima che a Baffa giugnessero, là onde era il cipriano, insieme fecero parentado; e a Baffa pervenuti, più tempo insieme col mercatante si stette.

Avvenne per ventura che a Baffa venne per alcuna sua bisogna un gentile uomo, il cui nome era Antigono, la cui età era grande, ma il senno maggiore, e la ricchezza piccola; per ciò che in assai cose intramettendosi egli ne'servigi del re di Cipri, gli era la fortuna stata contraria. Il quale, passando un giorno davanti la casa dove la bella donna dimorava, essendo il cipriano mercatante andato con sua mercatantia in Erminia, gli venne per ventura a una finestra della casa di lei questa donna veduta, la quale, per ciò che bellissima era, fiso cominciò a riguardare, e cominciò seco stesso a ricordarsi di doverla avere altra volta veduta, ma il dove in niuna maniera ricordar si poteva. La bella donna, la quale lungamente trastullo della fortuna era stata, appressandosi il termine nel quale i suoi mali dovevano aver fine, come ella Antigono vide, così si ricordò di lui in Alessandria ne'servigi del padre in non piccolo stato aver veduto; per la qual cosa subita speranza prendendo di dover potere ancora nello stato real ritornare per lo colui consiglio, non sentendovi il mercatante suo, come più tosto potè, si fece chiamare Antigono. Il quale a lei venuto, ella vergognosamente domandò se egli Antigono di Famagosta fosse, sì come ella credeva.

Antigono rispose del sì, e oltre a ciò disse: « Madonna, a me par voi riconoscere, ma per niuna cosa mi posso ricordar dove, per che io vi priego, se grave non v'è, che a memoria mi riduciate chi voi siete. »

La donna, udendo che desso era, piagnendo forte gli si gittò colle braccia al collo, e dopo alquanto, lui che forte si maravigliava domandò se mai in Alessandria veduta l'avesse. La qual domanda udendo Antigono, incontanente riconobbe costei essere Alatiel figliuola del soldano, la quale morta in mare si credeva che fosse, e vollele fare la debita reverenza; ma ella nol sostenne e pregollo che seco alquanto si sedesse. La qual cosa da Antigono fatta, egli reverentemente la domandò come e quando e donde quivi venuta fosse, con ciò fosse cosa che per tutta terra d'Egitto s'avesse per certo lei in mare, già eran più anni passati, essere annegata.

A cui la donna disse: « Io vorrei bene che così fosse stato più tosto che avere avuta la vita la quale avuta ho, e credo che mio padre vorrebbe il simigliante, se giammai il saprà »; e così detto ricominciò maravigliosamente a piagnere.

Per che Antigono le disse: « Madonna, non vi sconfortate prima che vi bisogni; se vi piace, narratemi i vostri accidenti e che vita sia stata la vostra; per avventura l'opera potrà essere andata in modo che noi ci troveremo collo aiuto di Dio buon compenso. »

« Antigono, » disse la bella donna « a me parve, come io ti vidi, vedere il padre mio, e da quello amore e da quella tenerezza, che io a lui tenuta son di portare, mossa, potendomiti celare, mi ti feci palese, e di poche persone sarebbe potuto addivenire d'aver vedute, delle quali io tanto contenta fossi, quanto sono d'aver te innanzi a alcuno altro veduto e riconosciuto; e per ciò quello che nella mia malvagia fortuna ho sempre tenuto nascoso, a te, sì come a padre, paleserò. Se vedi, poi che udito l'avrai, di potermi in alcuno modo nel mio pristino stato tornare, priegoti l'adoperi; se nol vedi, ti priego che mai a alcuna persona dichi d'avermi veduta o di me avere alcuna cosa sentita. »

E questo detto, sempre piagnendo, ciò che avvenuto l'era dal dì che in Maiolica ruppe infino a quel punto, gli raccontò. Di che Antigono pietosamente a piagnere cominciò; e poi che alquanto ebbe pensato, disse: « Madonna, poi che occulto è stato ne'vostri infortuni chi voi siete, senza fallo più cara che mai vi renderò al vostro padre, e appresso per moglie al re del Garbo. »

E, domandato da lei del come, ordinatamente ciò che da far fosse le dimostrò; e acciò che altro per indugio intervenir non potesse, di presente si tornò Antigono in Famagosta, e fu al re, al qual disse: « Signor mio, se a voi aggrada, voi potete a una ora a voi far grandissimo onore, e a me, che povero sono per voi, grande utile senza gran vostro costo. »

Il re domandò come. Antigono allora disse: « A Baffa è pervenuta la bella giovane figliuola del soldano, di cui è stata così lunga fama che annegata era, e per servare la sua onestà grandissimo disagio ha sofferto lungamente, e al presente è in povero stato e disidera di tornarsi al padre. Se a voi piacesse di mandargliele sotto la mia guardia questo sarebbe grande onor di voi, e di me gran bene; né credo che mai tal servigio di mente al soldano uscisse. »

Il re, da una reale onestà mosso, subitamente rispose che gli piacea; e onoratamente per lei mandando, a Famagosta la fece venire, dove da lui e dalla reina con festa inestimabile e con onor magnifico fu ricevuta. La qual poi dal re e dalla reina de' suoi casi addomandata, secondo l'ammaestramento datole da Antigono rispose e contò tutto. E pochi dì appresso, addomandandolo ella, il re, con bella e onorevole compagnia d'uomini e di donne, sotto il governo d'Antigono la rimandò al soldano; dal quale se con festa fu ricevuta niun ne dimandi, e Antigono similmente con tutta la sua compagnia. La quale poi che alquanto fu riposata, volle il soldano sapere come fosse che viva fosse, e dove tanto tempo dimorata, senza mai avergli fatto di suo stato alcuna cosa sentire.

La donna, la quale ottimamente gli ammaestramenti d'Antigono aveva tenuti a mente, appresso al padre così cominciò a parlare: « Padre mio, forse il ventesimo giorno dopo la mia partita da voi, per fiera tempesta la nostra nave, sdrucita, percosse a certe piaggie là in ponente, vicine d'un luogo chiamato Aguamorta una notte; e che che degli uomini, che sopra la nostra nave erano, s'avvenisse, io nol so né seppi giammai; di tanto mi ricorda che, venuto il giorno, e io quasi di morte a vita risurgendo, essendo già la stracciata nave da' paesani veduta e essi a rubar quella di tutta la contrada corsi, io con due delle mie femine prima sopra il lito poste fummo, e incontanente da' giovani prese, chi qua con una e chi là con un'altra cominciarono a fuggire. Che di loro si fosse io nol seppi mai; ma, avendo me contrastante due giovani presa e per le trecce tirandomi, piagnendo io sempre forte, avvenne che, passando costoro che mi tiravano una strada per entrare in un grandissimo bosco, quattro uomini in quella ora di quindi passavano a cavallo, li quali come quegli che mi tiravano vidono, così lasciatami prestamente presero a fuggire. Li quatro uomini, li quali nel sembiante assai autorevoli mi parevano, veduto ciò, corsero dove io era e molto mi domandarono, e io dissi molto, ma né da loro fui intesa né io loro intesi. Essi, dopo lungo consiglio, postami sopra uno de' lor cavalli, mi menarono a uno monastero di donne secondo la lor legge religiose, e quivi, che che essi dicessero, io fui da tutte benignamente ricevuta e onorata sempre, e con gran divozione con loro insieme ho poi servito a san Cresci in Val Cava, a cui le femine di quel paese voglion molto bene. Ma, poi che per alquanto tempo con loro dimorata fui, e già alquanto avendo della loro lingua apparata, domandandomi esse chi io fossi e donde, e io conoscendo là dove io era e temendo, se il vero dicessi, non fossi da lor cacciata sì come nemica della lor legge, risposi che io era figliuola d'un gran gentile uomo di Cipri, il quale mandandomene a marito in Creti, per fortuna quivi eravam corsi e rotti. E assai volte in assai cose, per tema di peggio, servai i lor costumi; e domandata dalla maggiore di quelle donne, la quale elle appellan badessa, se in Cipri tornare me ne volessi, risposi che niuna cosa tanto desiderava; ma essa, tenera del mio onore, mai a alcuna persona fidar non mi volle che verso Cipri venisse, se non, forse due mesi sono, venuti quivi certi buoni uomini di Francia colle loro donne, de' quali alcun parente v'era della badessa, e sentendo essa che in Jerusalem andavano a visitare il Sepolcro, dove colui cui tengon per Idio fu sepellito poi che da' giudei fu ucciso, a loro mi raccomandò, e pregogli che in Cipri a mio padre mi dovessero presentare. Quanto questi gentili uomini m'onorassono e lietamente mi ricevessero insieme colle lor donne, lunga istoria sarebbe a raccontare. Saliti adunque sopra una nave, dopo più giorni pervenimmo a Baffa; e quivi veggendomi pervenire, né persona conoscendomi né sappiendo che dovermi dire a' gentili uomini che a mio padre mi volean presentare, secondo che loro era stato imposto dalla veneranda donna, m'apparecchiò Idio, al qual forse di me incresceva, sopra il lito Antigono in quella ora che noi a Baffa smontavamo; il quale io prestamente chiamai, e in nostra lingua, per non essere da' gentili uomini né dalle lor donne intesa, gli dissi che come figliuola mi ricevesse. Egli prestamente m'intese; e fattami la festa grande, quegli gentili uomini e quelle donne secondo la sua povera possibilità onorò, e me ne menò al re di Cipri, il quale con quello onor mi ricevette e qui a voi m'ha rimandata, che mai per me raccontare non si potrebbe. Se altro a dir ci resta, Antigono, che molte volte da me ha questa mia fortuna udita, il racconti. »

Antigono allora al soldano rivolto disse: « Signor mio, ordinatissimamente sì come ella m'ha più volte detto e come quegli gentili uomini colli quali venne mi dissero, v'ha raccontato. Solamente una parte v'ha lasciata a dire, la quale io estimo che, per ciò che bene non sta a lei di dirlo, l'abbia fatto; e questo è, quanto quegli gentili uomini e donne, colli quali venne, dicessero della onesta vita la quale con le religiose donne aveva tenuta e della sua virtù e de' suoi laudevoli costumi, e delle lagrime e del pianto che fecero e le donne e gli uomini quando, a me restituitola, si partiron da lei. Delle quali cose se io volessi a pien dire ciò che essi mi dissero, non che il presente giorno, ma la seguente notte non ci basterebbe; tanto solamente averne detto voglio che basti, che (secondo che le loro parole mostravano e quello ancora che io n'ho potuto vedere) voi vi potete vantare d'avere la più bella figliuola e la più onesta e la più valorosa che altro signore che oggi corona porti. »

Di queste cose fece il soldano maravigliosissima festa e più volte pregò Idio che grazia gli concedesse di poter degni meriti rendere a chiunque avea la figliuola onorata, e massimamente al re di Cipri, per cui onoratamente gli era stata rimandata; e appresso alquanti dì, fatti grandissimi doni apparecchiare a Antigono, al tornarsi in Cipri il licenziò, al re per lettere e per speziali ambasciadori grandissime grazie rendendo di ciò che fatto aveva alla figliuola. Appresso questo, volendo che quello che cominciato era avesse effetto, cioè che ella moglie fosse del re del Garbo, a lui ogni cosa significò pienamente, scrivendoli oltre a ciò che, se gli piacesse d'averla, per lei si mandasse. Di ciò fece il re del Garbo gran festa, e mandato onorevolmente per lei, lietamente la ricevette. E essa che con otto uomini forse diecemilia volte giaciuta era, allato a lui si coricò per pulcella, e fecegliele credere che così fosse; e reina con lui lietamente poi più tempo visse. E perciò si disse: « Bocca baciata non perde ventura, anzi rinnuova come fa la luna. » --



NOVELLA OTTAVA

Il conte d'Anguersa, falsamente accusato, va in essilio; lascia due suoi figliuoli in diversi luoghi in Inghilterra; e egli, sconosciuto tornando di Scozia, lor truova in buono stato; va come ragazzo nello essercito del re di Francia, e riconosciuto innocente è nel primo stato ritornato.

