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INCOMINCIA L'OTTAVA GIORNATA, NELLA QUALE, SOTTO IL REGGIMENTO DI LAURETTA, SI RAGIONA DI QUELLE BEFFE CHE TUTTO IL GIORNO O DONNA A UOMO O UOMO A DONNA O L'UNO UOMO ALL'ALTRO SI FANNO.



[ INTRODUZIONE ]

Già nella sommità de' più alti monti apparivano, la domenica mattina, i raggi della surgente luce e, ogni ombra partitasi, manifestamente le cose si conosceano, quando la reina levatasi con la sua compagnia primieramente alquanto su per le rugiadose erbette andarono, e poi in su la mezza terza una chiesetta lor vicina visitata, in quella il divino oficio ascoltarono. E a casa tornatisene, poi che con letizia e con festa ebber mangiato, cantarono e danzarono alquanto; e appresso, licenziati dalla reina, chi volle andare a riposarsi potè. Ma avendo il sol già passato il cerchio di meriggio, come alla reina piacque, al novellare usato tutti appresso la bella fontana a seder posti, per comandamento della reina così Neifile cominciò.



NOVELLA PRIMA

Gulfardo prende da Gasparuolo denari in prestanza, e con la moglie di lui accordato di dover giacer con lei per quegli sì gliele dà; e poi in presenzia di lei a Guasparruol dice che a lei gli diede, e ella dice che è il vero.

-- Se così ha disposto Idio che io debba alla presente giornata dare con la mia novella cominciamento, e el mi piace. E per ciò, amorose donne, con ciò sia cosa che molto detto si sia delle beffe fatte dalle donne agli uomini, una fattane da uno uomo a una donna mi piace di raccontarne, non già perché io intenda in quella di biasimare ciò che l'uom fece o di dire che alla donna non fosse bene investito, anzi per commendar l'uomo e biasimare la donna, e per mostrare che anche gli uomini sanno beffare chi crede loro, come essi da cui egli credono son beffati; avvegna che, chi volesse più propriamente parlare, quello che io dir debbo non si direbbe beffa, anzi si direbbe merito; per ciò che, con ciò sia cosa che ciascuna donna debba essere onestissima e la sua castità come la sua vita guardare, né per alcuna cagione a contaminarla conducersi; e questo non potendosi così appieno tuttavia, come si converrebbe, per la fragilità nostra; affermo colei esser degna del fuoco la quale a ciò per prezzo si conduce; dove chi per amore, conoscendo le sue forze grandissime, perviene, da giudice non troppo rigido merita perdono, come, pochi dì son passati, ne mostrò Filostrato essere stato in madonna Filippa osservato in Prato.

Fu adunque già in Melano un tedesco al soldo, il cui nome fu Gulfardo, pro'della persona e assai leale a coloro ne'cui servigi si mettea, il che rade volte suole de' tedeschi a venire; e per ciò che egli era nelle prestanze de' denari che fatte gli erano lealissimo renditore, assai mercatanti avrebbe trovati che per piccolo utile ogni quantità di denari gli avrebber prestata. Pose costui, in Melan dimorando, l'amor suo in una donna assai bella, chiamata madonna Ambruogia, moglie d'un ricco mercatante, che aveva nome Guasparruol Cagastraccio, il quale era assai suo conoscente e amico; e amandola assai discretamente, senza avvedersene il marito né altri, le mandò un giorno a parlare, pregandola che le dovesse piacere d'essergli del suo amor cortese, e che egli era dalla sua parte presto a dover far ciò che ella gli comandasse. La donna, dopo molte novelle, venne a questa conclusione, che ella era presta di far ciò che a Gulfardo piacesse, dove due cose ne dovesser seguire: l'una, che questo non dovesse mai per lui esser manifestato a alcuna persona; l'altra, che, con ciò fosse cosa che ella avesse per alcuna sua cosa bisogno di fiorini dugento d'oro, voleva che egli, che ricco uomo era, gliele donasse, e appresso sempre sarebbe al suo servigio.

Gulfardo, udendo la 'ngordigia di costei, isdegnato per la viltà di lei, la quale egli credeva che fosse una valente donna, quasi in odio trasmutò il fervente amore, e pensò di doverla beffare, e mandolle dicendo che molto volentieri e quello e ogn'altra cosa, che egli potesse, che le piacesse; e per ciò mandassegli pure a dire quando ella volesse che egli andasse a lei, ché egli gliele porterebbe, né che mai di questa cosa alcun sentirebbe, se non un suo compagno di cui egli si fidava molto e che sempre in sua compagnia andava in ciò che faceva. La donna, anzi cattiva femina, udendo questo, fu contenta, e mandogli dicendo che Gasparuolo suo marito doveva ivi a pochi dì per sue bisogne andare infino a Genova, e allora ella gliele farebbe assapere e manderebbe per lui.

Gulfardo, quando tempo gli parve, se n'andò a Gasparuolo e sì gli disse: « Io son per fare un mio fatto, per lo quale mi bisognano fiorini dugento d'oro, li quali io voglio che tu mi presti con quello utile che tu mi suogli prestare degli altri. » Gasparuolo disse che volentieri e di presente gli annoverò i denari.

Ivi a pochi giorni Gasparuolo andò a Genova, come la donna aveva detto; per la qual cosa la donna mandò a Gulfardo che a lei dovesse venire e recare li dugento fiorin d'oro. Gulfardo, preso il compagno suo, se n'andò a casa della donna, e trovatala che l'aspettava, la prima cosa che fece, le mise in mano questi dugento fiorin d'oro, veggente il suo compagno, e sì le disse: « Madonna, tenete questi denari e daretegli a vostro marito quando serà tornato. »

La donna gli prese, e non s'avvide perché Gulfardo dicesse così; ma si credette che egli il facesse, acciò che 'l compagno suo non s'accorgesse che egli a lei per via di prezzo gli desse. Per che ella disse: « Io il farò volentieri, ma io voglio vedere quanti sono »; e versatigli sopra una tavola e trovatigli esser dugento, seco forte contenta, gli ripose, e tornò a Gulfardo, e lui nella sua camera menato, non solamente quella volta, ma molte altre, avanti che 'l marito tornasse da Genova, della sua persona gli sodisfece.

Tornato Gasparuolo da Genova, di presente Gulfardo, avendo appostato che insieme con la moglie era, se n'andò a lui e in presenza di lei disse: « Gasparuolo, i denari, cioè li dugento fiorin d'oro che l'altrier mi prestasti, non m'ebber luogo, per ciò che io non pote'fornir la bisogna per la quale gli presi; e per ciò io gli recai qui di presente alla donna tua, e sì gliele diedi; e per ciò dannerai la mia ragione. »

Gasparuolo, volto alla moglie, la domandò se avuti gli avea. Ella, che quivi vedeva il testimonio, nol seppe negare, ma disse: « Mai sì che io gli ebbi, né me n'era ancora ricordata di dirloti. »

Disse allora Gasparuolo: « Gulfardo, io son contento; andatevi pur con Dio, che io acconcerò bene la vostra ragione. »

Gulfardo partitosi, e la donna rimasa scornata diede al marito il disonesto prezzo della sua cattività: e così il sagace amante senza costo godé della sua avara donna. --



NOVELLA SECONDA

Il Prete da Varlungo si giace con monna Belcolore, lasciale pegno un suo tabarro; e accattato da lei un mortaio, il rimanda e fa domandare il tabarro lasciato per ricordanza: rendelo proverbiando la buona donna.

Commendavano igualmente e gli uomini e le donne ciò che Gulfardo fatto aveva alla 'ngorda melanese, quando la reina a Panfilo voltatasi, sorridendo gl'impose ch'el seguitasse; per la qual cosa Panfilo incominciò:

-- Belle donne, a me occorre di dire una novelletta contro a coloro li quali continuamente n'offendono senza poter da noi del pari essere offesi, cioè contro a' preti, li quali sopra le nostre mogli hanno bandita la croce, e par loro non altramenti aver guadagnato il perdono di colpa e di pena, quando una se ne possono metter sotto, che se d'Alessandria avessero il soldano menato legato a Vignone. Il che i secolari cattivelli non possono a lor fare; come che nelle madri, nelle sirocchie, nell'amiche e nelle figliuole con non meno ardore, che essi le lor mogli assaliscano, vendichino l'ire loro. E per ciò io intendo raccontarvi uno amorazzo contadino, più da ridere per la conclusione che lungo di parole, del quale ancora potrete per frutto cogliere che a' preti non sia sempre ogni cosa da credere.

Dico adunque che a Varlungo, villa assai vicina di qui, come ciascuna di voi o sa o puote avere udito, fu un valente prete e gagliardo della persona ne'servigi delle donne, il quale, come che legger non sapesse troppo, pur con molte buone e sante parolozze la domenica a piè dell'olmo ricreava i suoi popolani; e meglio le lor donne, quando essi in alcuna parte andavano, che altro prete che prima vi fosse stato, visitava, portando loro della festa e dell'acqua benedetta e alcun moccolo di candela talvolta infino a casa, dando loro la sua benedizione.