Sospirato fu molto dalle donne per li vari casi della bella donna: ma chi sa che cagione moveva que'sospiri? Forse v'eran di quelle che non meno per vaghezza di così spesse nozze che per pietà di colei sospiravano. Ma lasciando questo stare al presente, essendosi da loro riso per l'ultime parole da Panfilo dette, e veggendo la reina in quelle la novella di lui esser finita, a Elissa rivolta, impose che con una delle sue l'ordine seguitasse. La quale, lietamente faccendolo, incominciò:

-- Ampissimo campo è quello per lo quale noi oggi spaziando andiamo, né ce n'è alcuno, che, non che uno aringo, ma diece non ci potesse assai leggiermente correre, sì copioso l'ha fatto la Fortuna delle sue nuove e gravi cose; e per ciò, venendo di quelle che infinite sono, a raccontare alcuna, dico.

Che essendo lo 'mperio di Roma da' franceschi né tedeschi trasportato, nacque tra l'una nazione e l'altra grandissima nimistà e acerba e continua guerra, per la quale, sì per la difesa del suo paese e sì per l'offesa dell'altrui, il re di Francia e un suo figliuolo, con ogni sforzo del lor regno, e appresso d'amici e di parenti, che far poterono, ordinarono un grandissimo essercito per andare sopr'a'nimici; e avanti che a ciò procedessero, per non lasciare il regno senza governo, sentendo Gualtieri conte d'Anguersa gentile e savio uomo e molto lor fedele amico e servidore, e ancora che assai ammaestrato fosse nell'arte della guerra, per ciò che loro più alle dilicatezze atto che a quelle fatiche parea, lui in luogo di loro sopra tutto il governo del reame di Francia general vicario lasciarono, e andarono al loro cammino. Cominciò adunque Gualtieri e con senno e con ordine l'uficio commesso, sempre d'ogni cosa colla reina e colla nuora di lei conferendo; e benché sotto la sua custodia e giurisdizione lasciate fossero, nondimeno come sue donne e maggiori in ciò che per lui si poteva l'onorava. Era il detto Gualtieri del corpo bellissimo e d'età forse di quaranta anni, e tanto piacevole e costumato, quanto alcuno altro gentile uomo il più esser potesse; e, oltre a tutto questo, era il più leggiadro e il più dilicato cavaliere che a quegli tempi si conoscesse, e quegli che più della persona andava ornato.

Ora avvenne che, essendo il re di Francia e il figliuolo nella guerra già detta, essendosi morta la donna di Gualtieri e a lui un figliuol maschio e una femina piccoli fanciulli rimasi di lei senza più, che costumando egli alla corte delle donne predette e con loro spesso parlando delle bisogne del regno, che la donna del figliuol del re gli pose gli occhi addosso e con grandissima affezione la persona di lui e i suoi costumi considerando, d'occulto amore ferventemente di lui s'accese; e sé giovane e fresca sentendo e lui senza alcuna donna, si pensò leggiermente doverle il suo disidero venir fatto, e pensando niuna cosa a ciò contrastare, se non vergogna, di manifestargliele si dispose del tutto e quella cacciar via. E, essendo un giorno sola e parendole tempo, quasi d'altre cose con lui ragionar volesse, per lui mandò.

Il conte, il cui pensiero era molto lontano da quel della donna, senza alcuno indugio a lei andò; e postosi, come ella volle, con lei sopra un letto in una camera tutti soli a sedere, avendola il conte già due volte domandata della cagione per che fatto l'avesse venire e ella taciuto, ultimamente da amor sospinta, tutta di vergogna divenuta vermiglia, quasi piagnendo e tutta tremante, con parole rotte così cominciò a dire: « Carissimo e dolce amico e signor mio, voi potete, come savio uomo, agevolmente conoscere quanta sia la fragilità e degli uomini e delle donne, e per diverse cagioni più in una che in altra; per che debitamente dinanzi a giusto giudice un medesimo peccato in diverse qualità di persone non dee una medesima pena ricevere. E chi sarebbe colui che dicesse che non dovesse molto più essere da riprendere un povero uomo o una povera femina, a' quali colla loro fatica convenisse guadagnare quello che per la vita loro lor bisognasse, se da amore stimolati fossero e quello seguissero, che una donna la quale fosse ricca e oziosa, e a cui niuna cosa che a' suoi disideri piacesse mancasse? Certo io non credo niuno. Per la quale ragione io estimo che grandissima parte di scusa debbian fare le dette cose in servigio di colei che le possiede, se ella per avventura si lascia trascorrere a amare; e il rimanente debbia fare l'avere eletto savio e valoroso amadore, se quella l'ha fatto che ama. Le quali cose con ciò sia cosa che amendune, secondo il mio parere, sieno in me, e, oltre a queste, più altre le quali a amare mi debbono inducere, sì come a la mia giovanezza e la lontananza del mio marito, ora convien che surgano in servigio di me alla difesa del mio focoso amore nel vostro cospetto; le quali, se quel vi potranno che nella presenza de' savi debbon potere, io vi priego che consiglio e aiuto in quello che io vi dimanderò mi porgiate. Egli è il vero che, per la lontananza di mio marito, non potend'io agli stimoli della carne né alla forza d'amore contrastare, le quali sono di tanta potenzia che i fortissimi uomini, non che le tenere donne, hanno già molte volte vinti e vincono tutto il giorno, essendo io negli agi e negli ozi né quali voi mi vedete, a secondare li piaceri d'amore e a divenire innamorata mi sono lasciata trascorrere; e come che tal cosa, se saputa fosse, io conosca non essere onesta, nondimeno, essendo e stando nascosa, quasi di niuna cosa esser disonesta la giudichi, pur m'è di tanto Amore stato grazioso, che egli non solamente non m'ha il debito conoscimento tolto nello eleggere l'amante, ma me n'ha molto in ciò prestato, voi degno mostrandomi da dovere da una donna, fatta come sono io, essere amato; il quale, se 'l mio avviso non m'inganna, io reputo il più bello, il più piacevole e 'l più leggiadro e 'l più savio cavaliere, che nel reame di Francia trovar si possa; e sì come io senza marito posso dire che io mi veggia, così voi ancora senza mogliere. Per che io vi priego, per cotanto amore quanto è quello che io vi porto, che voi non neghiate il vostro verso di me e che della mia giovanezza v'incresca, la qual veramente come il ghiaccio al fuoco si consuma per voi. »

A queste parole sopravennero in tanta abbondanza le lagrime, che essa, che ancora più prieghi intendeva di porgere, più avanti non ebbe poter di parlare; ma, bassato il viso e quasi vinta, piagnendo, sopra il seno del conte si lasciò colla testa cadere. Il conte, il quale lealissimo cavaliere era, con gravissime riprensioni cominciò a mordere così folle amore e a sospignerla indietro, che già al collo gli si voleva gittare; e con saramenti a affermare che egli prima sofferrebbe d'essere squartato, che tal cosa contro allo onore del suo signore né in sé né in altrui consentisse.

Il che la donna udendo, subitamente dimenticato l'amore e in fiero furore accesa, disse: « Dunque sarò io, villan cavaliere, in questa guisa da voi del mio disidero schernita? Unque a Dio non piaccia, poi che voi volete me far morire, che io voi o morire o cacciar del mondo non faccia. » E così detto, a una ora messesi le mani né capelli e rabbuffatigli stracciatigli tutti, e appresso nel petto squarciandosi i vestimenti, cominciò a gridar forte: « Aiuto aiuto, ché 'l conte d'Anguersa mi vuol far forza. »

Il conte, veggendo questo e dubitando forte più della invidia cortigiana che della sua coscienza e, temendo per quella non fosse più fede data alla malvagità della donna che alla sua innocenzia, levatosi come più tosto potè della camera e del palagio s'uscì e fuggissi a casa sua, dove, senza altro consiglio prendere, pose i suoi figliuoli a cavallo, e egli montatovi altressì, quanto più potè, n'andò verso Calese.

Al romor della donna corsero molti, li quali, vedutola e udita la cagione del suo gridare, non solamente per quello dieder fede alle sue parole, ma aggiunsero la leggiadria e la ornata maniera del conte, per potere a quel venire, essere stata da lui lungamente usata. Corsesi adunque a furore alle case del conte per arrestarlo; ma non trovando lui, prima le rubar tutte e appresso infino a' fondamenti le mandar giuso. La novella, secondo che sconcia si diceva, pervenne nell'oste al re e al figliuolo; li quali turbati molto a perpetuo essilio lui e i suoi discendenti dannarono, grandissimi doni promettendo a chi o vivo o morto loro il presentasse.

Il conte, dolente che d'innocente fuggendo s'era fatto nocente, pervenuto senza farsi conoscere o esser conosciuto co' suoi figliuoli a Calese, prestamente trapassò in Inghilterra, e in povero abito n'andò verso Londra, nella quale prima che entrasse, con molte parole ammaestrò i due piccioli figliuoli, e massimamente in due cose: prima, che essi pazientemente comportassero lo stato povero nel quale senza lor colpa la fortuna con lui insieme gli aveva recati; e appresso, che con ogni sagacità si guardassero di mai non manifestare a alcuno onde si fossero né di cui figliuoli, se cara avevan la vita. Era il figliuolo, chiamato Luigi, di forse nove anni, e la figliuola, che nome avea Violante, n'avea forse sette; li quali, secondo che comportava la lor tenera età, assai ben compresero l'ammaestramento del padre loro, e per opera il mostrarono appresso. Il che, acciò che meglio far si potesse, gli parve di dover loro i nomi mutare, e così fece; e nominò il maschio Perotto, e Giannetta la femina; e pervenuti poveramente vestiti in Londra, a guisa che far veggiamo a questi paltoni franceschi, si diedono a andar la limosina addomandando.

E essendo per ventura in tal servigio una mattina a una chiesa, avvenne che una gran dama, la quale era moglie dell'uno de' maliscalchi del re d'lnghilterra, uscendo della chiesa, vide questo conte e i due suoi figlioletti, che limosina addomandavano; il quale ella domandò donde fosse e se suoi erano quegli figliuoli. Alla quale egli rispose che era di Piccardia e che, per misfatto d'un suo maggior figliuolo, ribaldo, con quegli due che suoi erano, gli era convenuto partire. La dama, che pietosa era, pose gli occhi sopra la fanciulla, e piacquele molto, per ciò che bella e gentilesca e avvenente era, e disse: « Valente uomo, se tu ti contenti di lasciare appresso di me questa tua figlioletta, per ciò che buono aspetto ha, io la prenderò volentieri; e se valente femina sarà, io la mariterò a quel tempo che convenevole sarà in maniera che starà bene. »

Al conte piacque molto questa domanda e prestamente rispose del sì, e con lagrime gliele diede e raccomandò molto. E così avendo la figliuola allogata e sappiendo bene a cui, diliberò di più non dimorar quivi; e limosinando traversò l'isola e con Perotto pervenne in Gales non senza gran fatica, sì come colui che d'andare a piè non era uso. Quivi era un altro de' maliscalchi del re, il quale grande stato e molta famiglia tenea, nella corte del quale il conte alcuna volta, e egli è l figliuolo, per aver da mangiare, molto si riparavano. E essendo in essa alcun figliuolo del detto maliscalco, e altri fanciulli di gentili uomini, e faccendo cotali pruove fanciullesche sì come di correre e di saltare, Perotto s'incominciò con loro a mescolare e a fare così destramente, o più, come alcuno degli altri facesse, ciascuna pruova che tra lor si faceva. Il che il maliscalco alcuna volta veggendo, e piacendogli molto la maniera è modi del fanciullo, domandò chi egli fosse. Fugli detto che egli era figliuolo d'un povero uomo, il quale alcuna volta per limosina là entro veniva. A cui il maliscalco il fece addimandare; e il conte, sì come colui che d'altro Idio non pregava, liberamente gliel concedette, quantunque noioso gli fosse il da lui dipartirsi. Avendo adunque il conte il figliuolo e la figliuola acconci, pensò di più non voler dimorare in Inghilterra; ma, come il meglio potè, se ne passò in Irlanda, e pervenuto a Stanforda, con un cavaliere d'un conte paesano per fante si pose, tutte quelle cose faccendo che a fante o a ragazzo possono appartenere; e quivi, senza esser mai da alcuno conosciuto, con assai disagio e fatica, dimorò lungo tempo.

Violante, chiamata Giannetta, colla gentil donna in Londra venne crescendo e in anni e in persona e in bellezza e in tanta grazia e della donna e del marito di lei e di ciascuno altro della casa e di chiunque la conoscea, che era a veder maravigliosa cosa; né alcuno era che a' suoi costumi e alle sue maniere riguardasse, che lei non dicesse dovere essere degna d'ogni grandissimo bene e onore. Per la qual cosa la gentil donna che lei dal padre ricevuta avea, senza aver mai potuto sapere chi egli si fosse altramenti che da lui udito avesse, s'era proposta di doverla onorevolmente, secondo la condizione della quale estimava che fosse, maritare. Ma Idio, giusto riguardatore degli altrui meriti, lei nobile femina conoscendo e senza colpa penitenzia portar dello altrui peccato, altramente dispose; e acciò che a mano di vile uomo la gentil giovane non venisse, si dee credere che quello che avvenne egli per sua benignità permettesse.

Aveva la gentil donna, con la quale la Giannetta dimorava, un solo figliuolo del suo marito, il quale e essa e 'l padre sommamente amavano, sì perché figliuolo era e sì ancora perché per virtù e per meriti il valeva, come colui che più che altro e costumato e valoroso e pro' e bello della persona era. Il quale, avendo forse sei anni più che la Giannetta, e lei veggendo bellissima e graziosa, sì forte di lei s'innamorò, che più avanti di lei non vedeva. E per ciò che egli imaginava lei di bassa condizion dovere essere, non solamente non ardiva addomandarla al padre e alla madre per moglie; ma temendo non fosse ripreso che bassamente si fosse a amar messo, quanto poteva il suo amore teneva nascoso: per la qual cosa troppo più che se palesato l'avesse lo stimolava. Laonde avvenne che per soverchio di noia egli infermò, e gravemente. Alla cura del quale essendo più medici richiesti, e avendo un segno e altro guardato di lui e non potendo la sua infermità tanto conoscere, tutti comunemente si disperavano della sua salute. Di che il padre e la madre del giovane portavano sì gran dolore e malinconia, che maggiore non si saria potuta portare: e più volte con pietosi prieghi il domandavano della cagione del suo male, a' quali o sospiri per risposta dava, o che tutto si sentia consumare.

Avvenne un giorno che, sedendosi appresso di lui un medico assai giovane, ma in scienzia profondo molto, e lui per lo braccio tenendo in quella parte dove essi cercano il polso, la Giannetta, la quale, per rispetto della madre di lui, lui sollicitamente serviva, per alcuna cagione entrò nella camera nella quale il giovane giacea. La quale come il giovane vide, senza alcuna parola o atto fare, sentì con più forza nel cuore l'amoroso ardore, per che il polso più forte cominciò a battergli che l'usato; il che il medico sentì incontanente e maravigliossi, e stette cheto per vedere quanto questo battimento dovesse durare. Come la Giannetta uscì dalla camera, e il battimento ristette; per che parte parve al medico avere della cagione della infermità del giovane; e stato alquanto, quasi d'alcuna cosa volesse la Giannetta addomandare, sempre tenendo per lo braccio lo 'nfermo, la si fè chiamare. Al quale ella venne incontanente; né prima nella camera entrò, che 'l battimento del polso ritornò al giovane; e lei partita, cessò.

Laonde, parendo al medico avere assai piena certezza, levatosi e tratti da parte il padre e la madre del giovane, disse loro: « La sanità del vostro figliuolo non è nello aiuto de' medici, ma nelle mani della Giannetta dimora, la quale, sì come io ho manifestamente per certi segni conosciuto, il giovane focosamente ama, come che ella non se ne accorge, per quello che io vegga. Sapete omai che a fare v'avete, se la sua vita v'è cara. »

Il gentile uomo e la sua donna, questo udendo, furon contenti, in quanto pure alcun modo si trovava al suo scampo, quantunque loro molto gravasse che quello, di che dubitavano, fosse desso, cioè di dover dare la Giannetta al loro figliuolo per isposa.

Essi adunque, partito il medico, se n'andarono allo infermo, e dissegli la donna così: « Figliuol mio, io non avrei mai creduto che da me d'alcuno tuo disidero ti fossi guardato, e spezialmente veggendoti tu, per non aver quello, venir meno; per ciò che tu dovevi esser certo e dei che niuna cosa è che per contentamento di te far potessi, quantunque meno che onesta fosse, che io come per me medesima non la facessi; ma poi che pur fatta l'hai, è avvenuto che Domeneddio è stato misericordioso di te più che tu medesimo, e a ciò che tu di questa infermità non muoia, m'ha dimostrata la cagione del tuo male, la quale niuna altra cosa è che soverchio amore, il quale tu porti a alcuna giovane, qual che ella si sia. E nel vero di manifestar questo non ti dovevi tu vergognare, per ciò che la tua età il richiede, e se tu innamorato non fossi, io ti riputerei da assai poco. Adunque, figliuol mio, non ti guardare da me, ma sicuramente ogni tuo disidero mi scuopri; e la malinconia e il pensiero il quale hai e dal quale questa infermità procede, gitta via e confortati e renditi certo che niuna cosa sarà per sodisfacimento di te che tu m'imponghi, che io a mio potere non faccia, sì come colei che te più amo che la mia vita. Caccia via la vergogna e la paura, e dimmi se io posso intorno al tuo amore adoperare alcuna cosa; e se tu non truovi che io a ciò sia sollicita e a effetto tel rechi, abbimi per la più crudel madre che mai partorisse figliuolo.

Il giovane, udendo le parole della madre, prima si vergognò, poi, seco pensando che niuna persona meglio di lei potrebbe al suo piacere sodisfare, cacciata via la vergogna, così le disse: « Madonna, niuna altra cosa mi v'ha fatto tenere il mio amor nascoso quanto l'essermi nelle più delle persone avveduto che, poi che attempati sono, d'essere stati giovani ricordar non si vogliono. Ma, poi che in ciò discreta vi veggio, non solamente quello di che dite vi siete accorta non negherò esser vero, ma ancora di cui vi farò manifesto, con cotal patto che effetto seguirà alla vostra promessa a vostro potere, e così mi potrete aver sano. »

Al quale la donna, troppo fidandosi di ciò che non le doveva venir fatto nella forma nella qual già seco pensava, liberamente rispose che sicuramente ogni suo disidero l'aprisse; ché ella senza alcuno indugio darebbe opera a fare che egli il suo piacere avrebbe.

« Madama, » disse allora il giovane « l'alta bellezza e le laudevoli maniere della nostra Giannetta, e il non poterla fare accorgere, non che pietosa, del mio amore, e il non avere ardito mai di manifestarlo a alcuno, m'hanno condotto dove voi mi vedete; e se quello che promesso m'avete o in un modo o in un altro non segue, state sicura che la mia vita fia brieve. »

La donna, a cui più tempo da conforto che da riprensioni parea, sorridendo disse: « Ahi! figliuol mio, dunque per questo t'hai tu lasciato aver male? Confortati e lascia fare a me, poi che guarito sarai. »

Il giovane, pieno di buona speranza, in brevissimo tempo di grandissimo miglioramento mostrò segni, di che la donna contenta molto si dispose a voler tentare come quello potesse osservare che promesso avea. E, chiamata un dì la Giannetta per via di motti assai cortesemente la domandò se ella avesse alcuno amadore.

La Giannetta, divenuta tutta rossa, rispose: « Madama, a povera damigella e di casa sua cacciata, come io sono, e che all'altrui servigio dimori, come io fo, non si richiede né sta bene l'attendere a amore. »

A cui la donna disse: « E se voi non l'avete, noi ve ne vogliamo donare uno, di che voi tutta giuliva viverete e più della vostra biltà vi diletterete; per ciò che non a' convenevole che così bella damigella, come voi siete, senza amante dimori. »

A cui la Giannetta rispose: « Madama, voi dalla povertà di mio padre togliendomi, come figliuola cresciuta m'avete, e per questo ogni vostro piacer far dovrei; ma in questo io non vi piacerò già, credendomi far bene. Se a voi piacerà di donarmi marito, colui intendo io d'amare, ma altro no; per ciò che della eredità de' miei passati avoli niuna cosa rimasa m'è se non l'onestà, quella intendo io di guardare e di servare quanto la vita mi durerà. »

Questa parola parve forte contraria alla donna a quello a che di venire intendea per dovere al figliuolo la promessa servare, quantunque, sì come savia donna, molto seco medesima ne commendasse la damigella, e disse: « Come, Giannetta? Se monsignore lo re, il quale è giovane cavaliere, e tu sé bellissima damigella, volesse del tuo amore alcun piacere, negherestigliele tu? »

Alla quale essa subitamente rispose: « Forza mi potrebbe fare il re, ma di mio consentimento mai da me, se non quanto onesto fosse, aver non potrebbe. »

La dama, comprendendo qual fosse l'animo di lei, lasciò stare le parole e pensossi di metterla alla pruova; e così al figliuol disse di fare, come guarito fosse, di metterla con lui in una camera e ch'egli s'ingegnasse d'avere di lei il suo piacere, dicendo che disonesto le pareva che essa, a guisa d'una ruffiana, predicasse per lo figliuolo e pregasse la sua damigella. Alla qual cosa il giovane non fu contento in alcuna guisa, e di subito fieramente peggiorò: il che la donna veggendo, aperse la sua intenzione alla Giannetta. Ma più costante che mai trovandola, raccontato ciò che fatto avea al marito, ancora che grave loro paresse, di pari consentimento diliberarono di dargliele per isposa, amando meglio il figliuol vivo con moglie non convenevole a lui che morto senza alcuna; e così, dopo molte novelle, fecero. Di che la Giannetta fu contenta molto e con divoto cuore ringraziò Idio che lei non avea dimenticata; né per tutto questo mai altro che figliuola d'un piccardo si disse. Il giovane guerì e fece le nozze più lieto che altro uomo e cominciossi a dar buon tempo con lei.

Perotto, il quale in Gales col maliscalco del re d'lnghilterra era rimaso, similmente crescendo venne in grazia del signor suo, e divenne di persona bellissimo e pro' quanto alcuno altro che nell'isola fosse, intanto che né in tornei né in giostre, né in qualunque altro atto d'arme niuno era nel paese che quello valesse che egli; perché per tutto, chiamato da loro Perotto il piccardo, era conosciuto e famoso. E come Idio la sua sorella dimenticata non avea, così similmente d'aver lui a mente dimostrò; per ciò che, venuta in quella contrada una pestilenziosa mortalità, quasi la metà della gente di quella se ne portò; senza che grandissima parte del rimaso per paura in altre contrade se ne fuggirono; di che il paese tutto pareva abbandonato. Nella qual mortalità il maliscalco suo signore e la donna di lui e un suo figliuolo e molti altri e fratelli e nepoti e parenti tutti morirono, né altro che una damigella già da marito di lui rimase e, con alcuni altri famigliari, Perotto. Il quale, cessata al quanto la pestilenza, la damigella, per ciò che prod'uomo e valente era, con piacere e consiglio d'alquanti pochi paesani vivi rimasi, per marito prese e di tutto ciò che a lei per eredità scaduto era il fece signore. Nè guari di tempo passò che, udendo il re d'lnghilterra il maliscalco esser morto e conoscendo il valor di Perotto il piccardo, in luogo di quello che morto era il sustituì e fecelo suo maliscalco. E così brievemente avvenne de' due innocenti figliuoli del corte d'Anguersa da lui per perduti lasciati.