Ora avvenne che, tra l'altre sue popolane che prima gli eran piaciute, una sopra tutte ne gli piacque, che aveva nome monna Belcolore, moglie d'un lavoratore che si facea chiamare Bentivegna del Mazzo; la qual nel vero era pure una piacevole e fresca foresozza, brunazza e ben tarchiata, e atta a meglio saper macinare che alcuna altra; e oltre a ciò era quella che meglio sapeva sonare il cembalo e cantare L'acqua corre la borrana e menare la ridda e il ballonchio, quando bisogno faceva, che vicina che ella avesse, con bel moccichino e gentile in mano. Per le quali cose messer lo prete ne 'nvaghì sì forte, che egli ne menava smanie; e tutto 'l dì andava aiato per poterla vedere; e quando la domenica mattina la sentiva in chiesa, diceva un Kyrie e un Sanctus sforzandosi ben di mostrarsi un gran maestro di canto, che pareva uno asino che ragghiasse, dove, quando non la vi vedeva, si passava assai leggermente; ma pure sapeva sì fare che Bentivegna del Mazzo non se ne avvedeva, né ancora vicino che egli avesse. E per poter più avere la dimestichezza di monna Belcolore, a otta a otta la presentava: e quando le mandava un mazzuol d'agli freschi, che egli aveva i più belli della contrada in un suo orto che egli lavorava a sue mani, e quando un canestruccio di baccelli, e talora un mazzuol di cipolle maligie o di scalogni; e, quando si vedeva tempo, guatatala un poco in cagnesco, per amorevolezza la rimorchiava, e ella cotal salvatichetta, faccendo vista di non avvedersene, andava pure oltre in contegno; per che messer lo prete non ne poteva venire a capo.

Ora avvenne un dì che, andando il prete di fitto meriggio per la contrada or qua or là zazzeato, scontrò Bentivegna del Mazzo con uno asino pien di cose innanzi; e fattogli motto, il domandò dov'egli andava.

A cui Bentivegna rispose: « Gnaffe, sere, in buona verità io vo infino a città per alcuna mia vicenda, e porto queste cose a ser Bonaccorri da Ginestreto, che m'aiuti di non so che m'ha fatto richiedere per una comparigione del parentorio per lo pericolator suo il giudice del dificio. »

Il prete lieto disse: « Ben fai, figliuole; or va con la mia benedizione e torna tosto; e se ti venisse veduto Lapuccio o Naldino, non t'esca di mente di dir lor che mi rechino quelle combine per li coreggiati miei. »

Bentivegna disse che sarebbe fatto; e venendosene verso Firenze, si pensò il prete che ora era tempo d'andare alla Bel colore e di provare sua ventura; e messasi la via tra'piedi, non ristette sì fu a casa di lei, e entrato dentro disse:« Dio ci mandi bene, chi è di qua? »

La Belcolore, ch'era andata in balco, udendol disse: « O sere, voi siate il ben venuto; che andate voi zacconato per questo caldo? »

Il prete rispose: « Se Dio mi dea bene, che io mi vengo a star con teco un pezzo, per ciò che io trovai l'uom tuo che andava a città. »

La Belcolore, scesa giù, si pose a sedere, e cominciò nettar sementa di cavolini, che il marito avea poco innanzi trebbiati. Il prete le cominciò a dire: « Bene, Belcolore, de' mi tu far sempre mai morire questo modo? »

La Belcolore cominciò a ridere e a dire: « O che ve fo io? »

Disse il prete: « Non mi fai nulla, ma tu non mi lasci fare a te quei ch'io vorrei e che Idio comandò. »

Disse la Belcolore: « Deh! andate, andate: o fanno i preti così fatte cose? »

Il prete rispose: « Sì facciam noi meglio che gli altri uomini; o perché no? E dicoti più, che noi facciamo vie miglior lavorio; e sai perché? Perché noi maciniamo a raccolta; ma in verità bene a tuo uopo, se tu stai cheta e lascimi fare. » Disse la Belcolore: « O che bene a mio uopo potrebbe esser questo, ché siete tutti quanti più scarsi che 'l fistolo? »

Allora il prete disse: « Io non so, chiedi pur tu: o vuogli un paio di scarpette, o vuogli un frenello, o vuogli una bella fetta di stame, o ciò che tu vuogli. »

Disse la Belcolore: « Frate, bene sta! Io me n'ho di coteste cose; ma se voi mi volete cotanto bene, ché non mi fate voi un servigio, e io farò ciò che voi vorrete? »

Allora disse il prete: « Di'ciò che tu vuogli, e io il farò volentieri. »

La Belcolore allora disse: « Egli mi conviene andar sabato a Firenze a render lana che io ho filata e a far racconciare il filatoio mio; e se voi mi prestate cinque lire, che so che l'avete, io ricoglierò dall'usuraio la gonnella mia del perso e lo scaggiale dai dì delle feste, che io recai a marito, ché vedete che non ci posso andare a santo né in niun buon luogo, perché io non l'ho; e io sempre mai poscia farò ciò che voi vorrete. »

Rispose il prete: « Se Dio mi dea il buono anno, io non gli ho allato: ma credimi che, prima che sabato sia, io farò che tu gli avrai molto volentieri. »

« Sì, » disse la Belcolore « tutti siete così gran promettitori, e poscia non attenete altrui nulla: credete voi fare a me come voi faceste alla Biliuzza, che se n'andò col ceteratoio? Alla fè di Dio non farete, ché ella n'è divenuta femina di mondo pur per ciò: se voi non gli avete, e voi andate per essi. »

« Deh! » disse il prete « non mi fare ora andare infino a casa; ché vedi che ho così ritta la ventura testè che non c'è persona, e forse quand'io tornassi ci sarebbe chi che sia che c'impaccerebbe; e io non so quando e'mi si venga così ben fatto come ora. »

E ella disse: « Bene sta; se voi volete andar, sì andate; se non, sì ve ne durate. »

Il prete, veggendo che ella non era acconcia a far cosa che gli piacesse, se non a salvum me fac, e egli volea fare sine custodia, disse: « Ecco, tu non mi credi che io te gli rechi; acciò che tu mi creda, io ti lascerò pegno questo mio tabarro di sbiavato. »

La Belcolore levò alto il viso e disse: « Sì, cotesto tabarro, o che vale egli? »

Disse il prete: « Come, che vale? Io voglio che tu sappi che egli è di duagio infino in treagio, e hacci di quegli nel popolo nostro che il tengon di quattragio, e non è ancora quindici dì che mi costò da Lotto rigattiere delle lire ben sette, e ebbine buon mercato de soldi ben cinque, per quel che mi dice Buglietto d'Alberto, che sai che si conosce così bene di questi panni sbiavati. »

« O sié? » disse la Belcolore « se Dio m'aiuti, io non l'averei mai creduto: ma datemelo in prima. »

Messer lo prete, ch'aveva carica la balestra, trattosi il tabarro, gliele diede; e ella, poi che riposto l'ebbe, disse: « Sere, andiancene qua nella capanna, che non vi vien mai persona »; e così fecero.

E quivi il prete, dandole i più dolci baciozzi del mondo e faccendola parente di messer Domenedio, con lei una gran pezza si sollazzò: poscia partitosi in gonnella, che pareva che venisse da servire a nozze, se ne tornò al santo.

Quivi, pensando che quanti moccoli ricoglieva in tutto l'anno d'offerta non valevan la metà di cinque lire, gli parve aver mal fatto, e pentessi d'aver lasciato il tabarro e cominciò a pensare in che modo riavere lo potesse senza costo. E per ciò che alquanto era maliziosetto, s'avvisò troppo bene come dovesse fare a riaverlo, e vennegli fatto; per ciò che il dì seguente, essendo festa, egli mandò un fanciul d'un suo vicino in casa questa monna Belcolore, e mandolla pregando che le piacesse di prestargli il mortaio suo della pietra, però che desinava la mattina con lui Binguccio dal Poggio e Nuto Buglietti, sì che egli voleva far della salsa. La Belcolore gliele mandò.

E come fu in su l'ora del desinare, e 'l prete appostò quando Bentivegna del Mazzo e la Belcolor manicassero, e chiamato il chierico suo, gli disse: « Togli quel mortaio e riportalo alla Belcolore, e di': 'Dice il sere che gran mercè, e che voi gli rimandiate il tabarro che 'l fanciullo vi lasciò per ricordanza'. » Il cherico andò a casa della Belcolore con questo mortaio e trovolla insieme con Bentivegna a desco che desinavano. Quivi, posto giù il mortaio, fece l'ambasciata del prete.