Era già il deceottesimo anno passato poi che il conte d'Anguersa, fuggendo, di Parigi s'era partito, quando a lui dimorante in Irlanda, avendo in assai misera vita molte cose patite, già vecchio veggendosi, venne voglia di sentire, se egli potesse, quello che de' figliuoli fosse addivenuto. Per che del tutto della forma, della quale esser solea, veggendosi trasmutato e sentendosi per lo lungo esercizio più della persona atante che quando giovane in ozio dimorando non era, partitosi assai povero e male in arnese da colui col quale lungamente era stato, se ne venne in Inghilterra e là se ne andò dove Perotto avea lasciato, e trovò lui esser maliscalco e gran signore, e videlo sano e atante e bello della persona; il che gli aggradì forte, ma farglisi conoscere non volle infino a tanto che saputo non avesse della Giannetta. Per che, messosi in cammino, prima non ristette che in Londra pervenne; e quivi, cautamente domandato della donna alla quale la figliuola lasciata avea e del suo stato, trovò la Giannetta moglie del figliuolo; il che forte gli piacque, e ogni sua avversità preterita reputò piccola, poiché vivi aveva ritrovati i figliuoli e in buono stato. E disideroso di poterla vedere, cominciò come povero uomo a ripararsi vicino alla casa di lei. Dove un giorno, veggendol Giachetto Lamiens, che così era chiamato il marito della Giannetta, avendo di lui compassione per ciò che povero e vecchio il vide, comandò a uno de' suoi famigliari che nella sua casa il menasse e gli facesse dare da mangiar per Dio, il che il famigliare volentier fece.

Aveva la Giannetta avuti di Giachetto già più figliuoli, de' quali il maggiore non avea oltre a otto anni, e erano i più belli e i più vezzosi fanciulli del mondo. Li quali, come videro il conte mangiare, così tutti quanti gli fur dintorno e cominciarogli a far festa, quasi da occulta virtù mossi avesser sentito costui loro avolo essere. Il quale, suoi nepoti cognoscendoli, cominciò loro a mostrare amore e a far carezze; per la qual cosa i fanciulli da lui non si volean partire, quantunque colui che al governo di loro attendea gli chiamasse. Per che la Giannetta, ciò sentendo, uscì d'una camera e quivi venne laddove era il conte, e minacciogli forte di battergli, se quello che il lor maestro volea non facessero. I fanciulli cominciarono a piagnere e a dire ch'essi volevano stare appresso a quel prod'uomo, il quale più che il lor maestro gli amava; di che e la donna e 'l conte si rise. Erasi il conte levato, non miga a guisa di padre ma di povero uomo, a fare onore alla figliuola sì come a donna, e maraviglioso piacere veggendola avea sentito nell'animo. Ma ella né allora né poi il conobbe punto, per ciò che oltre modo era trasformato da quello che esser soleva, sì come colui che vecchio e canuto e barbuto era, e magro e bruno divenuto, e più tosto un altro uomo pareva che il conte. E veggendo la donna che i fanciulli da lui partir non si voleano, ma volendogli partire piagnevano, disse al maestro che alquanto gli lasciasse stare.

Standosi adunque i fanciulli col prod'uomo, avvenne che il padre di Giachetto tornò e dal maestro loro sentì questo fatto; per che egli, il quale a schifo avea la Giannetta, disse: « Lasciagli stare colla mala ventura che Idio dea loro; ché essi fanno ritratto da quello onde nati sono. Essi son per madre discesi di paltoniere, e per ciò non a' da maravigliarsi se volentier dimoran con paltonieri. »

Queste parole udì il conte, e dolfergli forte; ma pure nelle spalle ristretto, così quella ingiuria sofferse come molte altre sostenute avea. Giachetto, che sentita aveva la festa che i figliuoli al prod'uomo, cioè al conte, facevano, quantunque gli dispiacesse, nondimeno tanto gli amava che, avanti che piagner gli vedesse, comandò che, se 'l prod'uomo a alcun servigio là entro dimorar volesse, che egli vi fosse ricevuto. Il quale rispose che vi rimanea volentieri, ma che altra cosa far non sapea che attendere a' cavalli, di che tutto il tempo della sua vita era usato. Assegnatogli adunque un cavallo, come quello governato avea, al trastullare i fanciulli intendea.

Mentre che la fortuna, in questa guisa che divisata è, il conte d'Anguersa e i figliuoli menava, avvenne che il re di Francia, molte triegue fatte con gli alamanni, morì, e in suo luogo fu coronato il figliuolo, del quale colei era moglie per cui il conte era stato cacciato. Costui, essendo l'ultima triegua finita, co' tedeschi ricominciò asprissima guerra; in aiuto del quale, sì come nuovo parente, il re d'lnghilterra mandò molta gente sotto il governo di Perotto suo maliscalco e di Giachetto Lamiens figliuolo dell'altro maliscalco; col quale il prod'uomo, cioè il conte, andò e, senza essere da alcuno riconosciuto, dimorò nell'oste per buono spazio a guisa di ragazzo; e quivi, come valente uomo, e con consigli e con fatti più che a lui non si richiedea, assai di bene adoperò.

Avvenne durante la guerra che la reina di Francia infermò gravemente; e conoscendo ella sé medesima venire alla morte, contrita d'ogni suo peccato, divotamente si confessò dallo arcivescovo di Ruem, il quale da tutti era tenuto uno santissimo e buono uomo, e tra gli altri peccati gli narrò ciò che per lei a gran torto il conte d'Anguersa ricevuto avea. Nè solamente fu a lui contenta di dirlo, ma davanti a molti altri valenti uomini tutto come era stato raccontò, pregandogli che col re operassono che 'l conte, se vivo fosse, e se non, alcun de' suoi figliuoli nel loro stato restituiti fossero; né guari poi dimorò che, di questa vita passata, onorevolmente fu sepellita.

La qual confessione al re raccontata, dopo alcun doloroso sospiro delle ingiurie fatte al valente uomo a torto, il mosse a fare andare per tutto l'essercito, e oltre a ciò in molte altre parti, una grida, che chi il conte d'Anguersa o alcuno de' figliuoli gli rinsegnasse, maravigliosamente da lui per ogn'uno guiderdonato sarebbe; con ciò fosse cosa che egli lui per innocente di ciò per che in essilio andato era l'avesse, per la confessione fatta dalla reina, e nel primo stato e in maggiore intendeva di ritornarlo. Le quali cose il conte in forma di ragazzo udendo, e sentendo che così era il vero, subitamente fu a Giachetto e il pregò che con lui insieme fosse con Perotto, per ciò che egli voleva lor mostrare ciò che il re andava cercando.

Adunati adunque tutti e tre insieme, disse il conte a Perotto, che già era in pensiero di palesarsi: « Perotto, Giachetto, che è qui, ha tua sorella per mogliere, né mai n'ebbe alcuna dota; e per ciò, acciò che tua sorella senza dota non sia, io intendo che egli e non altri abbia questo benificio che il re promette così grande per te, e ti rinsegni sì come figliuolo del conte d'Anguersa, e per la Violante tua sorella e sua mogliere, e per me che il conte d'Anguersa e vostro padre sono. »

Perotto, udendo questo e fiso guardandolo, tantosto il riconobbe, e piagnendo gli si gittò a' piedi e abbracciollo dicendo: « Padre mio, voi siate il molto ben venuto. »

Giachetto, prima udendo ciò che il conte detto avea e poi veggendo quello che Perotto faceva, fu a un'ora da tanta maraviglia e da tanta allegrezza soprappreso, che appena sapeva che far si dovesse; ma pur, dando alle parole fede e vergognandosi forte di parole ingiuriose già da lui verso il conte ragazzo usate, piagnendo gli si lasciò cadere a' piedi e umilmente d'ogni oltraggio passato domandò perdonanza, la quale il conte assai benignamente, in piè rilevatolo, gli diede.

E poi che i vari casi di ciascuno tutti e tre ragionati ebbero, e molto piantosi e molto rallegratosi insieme, volendo Perotto e Giachetto rivestire il conte, per niuna maniera il sofferse, ma volle che, avendo prima Giachetto certezza d'avere il guiderdon promesso, così fatto e in quello abito di ragazzo, per farlo più vergognare, gliele presentasse.

Giachetto adunque col conte e con Perotto appresso venne davanti al re e offerse di presentargli il conte e i figliuoli, dove, secondo la grida fatta, guiderdonare il dovesse. Il re prestamente per tutti fece il guiderdon venire maraviglioso agli occhi di Giachetto, e comandò che via il portasse dove con verità il conte e i figliuoli dimostrasse come promettea. Giachetto allora, voltatosi indietro e davanti messosi il conte suo ragazzo e Perotto, disse: « Monsignore, ecco qui il padre e 'l figliuolo; la figliuola, ch'è mia mogliere, e non è qui, con l'aiuto di Dio tosto vedrete. »

Il re, udendo questo, guardò il conte e, quantunque molto da quello che esser solea trasmutato fosse, pur, dopo l'averlo alquanto guardato, il riconobbe; e quasi con le lagrime in su gli occhi, lui che ginocchione stava levò in piede, e il baciò e abbracciò, e amichevolmente ricevette Perotto, e comandò che incontanente il conte di vestimenti, di famiglia e di cavalli e d'arnesi rimesso fosse in assetto, secondo che alla sua nobilità si richiedea; la qual cosa tantosto fu fatta. Oltre a questo, onorò il re molto Perotto, e volle ogni cosa sapere di tutti i suoi preteriti casi. E quando Giachetto prese gli alti guiderdoni per l'avere insegnati il conte è figliuoli, gli disse il conte: « Prendi cotesti doni dalla magnificenza di monsignore lo re, e ricordera'ti di dire a tuo padre che i tuoi figliuoli, suoi e miei nepoti, non sono per madre nati di paltoniere. »

Giachetto prese i doni e fece a Parigi venir la moglie e la suocera, e vennevi la moglie di Perotto; e quivi in grandissima festa furon col conte, il quale il re avea in ogni suo ben rimesso e maggior fattolo che fosse giammai. Poi ciascuno colla sua licenzia tornò a casa sua, e esso infino alla morte visse in Parigi più gloriosamente che mai. --



NOVELLA NONA

Bernabò da Genova, da Ambruogiuolo ingannato, perde il suo e comanda che la moglie innocente sia uccisa; ella scampa e in abito d'uomo serve il soldano: ritrova lo 'ngannatore e Bernabò conduce in Alessandria, dove, lo 'ngannatore punito, ripreso abito feminile, col marito ricchi si tornano a Genova.

Avendo Elissa con la sua compassionevole novella il suo dover fornito, Filomena reina, la quale bella e grande era della persona e nel viso più che altra piacevole e ridente, sopra sé recatasi, disse: -- Servar si vogliono i patti a Dioneo, e però, non restandoci altri che egli e io a novellare, io dirò prima la mia e esso, che di grazia il chiese, l'ultimo fia che dirà. -- E questo detto così cominciò:

-- Suolsi tra' volgari spesse volte dire un cotal proverbio, che lo 'ngannatore rimane a piè dello 'ngannato; il quale non pare che per alcuna ragione si possa mostrare esser vero, se per gli accidenti che avvengono non si mostrasse. E per ciò seguendo la proposta, questo insiememente, carissime donne, esser vero come si dice m'è venuto in talento di dimostrarvi; né vi dovrà esser discaro d'averlo udito, acciò che dagli 'ngannatori guardar vi sappiate.

Erano in Parigi in uno albergo alquanti grandissimi mercatanti italiani, qual per una bisogna e qual per un'altra, secondo la loro usanza; e avendo una sera fra l'altre tutti lietamente cenato, cominciarono di diverse cose a ragionare; e d'un ragionamento in altro travalicando, pervennero a dire delle lor donne, le quali alle lor case avevan lasciate.

E motteggiando cominciò alcuno a dire: « Io non so come la mia si fa: ma questo so io bene, che quando qui mi viene alle mani alcuna giovinetta che mi piaccia, io lascio stare dall'un de' lati l'amore il quale io porto a mia mogliere, e prendo di questa qua quel piacere che io posso. »

L'altro rispose: « E io fo il simigliante, perciò che se io credo che la mia donna alcuna sua ventura procacci, ella il fa, e se io nol credo, sì 'l fa; e per ciò a fare a far sia; quale asino dà in parete, tal riceve. »

Il terzo quasi in questa medesima sentenzia parlando pervenne; e brievemente tutti pareva che a questo s'accordassero, che le donne lasciate da loro non volessero perder tempo.

Un solamente, il quale avea nome Bernabò Lomellin da Genova, disse il contrario, affermando sé di spezial grazia da Dio avere una donna per moglie la più compiuta di tutte quelle virtù che donna o ancora cavaliere in gran parte o donzello dee avere, che forse in Italia ne fosse un'altra; per ciò che ella era bella del corpo e giovine ancora assai e destra e atante della persona, né alcuna cosa era che a donna appartenesse, sì come di lavorar lavorii di seta e simili cose, che ella non facesse meglio che alcun'altra. Oltre a questo niuno scudiere, o famigliar che dir vogliamo, diceva trovarsi, il quale meglio né più accortamente servisse a una tavola d'un signore, che serviva ella, sì come colei che era costumatissima savia e discreta molto. Appresso questo la commendò meglio sapere cavalcare un cavallo, tenere uno uccello, leggere e scrivere e fare una ragione, che se un mercatante fosse; e da questo, dopo molte altre lode, pervenne a quello di che quivi si ragionava, affermando con saramento niun'altra più onesta né più casta potersene trovar di lei; per la qual cosa egli credeva certamente che, se egli diece anni o sempre mai fuor di casa dimorasse, che ella mai a così fatte novelle non intenderebbe con altro uomo.

Era tra questi mercatanti che così ragionavano, un giovane mercatante, chiamato Ambruogiuolo da Piagenza, il quale di questa ultima loda che Bernabò avea data alla sua donna cominciò a far le maggior risa del mondo, e gabbando il domandò se lo 'mperadore gli avea questo privilegio più che a tutti gli altri uomini conceduto. Bernabò, un poco turbatetto, disse che non lo 'mperadore ma Idio, il quale poteva un poco più che lo 'mperadore, gli avea questa grazia conceduta.

Allora disse Ambruogiuolo: « Bernabò, io non dubito punto che tu non ti creda dir vero; ma, per quello che a me paia, tu hai poco riguardato alla natura delle cose; per ciò che, se riguardato v'avessi, non ti sento di sì grosso ingegno che tu non avessi in quella cognosciuto cose che ti farebbono sopra questa materia più temperatamente parlare. E per ciò che tu non creda che noi, che molto largo abbiamo delle nostre mogli parlato, crediamo avere altra moglie o altrimenti fatta che tu, ma da uno naturale avvedimento mossi così abbiam detto, voglio un poco con teco sopra questa materia ragionare. Io ho sempre inteso l'uomo essere il più nobile animale che tra'mortali fosse creato da Dio, e appresso la femina; ma l'uomo, sì come generalmente si crede e vede per opere, è più perfetto; e avendo più di perfezione, senza alcun fallo dee avere più di fermezza e così ha, per ciò che universalmente le femine sono più mobili, e il perché si potrebbe per molte ragioni naturali dimostrare, le quali al presente intendo di lasciare stare. Se l'uomo adunque è di maggior fermezza e non si può tenere che non condiscenda, lasciamo stare a una che 'l prieghi, ma pure a non disiderare una che gli piaccia, e oltre al disidero, di far ciò che può acciò che con quella esser possa, e questo non una volta il mese, ma mille il giorno avvenirgli; che speri tu che una donna naturalmente mobile, possa fare a' prieghi, alle lusinghe, a' doni, a mille altri modi che userà uno uomo savio che l'ami? Credi che ella si possa tenere? Certo, quantunque tu te l'affermi, io non credo che tu 'l creda; e tu medesimo dì che la moglie tua è femina e ch'ella è di carne e d'ossa come sono l'altre. Per che, se così è, quegli medesimi disideri deono essere i suoi e quelle medesime forze che nell'altre sono a resistere a questi naturali appetiti; per che possibile è, quantunque ella sia onestissima, che ella quello che l'altre faccia; e niuna cosa possibile è così acerbamente da negare, o da affermare il contrario a quella, come tu fai. »

Al quale Bernabò rispose e disse: « Io son mercatante e non fisofolo, e come mercatante risponderò. E dico che io conosco ciò che tu dì potere avvenire alle stolte, nelle quali non è alcuna vergogna; ma quelle che savie sono hanno tanta sollecitudine dello onor loro, che elle diventan forti più che gli uomini, che di ciò non si curano, a guardarlo; e di queste così fatte è la mia. »

Disse Ambruogiuolo: « Veramente se per ogni volta che elle a queste così fatte novelle attendono, nascesse loro un corno nella fronte, il quale desse testimonianza di ciò che fatto avessero, io mi credo che poche sarebber quelle che v'attendessero; ma, non che il corno nasca, egli non se ne pare a quelle che savie sono né pedata né orma; e la vergogna e 'l guastamento del l'onore non consiste se non nelle cose palesi; per che, quando possono occultamente, il fanno, o per mattezza lasciano. E abbi questo per certo che colei sola è casta, la quale o non fu mai da alcun pregata, o se pregò, non fu esaudita. E quantunque io conosca per naturali e vere ragioni così dovere essere, non ne parlerei io così appieno come io fo, se io non ne fossi molte volte e con molte stato alla pruova. E dicoti così, che se io fossi presso a questa tua così santissima donna, io mi crederrei in brieve spazio di tempo recarla a quello che io ho già dell'altre recate. »

Bernabò turbato rispose: « Il quistionar con parole potrebbe distendersi troppo; tu diresti e io direi, e alla fine niente monterebbe. Ma poi che tu dì che tutte sono così pieghevoli e che 'l tuo ingegno è cotanto, acciò che io ti faccia certo della onestà della mia donna, io son disposto che mi sia tagliata la testa se tu mai a cosa che ti piaccia in cotale atto la puoi conducere; e se tu non puoi, io non voglio che tu perda altro che mille fiorin d'oro. »

Ambruogiuolo, già in su la novella riscaldato, rispose: « Bernabò, io non so quello ch'io mi facessi del tuo sangue se io vincessi; ma se tu hai voglia di vedere pruova di ciò che io ho già ragionato, metti cinquemilia fiorin d'oro de' tuoi, che meno ti deono esser cari che la testa, contro a mille de' miei; e dove tu niuno termine poni, io mi voglio obbligare d'andare a Genova e infra tre mesi dal dì che io mi partirò di qui aver della tua donna fatta mia volontà, e in segno di ciò recarne meco delle sue cose più care e sì fatti e tanti indizi che tu medesimo confesserai esser vero; sì veramente che tu mi prometterai sopra la tua fede infra questo termine non venire a Genova né scrivere a lei alcuna cosa di questa materia. »

Bernabò disse che gli piacea molto; e quantunque gli altri mercatanti, che quivi erano, s'ingegnassero di sturbar questo fatto, conoscendo che gran male ne potea nascere, pure erano de' due mercatanti sì gli animi accesi, che, oltre al voler degli altri, per belle scritte di lor mano s'obbligarono l'uno all'altro.

E fatta la obbligagione, Bernabò rimase e Ambruogiuolo quanto più tosto potè se ne venne a Genova. E dimoratovi alcun giorno e con molta cautela informatosi del nome della contrada e de' costumi della donna, quello e più ne 'ntese che da Bernabò udito n'avea; per che gli parve matta impresa aver fatta. Ma pure, accontatosi con una povera femina che molto nella casa usava e a cui la donna voleva gran bene, non potendola a altro inducere, con denari la corruppe e a lei in una cassa artificiata a suo modo si fece portare, non solamente nella casa, ma nella camera della gentil donna; e quivi, come se in alcuna parte andar volesse, la buona femina, secondo l'ordine datole da Ambruogiuolo, la raccomandò per alcun dì.

Rimasa adunque la cassa nella camera e venuta la notte, all'ora che Ambruogiuolo avvisò che la donna dormisse, con certi suoi ingegni apertala, chetamente nella camera uscì, nella quale un lume acceso avea. Per la qual cosa egli il sito della camera, le dipinture e ogni altra cosa notabile che in quella era cominciò a ragguardare e a fermare nella sua memoria. Quindi, avvicinatosi al letto e sentendo che la donna e una piccola fanciulla, che con lei era, dormivan forte, pianamente scopertola tutta, vide che così era bella ignuda come vestita, ma niuno segnale da potere rapportare le vide, fuori che uno ch'ella n'avea sotto la sinistra poppa, ciò era un neo d'intorno al quale erano alquanti peluzzi biondi come oro; e, ciò veduto, chetamente la ricoperse, come che, così bella vedendola, in disiderio avesse di mettere in avventura la vita sua e coricarlesi allato. Ma pure, avendo udito lei essere così cruda e alpestra intorno a quelle novelle, non s'arrischiò; e statosi la maggior parte della notte per la camera a suo agio, una borsa e una guarnacca d'un suo forziere trasse e alcuno anello e alcuna cintura, e ogni cosa nella cassa sua messa, egli altressì vi si ritornò, e così la serrò come prima stava; e in questa maniera fece due notti, senza che la donna di niente s'accorgesse. Vegnente il terzo dì, secondo l'ordine dato, la buona femina tornò per la cassa sua e colà la riportò onde levata l'avea; della quale Ambruogiuolo uscito, e contentata secondo la promessa la femina, quanto più tosto potè con quelle cose si tornò a Parigi avanti il termine preso.

Quivi, chiamati que'mercatanti che presenti erano stati alle parole e al metter de' pegni, presente Bernabò, disse sé aver vinto il pegno tra lor messo, perciò che fornito aveva quello di che vantato s'era; e che ciò fosse vero, primieramente disegnò la forma della camera e le dipinture di quella, e appresso mostrò le cose che di lei aveva seco recate, affermando da lei averle avute.

Confessò Bernabò così esser fatta la camera come diceva e oltre a ciò sé riconoscere quelle cose veramente della sua donna essere state; ma disse lui aver potuto da alcuno de' fanti della casa sapere la qualità della camera e in simil maniera avere avute le cose; per che, se altro non dicea, non gli parea che questo bastasse a dovere aver vinto.

Per che Ambruogiuolo disse: « Nel vero questo doveva bastare; ma, poi che tu vuogli che io più avanti ancora dica, e io il dirò. Dicoti che madonna Zinevra tua mogliere ha sotto la sinistra poppa un neo ben grandicello, dintorno al quale son forse sei peluzzi biondi come oro. »

Quando Bernabò udì questo, parve che gli fosse dato d'un coltello al cuore, siffatto dolore sentì; e tutto nel viso cambiato, eziandio se parola non avesse detta, diede assai manifesto segnale ciò esser vero che Ambruogiuolo diceva, e dopo alquanto disse: « Signori, ciò che Ambruogiuolo dice è vero; e perciò, avendo egli vinto, venga qualor gli piace e sì si paghi; » e così fu il dì seguente Ambruogiuolo interamente pagato.