La Belcolore, udendosi richiedere il tabarro, volle rispondere; ma Bentivegna con un mal viso disse: « Dunque toi tu ricordanza al sere? Fo boto a Cristo, che mi vien voglia di darti un gran sergozzone; va, rendigliel tosto, che canciola te nasca; e guarda che di cosa che voglia mai, io dico s'e'volesse l'asino nostro, non ch'altro, non gli sia detto di no. »

La Belcolore brontolando si levò, e andatasene al soppidiano, ne trasse il tabarro e diello al cherico e disse: « Dirai così al sere da mia parte: 'La Belcolore dice che fa prego a Dio che voi non pesterete mai più salsa in suo mortaio, non l'avete voi sì bello onor fatto di questa.' »

Il cherico se n'andò col tabarro e fece l'ambasciata al sere, a cui il prete ridendo disse: « Dira'le, quando tu la vedrai, che s'ella non ci presterà il mortaio, io non presterrò a lei il pestello; vada l'un per l'altro. »

Bentivegna si credeva che la moglie quelle parole dicesse perché egli l'aveva garrita, e non se ne curò. Ma la Belcolore, rimasa scornata, venne in iscrezio col sere, e tennegli favella insino a vendemmia; poscia, avendola minacciata il prete di farnela andare in bocca del Lucifero maggiore, per bella paura entro, col mosto e con le castagne calde si rappattumò con lui, e più volte insieme fecer poi gozzoviglia. E in iscambio delle cinque lire le fece il prete rincartare il cembal suo e appiccarvi un sonagliuzzo, e ella fu contenta. --



NOVELLA TERZA

Calandrino, Bruno e Buffalmacco giù per lo Mugnone vanno cercando di trovar l'elitropia, e Calandrino se la crede aver trovata; tornasi a casa carico di pietre; la moglie il proverbia, e egli turbato la batte, e a' suoi compagni racconta ciò che essi sanno meglio di lui.

Finita la novella di Panfilo, della quale le donne avevano tanto riso che ancor ridono, la reina a Elissa commise che seguitasse; la quale ancora ridendo incominciò:

-- Io non so, piacevoli donne, se egli mi si verrà fatto di farvi con una mia novelletta, non men vera che piacevole, tanto ridere quanto ha fatto Panfilo con la sua, ma io me ne 'ngegnerò.

Nella nostra città, la qual sempre di varie maniere e di nuove genti è stata abondevole, fu, ancora non è gran tempo, un dipintore chiamato Calandrino, uom semplice e di nuovi costumi, il quale il più del tempo con due altri dipintori usava, chiamati l'un Bruno e l'altro Buffalmacco, uomini sollazzevoli molto, ma per altro avveduti e sagaci, li quali con Calandrino usavan per ciò che de' modi suoi e della sua simplicità sovente gran festa prendevano. Era similmente allora in Firenze un giovane di maravigliosa piacevolezza, in ciascuna cosa che far voleva astuto e avvenevole, chiamato Maso del Saggio; il quale, udendo alcune cose della simplicità di Calandrino, propose di voler prender diletto de' fatti suoi col fargli alcuna beffa, o fargli credere alcuna nuova cosa.

E per avventura trovandolo un dì nella chiesa di San Giovanni, e vedendolo stare attento a riguardar le dipinture e gl'intagli del tabernacolo il quale è sopra l'altare della detta chiesa, non molto tempo davanti postovi, pensò essergli dato luogo e tempo alla sua intenzione; e informato un suo compagno di ciò che fare intendeva, insieme s'accostarono là dove Calandrino solo si sedeva, e faccendo vista di non vederlo, insieme cominciarono a ragionare delle virtù di diverse pietre, delle quali Maso così efficacemente parlava come se stato fosse un solenne e gran lapidario. A' quali ragionamenti Calandrino posto orecchie, e dopo alquanto levatosi in piè, sentendo che non era credenza, si congiunse con loro; il che forte piacque a Maso; il quale, seguendo le sue parole, fu da Calandrin domandato dove queste pietre così virtuose si trovassero. Maso rispose che le più si trovavano in Berlinzone, terra de' Baschi, in una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce, e avevasi un'oca a denaio e un papero giunta, e eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n'aveva; e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciol d'acqua.

« Oh! » disse Calandrino « cotesto è buon paese; ma dimmi, che si fa de' capponi che cuocon coloro? »

Rispose Maso: « Mangiansegli i Baschi tutti. »

Disse allora Calandrino: « Fostivi tu mai? »

A cui Maso rispose: « Di'tu se io vi fu' mai? Sì vi sono stato così una volta come mille. »

Disse allora Calandrino: « E quante miglia ci ha? »

Maso rispose: « Haccene più di millanta, che tutta notte canta. »

Disse Calandrino: « Dunque dee egli essere più là che Abruzzi. »

« Sì bene, » rispose Maso « si è cavelle. »

Calandrino semplice, veggendo Maso dir queste parole con un viso fermo e senza ridere, quella fede vi dava che dar si può a qualunque verità più manifesta, e così l'aveva per vere, e disse: « Troppo ci è di lungi a' fatti miei, ma se più presso ci fosse, ben ti dico che io vi verrei una volta con essoteco, pur per veder fare il tomo a quei maccheroni, e tormene una satolla. Ma dimmi, che lieto sie tu, in queste contrade non se ne truova niuna di queste pietre così virtuose? »

A cui Maso rispose: « Sì, due maniere di pietre ci si truovano di grandissima virtù: l'una sono i macigni da Settignano e da Montici, per virtù de' quali, quando son macine fatti, se ne fa la farina; e per ciò si dice egli in que'paesi di là, che da Dio vengono le grazie e da Montici le macine; ma ecci di questi macigni sì gran quantità, che appo noi è poco prezzata, come appo loro gli smeraldi, de' quali v'ha maggior montagne che monte Morello che rilucon di mezza notte vatti con Dio. E sappi che chi facesse le macine belle e fatte legare in anella, prima che elle si forassero, e portassele al soldano, n'avrebbe ciò che volesse. L'altra si è una pietra, la quale noi altri lapidari appelliamo elitropia, pietra di troppo gran virtù, per ciò che qualunque persona la porta sopra di sè, mentre la tiene, non è da alcuna altra persona veduto dove non è. »

Allora Calandrin disse: « Gran virtù son queste; ma questa seconda dove si truova? »

A cui Maso rispose che nel Mugnone se ne solevan trovare.

Disse Calandrino: « Di che grossezza è questa pietra? O che colore è il suo? »

Rispose Maso: « Ella è di varie grossezze, ché alcuna n'è più e alcuna meno, ma tutte son di colore quasi come nero. »

Calandrino, avendo tutte queste cose seco notate, fatto sembiante d'avere altro a fare, si partì da Maso, e seco propose di voler cercare di questa pietra; ma diliberò di non volerlo fare senza saputa di Bruno e di Buffalmacco, li quali spezialissimamente amava. Diessi adunque a cercar di costoro, acciò che senza indugio e prima che alcuno altro n'andassero a cercare, e tutto il rimanente di quella mattina consumò in cercargli. Ultimamente, essendo già l'ora della nona passata, ricordandosi egli che essi lavoravano nel monistero delle donne di Faenza, quantunque il caldo fosse grandissimo, lasciata ogni altra sua faccenda, quasi correndo n'andò a costoro, e chiamatigli, così disse loro: « Compagni, quando voi vogliate credermi, noi possiamo divenire i più ricchi uomini di Firenze, per ciò che io ho inteso da uomo degno di fede che in Mugnone si truova una pietra, la qual chi la porta sopra non è veduto da niun'altra persona; per che a me parrebbe che noi senza alcuno indugio, prima che altra persona v'andasse, v'andassimo a cercare. Noi la troveremo per certo, per ciò che io la conosco; e trovata che noi l'avremo, che avrem noi a fare altro se non mettercela nella scarsella e andare alle tavole de' cambiatori, le quali sapete che stanno sempre cariche di grossi e di fiorini, e torcene quanti noi ne vorremo? Niuno ci vedrà; e così potremo arricchire subitamente, senza avere tutto dì a schiccherare le mura a modo che fa la lumaca. »

Bruno e Buffalmacco, udendo costui, fra sé medesimi cominciarono a ridere, e guatando l'un verso l'altro fecer sembianti di maravigliarsi forte, e lodarono il consiglio di Calandrino; ma domandò Buffalmacco, come questa pietra avesse nome.