E Bernabò, da Parigi partitosi, con fellone animo contro alla donna verso Genova se ne venne. E appressandosi a quella non volle in essa entrare, ma si rimase ben venti miglia lontano a essa a una sua possessione; e un suo famigliare, in cui molto si fidava, con due cavalli e con sue lettere mandò a Genova, scrivendo alla donna come tornato era e che con lui a lui venisse; e al famiglio segretamente impose che, come in parte fosse colla donna che migliore gli paresse, senza niuna misericordia la dovesse uccidere e a lui tornarsene. Giunto adunque il famigliare a Genova e date le lettere e fatta l'ambasciata, fu dalla donna con gran festa ricevuto, la quale la seguente mattina, montata col famigliare a cavallo, verso la sua possessione prese il cammino.

E camminando insieme e di varie cose ragionando, pervennero in uno vallone molto profondo e solitario e chiuso d'alte grotte e d'alberi, il quale parendo al famigliare luogo da dovere sicuramente per sé fare il comandamento del suo signore, tratto fuori il coltello e presa la donna per lo braccio, disse: « Madonna, raccomandate l'anima vostra a Dio, ché a voi, senza passar più avanti, convien morire. »

La donna, vedendo il coltello e udendo le parole, tutta spaventata disse: « Mercè per Dio! anzi che tu mi uccida, dimmi di che io t'ho offeso, che tu uccider mi debbi. »

« Madonna, » disse il famigliare « me non avete offeso d'alcuna cosa; ma di che voi offeso abbiate il vostro marito io nol so, se non che egli mi comandò che, senza alcuna misericordia aver di voi, io in questo cammin v'uccidessi; e se io nol facessi, mi minacciò di farmi impiccar per la gola. Voi sapete bene quant'io gli son tenuto, e come io di cosa che egli m'imponga possa dir di no; sallo Idio che di voi m'incresce, ma io non posso altro. »

A cui la donna piagnendo disse: « Ahi mercé per Dio! non volere divenire micidiale di chi mai non t'offese, per servire altrui. Idio, che tutto conosce, sa che io non feci mai cosa per la quale io dal mio marito debbia così fatto merito ricevere. Ma lasciamo ora star questo; tu puoi, quando tu vogli, a una ora piacere a Dio e al tuo signore e a me in questa maniera: che tu prenda questi miei panni, e solamente il tuo farsetto e un cappuccio; e con essi torni al mio e tuo signore, e dichi che tu m'abbi uccisa; e io ti giuro, per quella salute la quale tu donata m'avrai, che io mi dileguerò e andronne in parte che mai né a lui né a te né in queste contrade di me perverrà alcuna novella. »

Il famigliare, che mal volentieri l'uccidea, leggiermente divenne pietoso; per che, presi i drappi suoi e datole un suo farsettaccio e un cappuccio, e lasciatile certi denari li quali essa avea, pregandola che di quelle contrade si dileguasse, la lasciò nel vallone e a piè, e andonne al signor suo, al qual disse che il suo comandamento non solamente era fornito, ma che il corpo di lei morto aveva tra parecchi lupi lasciato. Bernabò dopo alcun tempo se ne tornò a Genova e, saputosi il fatto, forte fu biasimato.

La donna, rimasa sola e sconsolata, come la notte fu venuta, contraffatta il più che potè, n'andò a una villetta ivi vicina, e quivi da una vecchia procacciato quello che le bisognava, racconciò il farsetto a suo dosso, e fattol corto, e fattosi della sua camicia un paio di pannilini, e i capelli tondutosi e trasformatasi tutta in forma d'un matinaro, verso il mare se ne venne; dove per avventura trovò un gentile uomo catalano, il cui nome era segner En Cararch, il quale d'una sua nave, la quale alquanto di quivi era lontana, in Albegna disceso era a rinfrescarsi a una fontana. Col quale entrata in parole, con lui s'acconciò per servidore, e salissene sopra la nave, faccendosi chiamar Sicuran da Finale. Quivi, di miglior panni rimesso in arnese dal gentile uomo, lo 'ncominciò a servir sì bene e sì acconciamente, che egli gli venne oltre modo a grado. Avvenne ivi a non gran tempo che questo catalano con un suo carico navicò in Alessandria e portò certi falconi pellegrini al soldano, e presentogliele; al quale il soldano avendo alcuna volta dato mangiare, e veduti i costumi di Sicurano, che sempre a servir l'andava, e piaciutigli, al catalano il domandò; e quegli, ancora che grave gli paresse, gliele lasciò.

Sicurano in poco di tempo non meno la grazia e l'amor del soldano acquistò col suo bene adoperare, che quella del catalano avesse fatto. Per che in processo di tempo avvenne che, dovendosi in un certo tempo dell'anno, a guisa d'una fiera, fare una gran ragunanza di mercatanti e cristiani e saracini in Acri, la quale sotto la signoria del soldano era; acciò che i mercatanti e le mercatantie sicure stessero, era il soldano sempre usato di mandarvi, oltre agli altri suoi uficiali, alcuno de' suoi grandi uomini con gente che alla guardia attendesse. Nella qual bisogna, sopravvegnendo il tempo, diliberò di mandare Sicurano il quale già ottimamente la lingua sapeva; e così fece.

Venuto adunque Sicurano in Acri signore e capitano della guardia de' mercatanti e della mercatantia, e quivi bene e sollicitamente faccendo ciò che al suo uficio apparteneva, e andando dattorno veggendo, e molti mercatanti e ciciliani e pisani e genovesi e viniziani e altri italiani vedendovi, con loro volentieri si dimesticava per rimembrarza della contrada sua. Ora avvenne tra l'altre volte che, essendo egli a un fondaco di mercatanti viniziani smontato, gli vennero vedute tra altre gioie una borsa e una cintura, le quali egli prestamente riconobbe essere state sue, e maravigliossi; ma, senza altra vista fare, piacevolmente domandò di cui fossero e se vendere si voleano.

Era quivi venuto Ambruogiuolo da Piagenza con molta mercatantia in su una nave di viniziani, il quale, udendo che il capitano della guardia domandava di cui fossero, si trasse avanti e ridendo disse: « Messere, le cose son mie e non le vendo; ma s'elle vi piacciono, io le vi donerò volentieri. »

Sicurano, vedendol ridere, suspicò non costui in alcuno atto l'avesse raffigurato; ma pur, fermo viso faccendo, disse: « Tu ridi forse, perché vedi me uom d'arme andar domandando di queste cose feminili? »

Disse Ambruogiuolo: « Messere, io non rido di ciò, ma rido del modo ne quale io le guadagnai. »

A cui Sicuran disse: « Deh, se Idio ti dea buona ventura, se egli non è disdicevole, diccelo come tu le guadagnasti. »

« Messere, » disse Ambruogiuolo « queste mi donò con alcuna altra cosa una gentil donna di Genova chiamata madonna Zinevra, moglie di Bernabò Lomellin, una notte che io giacqui con lei, e pregommi che per suo amore io le tenessi. Ora risi io, per ciò che egli mi ricordò della sciocchezza di Bernabò, il qual fu di tanta follia che mise cinquemilia fiorin d'oro contro a mille che io la sua donna non recherei a' miei piaceri; il che io feci e vinsi il pegno; e egli, che più tosto sé della sua bestialità punir dovea che lei d'aver fatto quello che tutte le femine fanno, da Parigi a Genova tornandosene, per quello che io abbia poi sentito, la fece uccidere. »

Sicurano, udendo questo, prestamente comprese qual fosse la cagione dell'ira di Bernabò verso lei e manifestamente conobbe costui di tutto il suo male esser cagione; e seco pensò di non lasciargliele portare impunita. Mostrò adunque Sicurano d'aver molto cara questa novella, e artatamente prese con costui una stretta dimestichezza, tanto che per gli suoi conforti Ambruogiuolo, finita la fiera, con essolui e con ogni sua cosa se n'andò in Alessandria, dove Sicurano gli fece fare un fondaco e misegli in mano de' suoi denari assai; per che egli, util grande veggendosi, vi dimorava volentieri. Sicurano, sollecito a voler della sua innocenzia far chiaro Bernabò, mai non riposò infino a tanto che con opera d'alcuni grandi mercatanti genovesi che in Alessandria erano, nuove cagioni trovando, non l'ebbe fatto venire; il quale, in assai povero stato essendo, a alcun suo amico tacitamente fece ricevere, infino che tempo gli paresse a quel fare che di fare intendea.

Aveva già Sicurano fatta raccontare a Ambruogiuolo la novella davanti al soldano, e fattone al soldano prendere piacere; ma poi che vide quivi Bernabò, pensando che alla bisogna non era da dare indugio, preso tempo convenevole, dal soldano impetrò che davanti venir si facesse Ambruogiuolo e Bernabò, e in presenzia di Bernabò, se agevolmente fare non si potesse, con severità da Ambruogiuolo si traesse il vero come stato fosse quello di che egli della moglie di Bernabò si vantava. Per la qual cosa, Ambruogiuolo e Bernabò venuti, il soldano in presenzia di molti con rigido viso a Ambrogiuol comandò che il vero dicesse come a Bernabò vinti avesse cinquemilia fiorin d'oro; e quivi era presente Sicurano, in cui Ambruogiuolo più avea di fidanza, il quale con viso troppo più turbato gli minacciava gravissimi tormenti se nol dicesse. Per che Ambruogiuolo, da una parte e d'altra spaventato e ancora alquanto costretto, in presenzia di Bernabò e di molti altri, niuna pena più aspettandone che la restituzione di fiorini cinquemilia d'oro e delle cose, chiaramente, come stato era il fatto, narrò ogni cosa.

E avendo Ambruogiuolo detto, Sicurano, quasi esecutore del soldano, in quello rivolto a Bernabò disse: « E tu che facesti per questa bugia alla tua donna? »

A cui Bernabò rispose: « Io, vinto dalla ira della perdita de' miei denari e dall'onta della vergogna che mi parea avere ricevuta dalla mia donna, la feci a un mio famigliare uccidere; e, secondo che egli mi rapportò, ella fu prestamente divorata da molti lupi. »

Queste cose così nella presenzia del soldan dette e da lui tutte udite e intese, non sappiendo egli ancora a che Sicurano, che questo ordinato avea e domandato, volesse riuscire, gli disse Sicurano: « Signor mio assai chiaramente potete conoscere quanto quella buona donna gloriar si possa d'amante e di marito; ché l'amante a una ora lei priva d'onore, con bugie guastando la fama sua, e diserta il marito di lei; e il marito, più credulo alle altrui falsità che alla verità da lui per lunga esperienza potuta conoscere, la fa uccidere e mangiare a' lupi; e oltre a questo tanto il bene e l'amore che l'amico e 'l marito le porta, che, con lei lungamente dimorati, niuno la conosce. Ma per ciò che voi ottimamente conosciate quello che ciascun di costoro ha meritato, ove voi mi vogliate di spezial grazia fare di punire lo 'ngannatore e perdonare allo 'ngannato, io la farò qui in vostra e in loro presenzia venire. »

Il soldano, disposto in questa cosa di volere in tutto compiacere a Sicurano, disse che gli piacea e che facesse la donna venire. Maravigliossi forte Bernabò, il quale lei per fermo morta credea; e Ambruogiuolo, già del suo male indovino, di peggio avea paura che di pagar denari, né sapea che si sperare o che più temere, perché quivi la donna venisse, ma più con maraviglia la sua venuta aspettava.