A Calandrino, che era di grossa pasta, era già il nome uscito di mente, per che egli rispose: « Che abbiam noi a far del nome, poi che noi sappiam la virtù? A me parrebbe che noi andassimo a cercare senza star più. »

« Or ben » disse Bruno « come è ella fatta? »

Calandrin disse: « Egli ne son d'ogni fatta, ma tutte son quasi nere; per che a me pare che noi abbiamo a ricogliere tutte quelle che noi vederem nere, tanto che noi ci abbattiamo a essa; e per ciò non perdiamo tempo, andiamo. »

A cui Bruno disse: « Or t'aspetta »; e volto a Buffalmacco disse: « A me pare che Calandrino dica bene; ma non mi pare che questa sia ora da ciò, per ciò che il sole è alto e dà per lo Mugnone entro e ha tutte le pietre rasciutte, per che tali paion testé bianche delle pietre che vi sono, che la mattina, anzi che il sole l'abbia rasciutte, paion nere; e oltre a ciò molta gente per diverse cagioni è oggi, che è dì di lavorare, per lo Mugnone, li quali vedendoci si potrebbono indovinare quello che noi andassimo faccendo, e forse farlo essi altressì, e potrebbe venire alle mani a loro, e noi avremmo perduto il trotto per l'ambiadura. A me pare, se pare a voi, che questa sia opera da dover fare da mattina, che si conoscon meglio le nere dalle bianche, e in dì di festa, che non vi sarà persona che ci vegga. »

Buffalmacco lodò il consiglio di Bruno, e Calandrino vi s'accordò, e ordinarono che la domenica mattina vegnente tutti e tre fossero insieme a cercar di questa pietra; ma sopra ogn'altra cosa gli pregò Calandrino che essi non dovesser questa cosa con persona del mondo ragionare, per ciò che a lui era stata posta in credenza. E ragionato questo, disse loro ciò che udito avea della contrada di Bengodi, con saramenti affermando che così era. Partito Calandrino da loro, essi quello che intorno a questo avessero a fare ordinarono fra sé medesimi.

Calandrino con disidero aspettò la domenica mattina; la qual venuta, in sul far del dì si levò, e chiamati i compagni, per la porta a San Gallo usciti e nel Mugnon discesi, cominciarono a andare in giù, della pietra cercando. Calandrino andava, come più volenteroso, avanti, e prestamente or qua e or là saltando, dovunque alcuna pietra nera vedeva, si gittava, e quella ricogliendo si metteva in seno. I compagni andavano appresso, e quando una e quando un'altra ne ricoglievano; ma Calandrino non fu guari di via andato, che egli il seno se n'ebbe pieno; per che, alzandosi i gheroni della gonnella, che all'analda non era, e faccendo di quegli ampio greé, e similmente, dopo alquanto spazio, fatto del mantello grembo, quello di pietre empiè. Per che, veggendo Buffalmacco e Bruno che Calandrino era carico e l'ora del mangiare s'avvicinava, secondo l'ordine da sé posto, disse Bruno a Buffalmacco: « Calandrino dove è? »

Buffalmacco, che ivi presso sel vedeva, volgendosi intorno e or qua e or là riguardando, rispose: « Io non so, ma egli era pur poco fa qui dinanzi da noi. »

Disse Bruno: « Ben che fa poco! a me par egli esser certo che egli è ora a casa a desinare, e noi ha lasciati nel farnetico d'andar cercando le pietre nere giù per lo Mugnone. »

« Deh come egli ha ben fatto, » disse allora Buffalmacco « d'averci beffati e lasciati qui, poscia che noi fummo sì sciocchi che noi gli credemmo. Sappi! chi sarebbe stato sì stolto che avesse creduto che in Mugnone si dovesse trovare una così virtuosa pietra, altri che noi? »

Calandrino, queste parole udendo, imaginò che quella pietra alle mani gli fosse venuta e che per la virtù d'essa coloro, ancor che lor fosse presente, nol vedessero. Lieto adunque oltre modo di tal ventura, senza dir loro alcuna cosa, pensò di tornarsi a casa; e volti i passi indietro, se ne cominciò a venire.

Vedendo ciò, Buffalmacco disse a Bruno: « Noi che faremo? Ché non ce ne andiam noi? »

A cui Bruno rispose: « Andianne; ma io giuro a Dio che mai Calandrino non me ne farà più niuna; e se io gli fossi presso, come stato sono tutta mattina, io gli darei tale di questo ciotto nelle calcagna, che egli si ricorderebbe forse un mese di questa beffa »; e il dir le parole e l'aprirsi e 'l dar del ciotto nel calcagna a Calandrino fu tutto uno. Calandrino, sentendo il duolo, levò alto il piè e cominciò a soffiare, ma pur si tacque e andò oltre.

Buffalmacco, recatosi in mano uno de' ciottoli che raccolti avea, disse a Bruno: « Deh! vedi bel codolo, così giugnesse egli testé nelle reni a Calandrino! » e lasciato andare, gli diè con esso nelle reni una gran percossa. E in brieve in cotal guisa or con una parola, e or con una altra su per lo Mugnone infino alla porta a San Gallo il vennero lapidando. Quindi, in terra gittate le pietre che ricolte aveano, alquanto con le guardie de' gabellieri si ristettero; le quali, prima da loro informate, faccendo vista di non vedere, lasciarono andar Calandrino con le maggior risa del mondo. Il quale senza arrestarsi se ne venne a casa sua, la quale era vicina al Canto alla Macina; e in tanto fu la fortuna piacevole alla beffa, che, mentre Calandrino per lo fiume ne venne e poi per la città, niuna persona gli fece motto, come che pochi ne scontrasse, per ciò che quasi a desinare era ciascuno.

Entrossene adunque Calandrino così carico in casa sua. Era per avventura la moglie di lui, la quale ebbe nome monna Tessa, bella e valente donna, in capo della scala; e alquanto turbata della sua lunga dimora, veggendol venire, cominciò proverbiando a dire: « Mai, frate, il diavol ti ci reca! ogni gente ha già desinato quando tu torni a desinare. »

Il che udendo Calandrino, e veggendo che veduto era, pieno di cruccio e di dolore cominciò a gridare: « Oimè, malvagia femina, o eri tu costì? Tu m'hai diserto; ma in fè di Dio io te ne pagherò; » e salito in una sua saletta e quivi scaricate le molte pietre che recate avea, niquitoso corse verso la moglie, e presala per le treccie la si gittò a' piedi, e quivi, quanto egli poté menar le braccia e'piedi, tanto le diè per tutta la persona pugna e calci, senza lasciarle in capo capello o osso addosso che macero non fosse, niuna cosa valendole il chieder mercé con le mani in croce.

Buffalmacco e Bruno, poi che co' guardiani della porta ebbero alquanto riso, con lento passo cominciarono alquanto lontani a seguitar Calandrino, e giunti a piè dell'uscio di lui, sentirono la fiera battitura la quale alla moglie dava, e faccendo vista di giugnere pure allora, il chiamarono. Calandrino tutto sudato, rosso e affannato si fece alla finestra, e pregogli che suso a lui dovessero andare. Essi, mostrandosi alquanto turbati, andaron suso e videro la sala piena di pietre, e nell'un de' canti la donna scapigliata, stracciata, tutta livida e rotta nel viso dolorosamente piagnere, e d'altra parte Calandrino scinto e ansando a guisa d'uom lasso sedersi.

Dove, come alquanto ebbero riguardato, dissero: « Che è questo, Calandrino? vuoi tu murare, che noi veggiamo qui tante pietre? » E oltre a questo soggiunsero: « E monna Tessa che ha? E'par che tu l'abbi battuta; che novelle son queste? » Calandrino, faticato dal peso delle pietre e dalla rabbia con la quale la donna aveva battuta, e dal dolore della ventura la quale perduta gli pareva avere, non poteva raccogliere lo spirito a formare intera la parola alla risposta. Per che soprastando, Buffalmacco ricominciò: « Calandrino, se tu aveva altra ira, tu non ci dovevi perciò straziare come fatto hai; ché, poi sodotti ci avesti a cercar teco della pietra preziosa, senza dirci a Dio né a diavolo, a guisa di due becconi nel Mugnon ci lasciasti, e venistitene, il che noi abbiamo forte per male; ma per certo questa fia la sezzaia che tu ci farai mai. »

A queste parole Calandrino sforzandosi rispose: « Compagni, non vi turbate, l'opera sta altramenti che voi non pensate. Io, sventurato! avea quella pietra trovata; e volete udire se io dico il vero? Quando voi primieramente di me domandaste l'un l'altro, io v'era presso a men di diece braccia; e veggendo che voi ve ne venavate e non mi vedavate, v'entrai innanzi, e continuamente poco innanzi a voi me ne son venuto. » E cominciandosi dall'un de' capi, infino la fine raccontò loro ciò che essi fatto e detto aveano, e mostrò loro il dosso e le calcagna come i ciotti conci gliel'avessero, e poi seguitò: « E dicovi che, entrando alla porta con tutte queste pietre in seno che voi vedete qui, niuna cosa mi fu detta, ché sapete quanto esser sogliano spiacevoli e noiosi que'guardiani a volere ogni cosa vedere; e oltre a questo ho trovati per la via più miei compari e amici, li quali sempre mi soglion far motto e invitarmi a bere, né alcun fu che parola mi dicesse né mezza, sì come quegli che non mi vedeano. Alla fine, giunto qui a casa, questo diavolo di questa femina maladetta mi si parò dinanzi e ebbemi veduto, per ciò che, come voi sapete, le femine fanno perder la virtù a ogni cosa: di che io, che mi poteva dire il più avventurato uom di Firenze, sono rimaso il più sventurato; e per questo l'ho tanto battuta quant'io ho potuto menar le mani, e non so a quello che io mi tengo che io non le sego le veni; che maladetta sia l'ora che io prima la vidi e quand'ella mi venne in questa casa! » E raccesosi nell'ira, si voleva levar. per tornare a batterla da capo.