Fatta adunque la concessione dal soldano a Sicurano, esso, piagnendo e in ginocchion dinanzi al soldan gittatosi, quasi a una ora la maschil voce e il più voler maschio parere si partì, e disse: « Signor mio, io sono la misera sventurata Zinevra, sei anni andata tapinando in forma d'uom per lo mondo, da questo traditor d'Ambrogiuol falsamente e reamente vituperata, e da questo crudele e iniquo uomo data a uccidere a un suo fante e a mangiare a' lupi. » E stracciando i panni dinanzi e mostrando il petto, sé esser femina e al soldano e a ciascuno altro fece palese; rivolgendosi poi a Ambruogiuolo, ingiuriosamente domandandolo quando mai, secondo che egli avanti si vantava, con lei giaciuto fosse. Il quale, già riconoscendola, e per vergogna quasi mutolo divenuto, niente dicea.

Il soldano, il qual sempre per uomo avuta l'avea, questo vedendo e udendo, venne in tanta maraviglia, che più volte quello che egli vedeva e udiva credette più tosto esser sogno che vero. Ma pur, poi che la maraviglia cessò, la verità conoscendo, con somma laude la vita e la constanzia e i costumi e la virtù della Zinevra, infino allora stata Sicuran chiamata, commendò. E, fattili venire onorevolissimi vestimenti femminili e donne che compagnia le tenessero, secondo la dimanda fatta da lei, a Bernabò perdonò la meritata morte. Il quale, riconosciutola, a' piedi di lei si gittò piagnendo e domandando perdonanza, la quale ella, quantunque egli maldegno ne fosse, benignamente gli diede, e in piede il fece levare, teneramente sì come suo marito abbracciandolo.

Il soldano appresso comandò che incontanente Ambruogiuolo in alcuno alto luogo della città fosse al sole legato a un palo e unto di mele, né quindi mai, infino a tanto che per sé medesimo non cadesse, levato fosse; e così fu fatto. Appresso questo, comandò che ciò che d'Ambruogiuolo stato era fosse alla donna donato; che non era sì poco che oltre a diecimilia dobbre non valesse; e egli, fatta apprestare una bellissima festa, in quella Bernabò, come marito di madonna Zinevra, e madonna Zinevra sì come valorosissima donna, onorò, e donolle che in gioie e che in vasellamenti d'oro e d'ariento e che in denari, quello che valse meglio d'altre diecemilia dobbre. E fatto loro apprestare un legno, poi che finita fu la festa per loro fatta, gli licenziò di potersi tornare a Genova al lor piacere; dove ricchissimi e con grande allegrezza tornarono, e con sommo onore ricevuti furono, e spezialmente madonna Zinevra, la quale da tutti si credeva che morta fosse; e sempre di gran virtù e da molto, mentre visse, fu reputata.

Ambruogiuolo il dì medesimo che legato fu al palo e unto di mele, con sua grandissima angoscia dalle mosche e dalle vespe e da' tafani, de' quali quel paese è copioso molto, fu non solamente ucciso, ma infino all'ossa divorato; le quali bianche rimase e a' nervi appiccate, poi lungo tempo, senza esser mosse, della sua malvagità fecero a chiunque le vide testimonianza. E così rimase lo 'ngannatore a piè dello 'ngannato. --



NOVELLA DECIMA

Paganino da Monaco ruba la moglie a messer Riccardo da Chinzica; il quale, sappiendo dove ella è, va, e diventa amico di Paganino; raddomandagliele, e egli, dove ella voglia, gliele concede; ella non vuol con lui tornare e, morto messer Riccardo, moglie di Paganin diviene.

Ciascuno della onesta brigata sommamente commendò per bella la novella dalla loro reina contata, e massimamente Dioneo, al quale solo per la presente giornata restava il novellare. Il quale, dopo molte commendazioni di quella fatte, disse:

-- Belle donne, una parte della novella della reina m'ha fatto mutare consiglio di dirne una che all'animo m'era, a doverne un'altra dire; e questa è la bestialità di Bernabò, come che bene ne gli avvenisse, e di tutti gli altri che quello si danno a credere che esso di creder mostrava, cioè che essi andando per lo mondo e con questa e con quella ora una volta ora un'altra sollazzandosi, s'imaginano che le donne a casa rimase si tengano le mani a cintola, quasi noi non conosciamo, che tra esse nasciamo e cresciamo e stiamo, di che elle sien vaghe. La qual dicendo, a un'ora vi mosterrò chente sia la sciocchezza di questi cotali, e quanto ancora sia maggiore quella di coloro li quali, sé più che la natura possenti estimando, si credono quello con dimostrazioni favolose potere che essi non possono, e sforzansi d'altrui recare a quello che essi sono, non patendolo la natura di chi è tirato.

Fu dunque in Pisa un giudice, più che di corporal forza dotato d'ingegno, il cui nome fu messer Riccardo di Chinzica, il qual, forse credendosi con quelle medesime opere sodisfare alla moglie che egli faceva agli studi, essendo molto ricco, con non piccola sollicitudine cercò d'avere bella e giovane donna per moglie; dove e l'uno e l'altro, se così avesse saputo consigliar sé come altrui faceva, doveva fuggire. E quello gli venne fatto, per ciò che messer Lotto Gualandi per moglie gli diede una sua figliuola, il cui nome era Bartolomea, una delle più belle e delle più vaghe giovani di Pisa, come che poche ve n'abbiano che lucertole verminare non paiano. La quale il giudice menata con grandissima festa a casa sua, e fatte le nozze belle e magnifiche, pur per la prima notte incappò una volta per consumare il matrimonio a toccarla, e di poco fallò che egli quella una non fece tavola; il quale poi la mattina, sì come colui che era magro e secco e di poco spirito, convenne che con vernaccia e con confetti ristorativi e con altri argomenti nel mondo si ritornasse.

Or questo messer lo giudice, migliore stimatore delle sue forze divenuto che stato non era avanti, incominciò a insegnare a costei un calendario buono da fanciulli che stanno a leggere, e forse già stato fatto a Ravenna. Per ciò che, secondo che egli le mostrava, niun dì era che non solamente una festa, ma molte non ne fossero; a reverenza delle quali per diverse cagioni mostrava l'uomo e la donna doversi astenere da così fatti congiugnimenti, sopra questi aggiugnendo digiuni e quattro tempora e vigilie d'apostoli e di mille altri santi, e venerdì e sabati, e la domenica del Signore e la quaresima tutta, e certi punti della luna e altre eccezioni molte, avvisandosi forse che così feria far si convenisse con le donne nel letto, come egli faceva talvolta piatendo alle civili. E questa maniera (non senza grave malinconia della donna, a cui forse una volta ne toccava il mese e appena) lungamente tenne, sempre guardandola bene, non forse alcuno altro le 'nsegnasse conoscere li dì da lavorare, come egli l'aveva insegnate le feste.

Avvenne che, essendo il caldo grande, a messer Riccardo venne disidero d'andarsi a diportare a un suo luogo molto bello vicino a Monte Nero, e quivi per prendere aere, dimorarsi alcun giorno, e con seco menò la sua bella donna. E quivi standosi, per darle alcuna consolazione, fece un giorno pescare, e sopra due barchette, egli in su una co' pescatori e ella in su un'altra con altre donne, andarono a vedere; e tirandogli il diletto, parecchi miglia, quasi senza accorgersene, n'andarono infra mare. E mentre che essi più attenti stavano a riguardare, subito una galeotta di Paganin da Mare, allora molto famoso corsale, sopravenne; e vedute le barche, si dirizzò a loro; le quali non poteron sì tosto fuggire, che Paganin non giugnesse quella ove eran le donne; nella quale veggendo la bella donna, senza altro volerne, quella, veggente messer Riccardo che già era in terra, sopra la sua galeotta posta, andò via. La qual cosa veggendo messer lo giudice, il quale era sì geloso che temeva dello aere stesso, se esso fu dolente non è da domandare. Egli senza pro, e in Pisa e altrove, si dolfe della malvagità de' corsari, senza sapere chi la moglie tolta gli avesse o dove portatola.

A Paganino, veggendola così bella, parve star bene; e, non avendo moglie, si pensò di sempre tenersi costei, e lei, che forte piagnea, cominciò dolcemente a confortare. E venuta la notte, essendo a lui il calendaro caduto da cintola e ogni festa o feria uscita di mente, la cominciò a confortare co' fatti, parendogli che poco fossero il dì giovate ]e parole; e per sì fatta maniera la racconsolò, che, prima che a Monaco giugnessero, il giudice e le sue leggi le furono uscite di mente, e cominciò a viver più lietamente del mondo con Paganino. Il quale, a Monaco menatala, oltre alle consolazioni che di dì e di notte le dava, onoratamente come sua moglie la tenea.

Poi a certo tempo pervenuto agli orecchi di messer Riccardo dove la sua donna fosse, con ardentissimo disidero, avvisandosi niun interamente saper far ciò che a ciò bisognava, esso stesso dispose d'andar per lei, disposto a spendere per lo riscatto di lei ogni quantità di denari; e, messosi in mare, se n'andò a Monaco, e quivi la vide e ella lui; la quale poi la sera a Paganino il disse e lui della sua intenzione informò. La seguente mattina messer Riccardo, veggendo Paganino, con lui s'accontò e fece in poca d'ora una gran dimestichezza e amistà, infignendosi Paganino di conoscerlo e aspettando a che riuscir volesse. Per che, quando tempo parve a messer Riccardo, come meglio seppe e il più piacevolmente, la cagione per la quale venuto era gli discoperse, pregandolo che quello che gli piacesse prendesse e la donnagli rendesse.

Al quale Paganino con lieto viso rispose: « Messer, voi siate il ben venuto, e rispondendo in brieve, vi dico così: egli è vero che io ho una giovane in casa, la qual non so se vostra moglie o d'altrui si sia, per ciò che voi io non conosco, né lei altressì se non in tanto quanto ella è meco alcun tempo dimorata. Se voi siete suo marito, come voi dite, io, perciò che piacevol gentil uom mi parete, vi menerò da lei, e son certo che ella vi conoscerà bene. Se essa dice che così sia come voi dite e vogliasene con voi venire, per amor della vostra piacevolezza quello che voi medesimo vorrete per riscatto di lei mi darete; ove così non fosse, voi fareste villania a torre, per ciò che io son giovane uomo e posso così come un altro tenere una femina, e spezialmente lei che è la più piacevole che io vidi mai. »

Disse allora messer Riccardo: « Per certo ella è mia moglie, e se tu mi meni dove ella sia, tu il vedrai tosto; ella mi si gittarà incontanente al collo; e per ciò non domando che altramenti sia se non come tu medesimo hai divisato. »

« Adunque, » disse Paganino « andiamo. »

Andatisene adunque nella casa di Paganino e stando in una sua sala, Paganino la fece chiamare, e ella vestita e acconcia uscì d'una camera e quivi venne dove messer Riccardo con Paganino era, né altramenti fece motto a messer Riccardo che fatto s'avrebbe a un altro forestiere che con Paganino in casa sua venuto fosse. Il che vedendo il giudice, che aspettava di dovere essere con grandissima festa ricevuto da lei, si maravigliò forte, e seco stesso cominciò a dire: « Forse che la malinconia e il lungo dolore che io ho avuto, poscia che io la perdei m'ha si trasfigurato che ella non mi riconosce. »

Per che egli disse: « Donna, caro mi costa il menarti a pescare, per ciò che simil dolore non si sentì mai a quello che io ho poscia portato che io ti perdei, e tu non pare che mi riconoschi, sì salvaticamente motto mi fai. Non vedi tu che io sono il tuo messer Riccardo, venuto qui per pagare ciò che volesse questo gentile uomo, in casa cui noi siamo, per riaverti e per menartene; e egli, la sua mercè, per ciò che io voglio, mi ti rende? »

La donna rivolta a lui, un cotal pocolin sorridendo, disse: « Messere, dite voi a me? Guardate che voi non m'abbiate colta in iscambio, chè, quanto è io, non mi ricordo che io vi vedessi giammai. »

Disse messer Riccardo: « Guarda ciò. che tu dì, guatami bene; se tu ti vorrai bene ricordare, tu vedrai bene che io sono il tuo Riccardo di Chinzica. »

La donna disse: « Messere, voi mi perdonerete, forse non è egli così onesta cosa a me, come voi v'imaginate, il molto guardarvi, ma io v'ho nondimeno tanto guardato, che io conosco che io mai più non vi vidi. »

Imaginossi messer Riccardo che ella questo facesse per tema di Paganino, di non volere in sua presenza confessare di conoscerlo: per che dopo alquanto chiese di grazia a Paganino che in camera solo con esso lei le potesse parlare. Paganin disse che gli piacea, sì veramente che egli non la dovesse contra suo piacere baciare; e alla donna comandò che con lui in camera andasse e udisse ciò che egli volesse dire, e come le piacesse gli rispondesse.