Buffalmacco e Bruno, queste cose udendo, facevan vista di maravigliarsi forte e spesso affermavano quello che Calandrino diceva, e avevano sì gran voglia di ridere che quasi scoppiavano; ma, vedendolo furioso levare per battere un'altra volta la moglie, levatiglisi allo 'ncontro il ritennero, dicendo di queste cose niuna colpa aver la donna, ma egli che sapeva che le femine facevano perdere la virtù alle cose e non le aveva detto che ella si guardasse d'apparirgli innanzi quel giorno: il quale avvedimento Idio gli aveva tolto o per ciò che la ventura non doveva esser sua, o perch'egli aveva in animo d'ingannare i suoi compagni, a' quali, come s'avvedeva d'averla trovata, il doveva palesare. E dopo molte parole, non senza gran fatica, la dolente donna riconciliata con essolui, e lasciandol malinconoso colla casa piena di pietre, si partirono. --



NOVELLA QUARTA

Il proposto di Fiesole ama una donna vedova: non è amato da lei e, credendosi giacer con lei, giace con una sua fante, e i fratelli della donna vel fanno trovare al vescovo suo.

Venuta era Elissa alla fine della sua novella, non senza gran piacere di tutta la compagnia avendola raccontata, quando la reina, a Emilia voltatasi, le mostrò voler che ella appresso d'Elissa la sua raccontasse, la quale prestamente così cominciò:

-- Valorose donne, quanto i preti e'frati e ogni cherico sieno sollecitatori delle menti nostre, in più novelle dette mi ricorda essere mostrato; ma per ciò che dir non se ne potrebbe tanto che ancora più non ne fosse, io, oltre a quelle, intendo di dirvene una d'un proposto, il quale, malgrado di tutto il mondo, voleva che una gentil donna vedova gli volesse bene o volesse ella o no; la quale, si come molto savia, il trattò sì come egli era degno.

Come ciascuna di voi sa, Fiesole, il cui poggio noi possiamo di quinci vedere, fu già antichissima città e grande, come che oggi tutta disfatta sia, né per ciò è mai cessato che vescovo avuto non abbia, e ha ancora. Quivi vicino alla maggior chiesa ebbe già una gentil donna vedova, chiamata monna Piccarda, un suo podere con una casa non troppo grande; e per ciò che la più agiata donna del mondo non era, quivi la maggior parte dell'anno dimorava e con lei due suoi fratelli, giovani assai dabbene e cortesi. Ora avvenne che, usando questa donna alla chiesa maggiore e essendo ancora assai giovane e bella e piacevole, di lei s'innamorò sì forte il proposto della chiesa, che più qua né più là non vedea. E dopo alcun tempo fu di tanto ardire, che egli medesimo disse a questa donna il piacer suo, e pregolla che ella dovesse esser contenta del suo amore e d'amar lui come egli lei amava.

Era questo proposto d'anni già vecchio, ma di senno giovanissimo, baldanzoso e altiero, e di sè ogni gran cosa presummeva, con suoi modi e costumi pieni di scede e di spiacevolezze, e tanto sazievole e rincrescevole che niuna persona era che ben gli volesse; e se alcuno ne gli voleva poco, questa donna era colei, ché non solamente non ne gli voleva punto, ma ella l'aveva più in odio che il mal del capo; per che ella, sì come savia, gli rispose: « Messere, che voi m'amiate mi può esser molto caro, e io debbo amar voi e amerovvi volentieri; ma tra 'vostro amore e 'mio niuna cosa disonesta dee cader mai. Voi siete mio padre spirituale e siete prete, e già v'appressate molto bene alla vecchiezza, le quali cose vi debbono fare e onesto e casto; e d'altra parte io non son fanciulla, alla quale questi innamoramenti steano oggimai bene, e son vedova; ché sapete quanta onestà nelle vedove si richiede; e per ciò abbiatemi per iscusata, che al modo che voi mi richiedete io non v'amerò mai, né così voglio essere amata da voi. »

Il proposto, per quella volta non potendo trarre da lei altro, non fece come sbigottito o vinto al primo colpo, ma, usando la sua trascutata prontezza, la sollicitò molte volte e con lettere e con ambasciate, e ancora egli stesso quando nella chiesa la vedeva venire. Per che, parendo questo stimolo troppo grave e troppo noioso alla donna, si pensò di volerlosi levar da dosso per quella maniera la quale egli meritava, poscia che altramenti non poteva; ma cosa alcuna far non volle, che prima co' fratelli no 'ragionasse. E detto loro ciò che il proposto verso lei operava, e quello ancora che ella intendeva di fare, e avendo in ciò piena licenza da loro, ivi a pochi giorni andò alla chiesa come usata era. La quale come il proposto vide, così se ne venne verso lei e, come far soleva, per un modo parentevole seco entrò in parole.

La donna, vedendol venire, e verso lui riguardando, gli fece lieto viso, e da una parte tiratisi, avendole il proposto molte parole dette al modo usato, la donna dopo un gran sospiro disse: « Messere, io ho udito assai volte che egli non è alcun castello sì forte che, essendo ogni dì combattuto, non venga fatto d'esser preso una volta, il che io veggo molto bene in me essere avvenuto. Tanto, ora con dolci parole e ora con una piacevolezza e ora con un'altra, mi siete andato d'attorno, che voi m'avete fatto rompere il mio proponimento, e son disposta, poscia che io così vi piaccio, a volere esser vostra. »

Il proposto tutto lieto disse: « Madonna, gran mercè; e a dirvi il vero, io mi son forte maravigliato come voi vi siete tanto tenuta, pensando che mai più di niuna non m'avvenne; anzi ho io alcuna volta detto: -- Se le femine fossero d'ariento, elle non varrebbon denaio, per ciò che niuna se ne terrebbe a martello. -- Ma lasciamo andare ora questo: quando e dove potrem noi essere insieme? »

A cui la donna rispose: « Signor mio dolce, il quando potrebbe essere qual ora più ci piacesse, perciò che io non ho marito a cui mi convenga render ragion delle notti, ma io non so pensare il dove. »

Disse il proposto: « Come no? O in casa vostra? »

Rispose la donna: « Messer, voi sapete che io ho due fratelli giovani, li quali e di dì e di notte vengono in casa con lor brigate, e la casa mia non è troppo grande, e per ciò esser non vi si potrebbe, salvo chi non volesse starvi a modo di mutolo, senza far motto o zitto alcuno e al buio a modo di ciechi; vogliendo far così, si potrebbe, per ciò che essi non s'impacciano nella camera mia; ma è la loro sì allato alla mia, che paroluzza sì cheta non si può dire che non si senta. »

Disse allora il proposto: « Madonna, per questo non rimanga per una notte per due, intanto che io pensi dove noi possiamo essere in altra parte con più agio. »

La donna disse: « Messere, questo stea pure a voi; ma d'una cosa vi priego: che questo stea segreto, che mai parola non se ne sappia. »

Il proposto disse allora: « Madonna, non dubitate di ciò, e se esser puote, fate che istasera noi siamo insieme. »

La donna disse: « Piacemi »; e datogli l'ordine come e quando venir dovesse, si partì e tornossi a casa.

Aveva questa donna una sua fante, la qual non era però troppo giovane, ma ella aveva il più brutto viso e il più contrafatto che si vedesse mai; ché ella aveva il naso schiacciato forte e la bocca torta e le labbra grosse e i denti mal composti e grandi, e sentiva del guercio, né mai era senza mal d'occhi, con un color verde e giallo, che pareva che non a Fiesole ma a Sinigaglia avesse fatta la state; e oltre a tutto questo era sciancata e un poco monca dal lato destro; e il suo nome era Ciuta; e perché così cagnazzo viso avea, da ogn'uomo era chiamata Ciutazza. E benché ella fosse contrafatta della persona, ella era pure alquanto maliziosetta. La quale la donna chiamò a sè e dissele: « Ciutazza, se tu mi vuoi fare un servigio stanotte, io ti donerò una bella camicia nuova. »

La Ciutazza, udendo ricordar la camicia, disse: « Madonna, se voi mi date una camicia, io mi gitterò nel fuoco, non che altro. »

« Or ben, » disse la donna « io voglio che tu giaccia stanotte con uno uomo entro il letto mio, e che tu gli faccia carezze, e guarditi ben di non far motto, sì che tu non fossi sentita da' fratei miei, ché sai che ti dormono allato; e poscia io ti darò la camicia. »

La Ciutazza disse: « Sì dormirò io con sei, non che con uno, se bisognerà. »

Venuta adunque la sera, messer lo proposto venne, come ordinato gli era stato, e i due giovani, come la donna composto avea, erano nella camera loro e facevansi ben sentire; per che il proposto, tacitamente e al buio nella camera della donna entratosene, se n'andò, come ella gli disse, al letto, e dall'altra parte la Ciutazza, ben dalla donna informata di ciò che a far avesse. Messer lo proposto, credendosi aver la donna sua allato, si recò in braccio la Ciutazza, e cominciolla a baciar senza dir parola, e la Ciutazza lui; e cominciossi il proposto a sollazzar con lei, la possession pigliando de' beni lungamente disiderati.

Quando la donna ebbe questo fatto, impose a' fratelli che facessero il rimanente di ciò che ordinato era; li quali, chetamente della camera usciti, n'andarono verso la piazza, e fu lor la fortuna in quello che far volevano più favorevole che essi medesimi non dimandavano; per ciò che, essendo il caldo grande, aveva domandato il vescovo di questi due giovani, per andarsi infino a casa lor diportando e ber con loro. Ma come venir gli vide, così detto loro il suo disidero, con loro si mise in via, e in una lor corticella fresca entrato, dove molti lumi accesi erano, con gran piacer bevve d'un loro buon vino.

E avendo bevuto, dissono i giovani: « Messer, poi che tanta di grazia n'avete fatto, che degnato siete di visitar questa nostra piccola casetta, alla quale noi venavamo a invitarvi, noi vogliam che vi piaccia di voler vedere una cosetta che noi vi vogliam mostrare. »

Il vescovo rispose che volentieri; per che l'un de' giovani, preso un torchietto acceso in mano e messosi innanzi, seguitandolo il vescovo e tutti gli altri, si dirizzò verso la camera dove messer lo proposto giaceva con la Ciutazza. Il quale, per giugner tosto, s'era affrettato di cavalcare, e era, avanti che costor quivi venissero, cavalcato già delle miglia più di tre; per che istanchetto, avendo, non ostante il caldo, la Ciutazza in braccio, si riposava. Entrato adunque con lume in mano il giovane nella camera, e il vescovo appresso e poi tutti gli altri, gli fu mostrato il proposto con la Ciutazza in braccio. In questo destatosi messer lo proposto, e veduto il lume e questa gente dattornosi, vergognandosi forte e temendo, mise il capo sotto i panni. Al quale il vescovo disse una gran villania, e fecegli trarre il capo fuori e vedere con cui giaciuto era. Il proposto, conosciuto lo 'nganno della donna, sì per quello e sì per lo vituperio che aver gli parea, subito divenne il più doloroso uomo che fosse mai; e per comandamento del vescovo rivestitosi, a patir gran penitenza del peccato commesso con buona guardia ne fu mandato alla chiesa. Volle il vescovo appresso sapere come questo fosse avvenuto, che egli quivi con la Ciutazza fosse a giacere andato. I giovani gli dissero ordinatamente ogni cosa. Il che il vescovo udito, commendò molto la donna e i giovani altressì, che, senza volersi del sangue de' preti imbrattar le mani, lui sì come egli era degno avean trattato.

Questo peccato gli fece il vescovo piagnere quaranta dì, ma amore e isdegno gliele fecero piagnere più di quarantanove, senza che, poi a un gran tempo, egli non poteva mai andar per via che egli non fosse da' fanciulli mostrato a dito, li quali dicevano: « Vedi colui che giacque con la Ciutazza; » il che gli era sì gran noia, che egli ne fu quasi in su lo 'mpazzare. E in così fatta guisa la valente donna si tolse da dosso la noia dello impronto proposto; e la Ciutazza guadagnò la camicia. --



NOVELLA QUINTA

Tre giovani traggono le brache a un giudice marchigiano in Firenze, mentre che egli, essendo al banco, teneva ragione.

Fatto aveva Emilia fine al suo ragionamento, essendo stata la vedova donna commendata da tutti, quando la reina, a Filostrato guardando, disse: -- A te viene ora il dover dire. -- Per la qual cosa egli prestamente rispose sè essere apparecchiato, e cominciò:

-- Dilettose donne, il giovane che Elissa poco avanti nominò, cioè Maso del Saggio, mi farà lasciare stare una novella la quale io di dire intendeva, per dirne una di lui e d'alcuni suoi compagni, la quale ancora che disonesta non sia, per ciò che vocaboli in essa s'usano che voi d'usar vi vergognate, nondimeno è ella tanto da ridere, che io la pur dirò.

Come voi tutte potete avere udito, nella nostra città vengono molto spesso rettori marchigiani, li quali generalmente sono uomini di povero cuore e di vita tanto strema e tanto misera, che altro non pare ogni lor fatto che una pidocchieria; e per questa loro innata miseria e avarizia, menan seco e giudici e notai, che paion uomini levati più tosto dallo aratro o tratti dalla calzoleria, che delle scuole delle leggi. Ora, essendovene venuto uno per podestà, tra gli altri molti giudici che seco menò, ne menò uno il quale si facea chiamare messer Niccola da San Lepidio, il qual pareva più tosto un magnano che altro a vedere, e fu posto costui tra gli altri giudici a udire le quistion criminali. E come spesso avviene che, bene che i cittadini non abbiano a fare cosa del mondo a Palagio, pur talvolta vi vanno, avvenne che Maso del Saggio una mattina, cercando d'un suo amico, v'andò; e venutogli guardato là dove questo messer Niccola sedeva, parendogli che fosse un nuovo uccellone, tutto il venne considerando. E, come che egli gli vedesse il vaio tutto affumicato in capo e un pennaiuolo a cintola, e più lunga la gonnella che la guarnacca, e assai altre cose tutte strane da ordinato e costumato uomo, tra queste una, ch'è più notabile che alcuna dell'altre, al parer suo, ne gli vide, e ciò fu un paio di brache, le quali, sedendo egli e i panni per istrettezza standogli aperti dinanzi, vide che il fondo loro in fino a mezza gamba gli aggiugnea.

Per che, senza star troppo a guardarle, lasciato quello che andava cercando, incominciò a far cerca nuova, e trovò due suoi compagni, de' quali l'uno aveva nome Ribi e l'altro Matteuzzo, uomini ciascun di loro non meno sollazzevoli che Maso, e disse loro: « Se vi cal di me, venite meco infino a Palagio, ché io vi voglio mostrare il più nuovo squasimodeo che voi vedeste mai. »

E con loro andatisene in Palagio, mostrò loro questo giudice e le brache sue. Costoro dalla lungi cominciarono a ridere di questo fatto, e fattisi più vicini alle panche sopra le quali messer lo giudice stava, vider che sotto quelle panche molto leggiermente si poteva andare, e oltre a ciò videro rotta l'asse sopra la quale messer lo giudicio teneva i piedi, tanto che a grand'agio vi si poteva mettere la mano e 'l braccio.

E allora Maso disse a' compagni: « Io voglio che noi gli traiamo quelle brache del tutto, per ciò che si può troppo bene. »

Aveva già ciascun de' compagni veduto come: per che, fra sè ordinato che dovessero fare e dire, la seguente mattina vi ritornarono; e essendo la corte molto piena d'uomini, Matteuzzo, che persona non se ne avvide, entrò sotto il banco e andossene appunto sotto il luogo dove il giudice teneva i piedi.

Maso, dall'un de' lati accostatosi a messer lo giudice, il prese per lo lembo della guarnacca; e Ribi accostatosi dall'altro e fatto il simigliante, incominciò Maso a dire: « Messer, o messere: io vi priego per Dio, che, innanzi che cotesto ladroncello, che v'è costì dallato, vada altrove, che voi mi facciate rendere un mio paio d'uose le quali egli m'ha imbolate, e dice pur di no, e io il vidi, non è ancora un mese, che le faceva risolare. »

Ribi dall'altra parte gridava forte: « Messere, non gli credete, ché egli è un ghiottoncello, e perché egli sa che io son venuto a richiamarmi di lui d'una valigia la quale egli m'ha imbolata, e egli è testè venuto e dice dell'uose, che io m'aveva in casa infin vie l'altrieri, e se voi non mi credeste, io vi posso dare per testimonia la trecca mia dallato, e la Grassa ventraiuola, e un che va raccogliendo la spazzatura da Santa Maria a Verzaia, che 'l vide quando egli tornava di villa. »

Maso d'altra parte non lasciava dire a Ribi, anzi gridava, e Ribi gridava ancora. E mentre che il giudice stava ritto e loro più vicino per intendergli meglio, Matteuzzo, preso tempo, mise la mano per lo rotto dell'asse, e pigliò il fondo delle brache del giudice, e tirò giù forte. Le brache ne venner giuso incontanente, per ciò che il giudice era magro e sgroppato. Il quale, questo fatto sentendo e non sappiendo che ciò si fosse, volendosi tirare i panni dinanzi e ricoprirsi e porsi a sedere, Maso dall'un lato e Ribi dall'altro pur tenendolo e gridando forte: « Messer, voi fate villania a non farmi ragione, e non volermi udire, e volervene andare altrove; di così piccola cosa, come questa è, non si dà libello in questa terra »; e tanto in queste parole il tennero per li panni, che quanti nella corte n'erano s'accorsero essergli state tratte le brache. Ma Matteuzzo, poi che alquanto tenute l'ebbe, lasciatele, se n'uscì fuori e andossene senza esser veduto.