Andatisene adunque in camera la donna e messer Riccardo soli, come a seder si furon posti, incominciò messer Riccardo a dire: « Deh, cuor del corpo mio, anima mia dolce, speranza mia, or non riconosci tu Riccardo tuo che t'ama più che sé medesimo? Come può questo essere? Son io così trasfigurato? Deh, occhio mio bello, guatami pure un poco. »

La donna incominciò a ridere e, senza lasciarlo dir più, disse: « Ben sapete che io non sono sì smimorata, che io non conosca che voi siete messer Riccardo di Chinzica mio marito; ma voi, mentre che io fu'con voi, mostraste assai male di conoscer me, per ciò che se voi eravate savio o sete, come volete esser tenuto, dovavate bene aver tanto conoscimento, che voi dovavate vedere che io era giovane e fresca e gagliarda, e per conseguente conoscere quello che alle giovani donne, oltre al vestire e al mangiar, bene che elle per vergogna nol dicano, si richiede; il che come voi il faciavate? voi il vi sapete. E se egli v'era più a grado lo studio delle leggi che la moglie, voi non dovavate pigliarla; benché a me non parve mai che voi giudice foste, anzi mi paravate un banditore di sagre e di feste, sì ben le sapavate, e le digiune e le vigilie. E dicovi che se voi aveste tante feste fatte fare a' lavoratori che le vostre possessioni lavorano, quante faciavate fare a colui che il mio piccol campicello aveva a lavorare, voi non avreste mai ricolto granello di grano. Sonmi abbattuta a costui che ha voluto Idio, sì come pietoso ragguardatore della mia giovanezza, col quale io mi sto in questa camera, nella qual non si sa che cosa festa sia, dico di quelle feste che voi, più divoto a Dio che a' servigi delle donne, cotante celebravate, né mai dentro a quello uscio entrò né sabato né venerdì né vigilia né quattro tempora né quaresima, ch'è così lunga, anzi di dì e di notte ci si lavora e battecisi la lana; e poi che questa notte sonò mattutino, so bene come il fatto andò da una volta in su. E però con lui intendo di starmi e di lavorare mentre sarò giovane; e le feste e le perdonanze e i digiuni serbarmi a far quando sarò vecchia; e voi colla buona ventura sì ve n'andate il più tosto che voi potete, e senza me fate feste quante vi piace. »

Messer Riccardo, udendo queste parole, sosteneva dolore incomportabile, e disse, poi che lei tacer vide: « Deh, anima mia dolce, che parole son quelle che tu dì? Or non hai tu riguardo all'onore de' parenti tuoi e al tuo? Vuo'tu innanzi star qui per bagascia di costui e in peccato mortale, che a Pisa mia moglie? Costui, quando tu gli sarai rincresciuta, con gran vitupero di te medesima ti caccerà via; io t'avrò sempre cara, e sempre, ancora che io non volessi, sarai donna della casa mia. Dei tu per questo appetito disordinato e disonesto lasciar l'onor tuo e me, che t'amo più che la vita mia? Deh, speranza mia cara, non dir più così, voglitene venir con meco; io da quinci innanzi, poscia che io conosco il tuo disidero, mi sforzerò; e però, ben mio dolce, muta consiglio e vientene meco, ché mai ben non sentii poscia che tu tolta mi fosti. »

A cui la donna rispose: « Del mio onore non intendo io che persona, ora che non si può, sia più di me tenera; fossonne stati i parenti miei quando mi diedero a voi! li quali se non furono allora del mio, io non intendo d'essere al presente del loro; e se io ora sto in peccato mortaio, io starò quando che sia in peccato pestello: non ne siate più tenero di me. E dicovi così, che qui mi pare esser moglie di Paganino, e a Pisa mi pareva esser vostra bagascia, pensando che per punti di luna e per isquadri di geometria si convenivano tra voi e me congiugnere i pianeti, dove qui Paganino tutta la notte mi tiene in braccio e strignemi e mordemi, e come egli mi conci Idio ve 'l dica per me. Anche dite voi che vi sforzerete: e di che? di farla in tre pace, e rizzare a mazzata? Io so che voi siete divenuto un prò cavaliere poscia che io non vi vidi. Andate, e sforzatevi di vivere; ché mi pare anzi che no che voi ci stiate a pigione, sì tisicuzzo e tristanzuol mi parete. E ancor vi dico più: che quando costui mi lascerà, che non mi pare a ciò disposto dove io voglia stare, io non intendo per ciò di mai tornare a voi, di cui, tutto premendovi, non si farebbe uno scodellin di salsa; per ciò che con mio grandissimo danno e interesse vi stetti una volta; per che in altra parte cercherei mia civanza. Di che da capo vi dico che qui non ha festa né vigilia; laonde io intendo di starmi; e per ciò, come più tosto potete, v'andate con Dio, se non che io griderò che voi mi vogliate sforzare. »

Messer Riccardo, veggendosi a mal partito e pure allora conoscendo la sua follia d'aver moglie giovane tolta essendo spossato, dolente e tristo s'uscì della camera e disse parole assai a Paganino, le quali non montarono un frullo. E ultimamente, senza alcuna cosa aver fatta, lasciata la donna, a Pisa si ritornò, e in tanta mattezza per dolor cadde che, andando per Pisa, a chiunque il salutava o d'alcuna cosa il domandava, niuna altra cosa rispondeva se non: « Il mal foro non vuol festa »; e dopo non molto tempo si morì.

Il che Paganin sentendo, e conoscendo l'amore che la donna gli portava, per sua legittima moglie la sposò, e senza mai guardar festa o vigilia o fare quaresima, quanto le gambe ne gli poteron portare, lavorarono e buon tempo si diedono. Per la qual cosa, donne mie care, mi pare che ser Bernabò disputando con Ambruogiuolo cavalcasse la capra inverso il chino. --



[ CONCLUSIONE ]

Questa novella diè tanto che ridere a tutta la compagnia, che niun ve n'era a cui non dolessero le mascelle, e di pari consentimento tutte le donne dissono che Dioneo diceva vero e che Bernabò era stato una bestia. Ma, poi che la novella fu finita e le risa ristate, avendo la reina riguardato che l'ora era omai tarda, e che tutti avean novellato, e la fine della sua signoria era venuta, secondo il cominciato ordine, trattasi la ghirlanda di capo, sopra la testa la pose di Neifile con lieto viso dicendo: -- Omai, cara compagna, di questo piccol popolo il governo sia tuo --: e a seder si ripose.

Neifile del ricevuto onore un poco arrossò e tal nel viso divenne qual fresca rosa d'aprile o di maggio in su lo schiarir del giorno si mostra, con gli occhi vaghi e scintillanti, non altramenti che mattutina stella, un poco bassi. Ma poi che l'onesto romor de' circustanti, nel quale il favor loro verso la reina lietamente mostravano, si fu riposato e ella ebbe ripreso l'animo, alquanto più alta che usata non era sedendo, disse: -- Poiché così è che io vostra reina sono, non dilungandomi dalla maniera tenuta per quelle che davanti a me sono state, il cui reggimento voi ubbidendo commendato avete, il parer mio in poche parole vi farò manifesto, il quale, se dal vostro consiglio sarà commendato, quel seguiremo. Come voi sapete, domane è venerdì e il seguente dì sabato, giorni, per le vivande le quali s'usano in quegli, al quanto tediosi alle più genti; senza che 'l venerdì, avendo riguardo che in esso Colui che per la nostra vita morì sostenne passione, è degno di reverenza; per che giusta cosa e molto onesta reputerei, che, a onor d'lddio, più tosto a orazioni che a novelle vacassimo. E il sabato appresso usanza è delle donne di lavarsi la testa e di tor via ogni polvere, ogni sì a pieno in quel dì l'ordine da noi preso nel vivere seguitare, similmente stimo sia ben fatto, quel dì del novellare ci posiamo. Appresso, per ciò che noi qui quattro dì dimorate saremo, se noi vogliam tor via che gente nuova non ci sopravvenga, reputo opportuno di mutarci di qui e andarne altrove, e il dove io ho già pensato e proveduto. Quivi quando noi saremo domenica appresso dormire adunati, avendo noi oggi avuto assai largo spazio da discorrere ragionando, sì perché più tempo da pensare avrete, e sì perché sarà ancora più bello che un poco si ristringa del novellare la licenzia e che sopra uno de' molti fatti della Fortuna si dica, ì ho pensato che questo sarà, di chi alcuna cosa molto da lui disiderata con industria acquistasse o la perduta recuperasse. Sopra che ciascun pensi di dire alcuna cosa che alla brigata esser possa utile o almeno dilettevole, salvo sempre il privilegio di Dioneo.

Ciascuno commendò il parlare e il diviso della reina, e così statuiron che fosse. La quale appresso questo, fattosi chiamare il suo siniscalco, dove metter dovesse la sera le tavole, e quello appresso che far dovesse in tutto il tempo delta sua signoria pienamente gli divisò, e cosi fatto, in piè dirizzata colla sua brigata, a far quello che più piacesse a ciascuno gli licenziò.

Presero adunque le donne e gli uomini inverso un giardinetto la via, e quivi, poi che alquanto diportati si furono, l'ora della cena venuta, con festa e con piacer cenarono e da quella levati, come alla reina piacque, menando Emilia la carola, la seguente canzone da Pampinea, rispondendo l'altre, fu cantanta:

Qual donna canterà, s'io non canto io,
che son contenta d'ogni mio disio?

Vien dunque, Amor, cagion d'ogni mio bene,
d'ogni speranza e d'ogni lieto effetto;
cantiamo insieme un poco,
non de' sospir né delle amare pene
ch'or più dolce mi fanno il tuo diletto,
ma sol del chiaro foco,
nel quale ardendo in festa vivo e 'n gioco,
te adorando come un mio idio.

Tu mi ponesti innanzi agli occhi, Amore,
il primo dì ch'io nel tuo foco entrai,
un giovinetto tale,
che di biltà, d'ardir né di valore
non se ne troverebbe un maggior mai,
né pure a lui equale:
di lui m'accesi tanto, che aguale
lieta ne canto teco, signor mio.

E quel che 'n questo m'è sommo piacere
è ch'io gli piaccio quanto egli a me piace,
Amor, la tua merzede;
per che in questo mondo il mio volere
posseggo, e spero nell'altro aver pace
per quella intera fede
che io gli porto. Idio, che questo vede,
del regno suo ancor ne sarà pio.

Appresso questa, più altre se ne cantarono e più danze si fecero e sonarono diversi suoni; ma, estimando la reina tempo essere di doversi andare a posare, co' torchi avanti ciascuno alla sua camera se n'andò. E li due dì seguenti a quelle cose vacando che prima la reina avea ragionate, con disiderio aspettarono la domenica.


FINISCE LA SECONDA GIORNATA DEL DECAMERON


EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Tutte le opere di Giovanni Boccaccio - Volume IV", a cura di Vittore Branca, Arnoldo Mondadori editore, Milano, 1976







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