Ribi, parendogli di aver assai fatto, disse: « Io fo boto a Dio d'aiutarmene al sindacato. »

E Maso dall'altra parte, lasciatagli la guarnacca disse: « No, io ci pur verrò tante volte, che io vi troverrò così impacciato come voi siete paruto stamane »; e l'uno in qua e l'altro in là, come più tosto poterono, si partirono.

Messer lo giudice, tirate in su le brache in presenza d'ogni uomo, come se da dormir si levasse accorgendosi pure allora del fatto, domandò dove fossero andati quegli che dell'uose e della valigia avevan quistione; ma, non ritrovandosi, cominciò a giurare per le budella di Dio che e'gli conveniva cognoscere e saper se egli s'usava a Firenze di trarre le brache a' giudici, quando sedevano al banco della ragione. Il podestà d'altra parte, sentitolo, fece un grande schiamazzio: poi per suoi amici mostratogli che questo non gli era fatto se non per mostrargli che i fiorentini conoscevano che, dove egli doveva aver menati giudici, egli aveva menati becconi per averne miglior mercato, per lo miglior si tacque, né più avanti andò la cosa per quella volta. --



NOVELLA SESTA

Bruno e Buffalmacco imbolano un porco a Calandrino; fannogli fare la sperienzia da ritrovarlo con galle di gengiovo e con vernaccia, e a lui ne danno due, l'una dopo l'altra, di quelle del cane confettate in aloè, e pare che l'abbia avuto egli stesso: fannolo ricomperare, se egli non vuole che alla moglie il dicano.

Non ebbe prima la novella di Filostrato fine, della quale molto si rise, che la reina a Filomena impose che seguitando dicesse; la quale incominciò:

-- Graziose donne, come Filostrato fu dal nome di Maso tirato a dover dire la novella la quale da lui udita avete, così né più né men son tirata io da quello di Calandrino e de' compagni suoi a dirne un'altra di loro, la qual, sì come io credo, vi piacerà.

Chi Calandrino, Bruno e Buffalmacco fossero non bisogna che io vi mostri, ché assai l'avete di sopra udito; e per ciò, più avanti faccendomi, dico che Calandrino aveva un suo poderetto non guari lontano da Firenze, che in dote aveva avuto della moglie, del quale tra l'altre cose che su vi ricoglieva, n'aveva ogn'anno un porco, e era sua usanza sempre colà di dicembre d'andarsene la moglie e egli in villa, e ucciderlo e quivi farlo salare.

Ora avvenne una volta tra l'altre che, non essendo la moglie ben sana, Calandrino andò egli solo a uccidere il porco; la qual cosa sentendo Bruno e Buffalmacco, e sappiendo che la moglie di lui non v'andava, se n'andarono a un prete loro grandissimo amico, vicino di Calandrino, a starsi con lui alcun dì. Aveva Calandrino, la mattina che costor giunsero il dì, ucciso il porco, e vedendogli col prete, gli chiamò e disse:« Voi siate i ben venuti. Io voglio che voi veggiate che massaio io sono; e menatigli in casa, mostrò loro questo porco. »

Videro costoro il porco esser bellissimo, e da Calandrino intesero che per la famiglia sua il voleva salare. A cui Brun disse: « Deh! come tu se'grosso! Vendilo, e godianci i denari; e a mogliata dì che ti sia stato imbolato. »

Calandrin disse: « No, ella nol crederrebbe, e caccerebbemi fuor di casa; non v'impacciate, ché io nol farei mai. »

Le parole furono assai, ma niente montarono. Calandrino gl'invitò a cena cotale alla trista, sì che costoro non vi vollon cenare, e partirsi da lui.

Disse Bruno a Buffalmacco: « Vogliangli noi imbolare stanotte quel porco? »

Disse Buffalmacco: « O come potremmo noi? »

Disse Bruno: « Il come ho io ben veduto, se egli nol muta di là ove egli era testé. »

« Adunque » disse Buffalmacco « faccianlo; perché nol faremo noi? E poscia cel goderemo qui insieme col domine. »

Il prete disse che gli era molto caro; disse allora Bruno: « Qui si vuole usare un poco d'arte: tu sai, Buffalmacco, come Calandrino è avaro e come egli bee volentieri quando altri paga; andiamo e meniallo alla taverna, e quivi il prete faccia vista di pagare tutto per onorarci e non lasci pagare a lui nulla; egli si ciurmerà, e verracci troppo ben fatto poi, per ciò che egli è solo in casa. »

Come Brun disse, così fecero. Calandrino, veggendo che il prete nol lasciava pagare, si diede in sul bere, e benché non ne gli bisognasse troppo, pur si caricò bene; e essendo già buona ora di notte quando dalla taverna si partì, senza volere altramenti cenare, se n'entrò in casa, e credendosi aver serrato l'uscio, il lasciò aperto e andossi al letto. Buffalmacco e Bruno se n'andarono a cenare col prete, e, come cenato ebbero, presi loro argomenti per entrare in casa Calandrino là onde Bruno aveva divisato, là chetamente n'andarono; ma, trovando aperto l'uscio, entrarono dentro, e ispiccato il porco, via a casa del prete nel portarono, e ripostolo, se n'andarono a dormire.

Calandrino, essendogli il vino uscito del capo, si levò la mattina, e, come scese giù, guardò e non vide il porco suo, e vide l'uscio aperto; per che, domandato questo e quell'altro se sapessero chi il porco s'avesse avuto, e non trovandolo, incominciò a fare il romore grande: ohisé, dolente sé, che il porco gli era stato imbolato! Bruno e Buffalmacco levatisi, se n'andarono verso Calandrino, per udir ciò che egli del porco dicesse. Il qual, come gli vide, quasi piagnendo chiamatigli, disse: « Oimè, compagni miei, che il porco mio m'è stato imbolato. »

Bruno, accostatoglisi, pianamente gli disse: « Maraviglia, che se' stato savio una volta. »

« Oimè, » disse Calandrino « ché io dico da dovero. »

« Così dì, » diceva Bruno « grida forte sì, che paia bene che sia stato cosi. »

Calandrino gridava allora più forte e diceva: « Al corpo di Dio, che io dico da dovero che egli m'è stato imbolato. »

E Brun diceva: « Ben di', ben di': e'si vuol ben dir così, grida forte fatti ben sentire, sì che egli paia vero. »

Disse Calandrino: « Tu mi faresti dar l'anima al nimico. Io dico che tu non mi credi, se io non sia impiccato per la gola, che egli m'è stato imbolato. »

Disse allora Bruno: « Deh! come dee potere esser questo? Io il vidi pure ieri costì. Credimi tu far credere che egli sia volato? »

Disse Calandrino: « Egli è come io ti dico. »

« Deh! » disse Bruno « può egli essere? »

« Per certo, » disse Calandrino « egli è così, di che io son diserto e non so come io mi torni a casa: mogliema nol mi crederà, e se ella il mi pur crede, io non avrò uguanno pace con lei. »

Disse allora Bruno: « Se Dio mi salvi, questo è mal fatto, se vero è; ma tu sai, Calandrino, che ieri io t'insegnai dir così: io non vorrei che tu a un'ora ti facessi beffe di moglieta e di noi. »

Calandrino incominciò a gridare e a dire: « Deh perché mi farete disperare e bestemmiare Idio e'santi e ciò che v'è? Io vi dico che il porco m'è stato sta notte imbolato. »

Disse allora Buffalmacco: « Se egli è pur così, vuolsi veder via, se noi sappiamo, di riaverlo. »

« E che via » disse Calandrino « potrem noi trovare? »

Disse allora Buffalmacco: « Per certo egli non c'è venuto d'India niuno a torti il porco; alcuno di questi tuoi vicini dee essere stato; e per ciò, se tu gli potessi ragunare, io so fare la esperienza del pane e del formaggio e vederemmo di botto chi l'ha avuto. »

« Sì, » disse Bruno ben farai con pane e con formaggio a certi gentilotti che ci ha dattorno, ché son certo che alcun di loro l'ha avuto, e avvederebbesi del fatto, e non ci vorrebber venire.

« Come è adunque da fare? » disse Buffalmacco.

Rispose Bruno: « Vorrebbesi fare con belle galle di gengiovo e con bella vernaccia, e invitargli a bere. Essi non sel penserebbono e verrebbono; e così si possono benedire le galle del gengiovo, come il pane e 'cacio. »

Disse Buffalmacco: « Per certo tu di' il vero; e tu, Calandrino, che di'? Vogliallo fare? »

Disse Calandrino: « Anzi ve ne priego io per l'amor di Dio; ché, se io sapessi pur chi l'ha avuto, sì mi parrebbe esser mezzo consolato. »

« Or via, » disse Bruno « io sono acconcio d'andare infino a Firenze per quelle cose in tuo servigio, se tu mi dai i denari. »

Aveva Calandrino forse quaranta soldi, li quali egli gli diede. Bruno, andatosene a Firenze a un suo amico speziale, comperò una libbra di belle galle di gengiovo, e fecene far due di quelle del cane, le quali egli fece confettare in uno aloè patico fresco; poscia fece dar loro le coverte del zucchero, come avevan l'altre, e per non ismarrirle o scambiarle, fece lor fare un certo segnaluzzo per lo quale egli molto bene le conoscea, e comperato un fiasco d'una buona vernaccia, se ne tornò in villa a Calandrino e dissegli: « Farai che tu inviti domattina a ber con teco tutti coloro di cui tu hai sospetto; egli è festa, ciascun verrà volentieri, e io farò stanotte insieme con Buffalmacco la 'ncantagione sopra le galle, e recherolleti domattina a casa, e per tuo amore io stesso le darò, e farò e dirò ciò che fia da dire e da fare. »

Calandrino così fece. Ragunata adunque una buona brigata tra di giovani fiorentini, che per la villa erano, e di lavoratori, la mattina vegnente, dinanzi alla chiesa intorno all'olmo, Bruno e Buffalmacco vennono con una scatola di galle e col fiasco del vino, e fatti stare costoro in cerchio, disse Bruno: « Signori, e'mi vi convien dir la cagione per che voi siete qui, acciò che, se altro avvenisse che non vi piacesse, voi non v'abbiate a ramaricar di me. A Calandrino, che qui è, fu ier notte tolto un suo bel porco, né sa trovare chi avuto se l'abbia; e per ciò che altri che alcun di noi che qui siamo non gliele dee potere aver tolto, esso, per ritrovar chi avuto l'ha, vi dà a mangiar queste galle una per uno, e bere. E infino da ora sappiate che chi avuto avrà il porco, non potrà mandar giù la galla, anzi gli parrà più amara che veleno, e sputeralla; e per ciò, anzi che questa vergogna gli sia fatta in presenza di tanti, è forse il meglio che quel cotale che avuto l'avesse, in penitenzia il dica al sere, e io mi rimarrò di questo fatto. »

Ciascun che v'era disse che ne voleva volentier mangiare; per che Bruno, ordinatigli e messo Calandrino tra loro, cominciatosi all'un de' capi, cominciò a dare a ciascun la sua, e, come fu per mei Calandrino, presa una delle canine, gliele pose in mano. Calandrino prestamente la si gittò in bocca e cominciò a masticare; ma sì tosto come la lingua sentì l'aloè, così Calandrino, non potendo l'amaritudine sostenere, la sputò fuori. Quivi ciascun guatava nel viso l'uno all'altro, perveder chi la sua sputasse; e non avendo Bruno ancora compiuto di darle, non faccendo sembianti d'intendere a ciò, s'udì dir dietro: « Eja, Calandrino, che vuol dir questo? » per che prestamente rivolto, e veduto che Calandrino la sua aveva sputata, disse: « Aspettati, forse che alcuna altra cosa gliele fece sputare: tenne un'altra »; e presa la seconda, gliele mise in bocca, e fornì di dare l'altre che a dare aveva. Calandrino, se la prima gli era paruta amara, questa gli parve amarissima; ma pur vergognandosi di sputarla, alquanto masticandola la tenne in bocca, e tenendola cominciò a gittar le lagrime che parevan nocciuole, sì eran grosse; e ultimamente, non potendo più, la gittò fuori come la prima aveva fatto. Buffalmacco faceva dar bere alla brigata, e Bruno; li quali, insieme con gli altri questo vedendo, tutti dissero che per certo Calandrino se l'aveva imbolato egli stesso; e furonvene di quegli che aspramente il ripresono.

Ma pur, poi che partiti si furono, rimasi Bruno e Buffalmacco con Calandrino, gl'incominciò Buffalmacco a dire: « Io l'aveva per lo certo tuttavia che tu te l'avevi avuto tu, e a noi volevi mostrare che ti fosse stato imbolato, per non darci una volta bere de' denari che tu n'avesti. »

Calandrino, il quale ancora non aveva sputata l'amaritudine dello aloè, incominciò a giurare che egli avuto non l'avea.

Disse Buffalmacco: « Ma che n'avesti, sozio, alla buona fè? Avestine sei? »

Calandrino, udendo questo, s'incominciò a disperare. A cui Brun disse: « Intendi sanamente, Calandrino, che egli fu tale nella brigata che con noi mangiò e bevve, che mi disse che tu avevi quinci su una giovinetta che tu tenevi a tua posta, e davile ciò che tu potevi rimedire, e che egli aveva per certo che tu l'avevi mandato questo porco. Tu sì hai apparato a esser beffardo! Tu ci menasti una volta giù per lo Mugnone ricogliendo pietre nere, e quando tu ci avesti messo in galea senza biscotto, e tu te ne venisti; e poscia ci volevi far credere che tu l'avessi trovata; e ora similmente ti credi co' tuoi giuramenti far credere altressì che il porco, che tu hai donato o ver venduto, ti sia stato imbolato. Noi sì siamo usi delle tue beffe e conoscialle; tu non ce ne potresti far più; e per ciò, a dirti il vero, noi ci abbiamo durata fatica in far l'arte, per che noi intendiamo che tu ci doni due paia di capponi, se non che noi diremo a monna Tessa ogni cosa. »

Calandrino, vedendo che creduto non gli era, parendogli avere assai dolore, non volendo anche il riscaldamento della moglie, diede a costoro due paia di capponi. Li quali, avendo essi salato il porco, portatisene a Firenze, lasciaron Calandrino col danno e con le beffe. --



NOVELLA SETTIMA

Uno scolare ama una donna vedova, la quale, innamorata d'altrui, una notte di verno il fa stare sopra la neve a aspettarsi; la quale egli poi, con un suo consiglio, di mezzo luglio ignuda tutto un dì la fa stare in su una torre alle mosche e a' tafani e al sole.

Molto avevan le donne riso del cattivello di Calandrino, e più n'avrebbono ancora, se stato non fosse che loro in crebbe di vedergli torre ancora i capponi, a color che tolto gli aveano il porco. Ma poi che la fine fu venuta, la reina a Pampinea impose che dicesse la sua; e essa prestamente così cominciò:

-- Carissime donne, spesse volte avviene che l'arte è dall'arte schernita, e per ciò è poco senno il dilettarsi di schernire altrui. Noi abbiamo per più novellette dette riso molto delle beffe state fatte, delle quali niuna vendetta esserne stata fatta s'è raccontato; ma io intendo di farvi avere alquanta compassione d'una giusta retribuzione a una nostra cittadina renduta, alla quale la sua beffa presso che con morte, essendo beffata, ritornò sopra il capo. E questo udire non sarà senza utilità di voi, per ciò che meglio di beffare altrui vi guarderete, e farete gran senno.

Egli non sono ancora molti anni passati che in Firenze fu una giovane del corpo bella e d'animo altiera e di legnaggio assai gentile, de' beni della fortuna convenevolmente abondante e nominata Elena; la quale rimasa del suo marito vedova, mai più rimaritar non si volle, essendosi ella d'un giovinetto bello e leggiadro a sua scelta innamorata; e da ogni altra sollicitudine sviluppata, con l'opera d'una sua fante, di cui ella si fidava molto, spesse volte con lui con maraviglioso diletto si dava buon tempo. Avvenne che in questi tempi un giovane chiamato Rinieri, nobile uomo della nostra città, avendo lungamente studiato a Parigi, non per vender poi la sua scienzia a minuto, come molti fanno, ma per sapere la ragion delle cose e la cagion d'esse, il che ottimamente sta in gentile uomo, tornò da Parigi a Firenze; e quivi onorato molto sì per la sua nobiltà e sì per la sua scienzia, cittadinescamente viveasi.

Ma come spesso avviene coloro ne'quali è più l'avvedimento delle cose profonde più tosto da amore essere incapestrati, avvenne a questo Rinieri. Al quale, essendo egli un giorno per via di diporto andato a una festa, davanti agli occhi si parò questa Elena, vestita di nero sì come le nostre vedove vanno, piena di tanta bellezza al suo giudicio e di tanta piacevolezza, quanto alcuna altra ne gli fosse mai paruta vedere; e seco estimò colui potersi beato chiamare, al quale Idio grazia facesse lei potere ignuda nelle braccia tenere. E una volta e altra cautamente riguardatala, e conoscendo che le gran cose e care non si possono senza fatica acquistare, seco diliberò del tutto di porre ogni pena e ogni sollicitudine in piacere a costei, acciò che per lo piacerle il suo amore acquistasse, e per questo il potere aver copia di lei.

La giovane donna, la quale non teneva gli occhi fitti in inferno, ma, quello e più tenendosi che ella era, artificiosamente movendogli si guardava dintorno, e prestamente conosceva chi con diletto la riguardava, accortasi di Rinieri, in sé stessa ridendo disse: « Io non ci sarò oggi venuta in vano, ché, se io non erro, io avrò preso un paolin per lo naso. » E cominciatolo con la coda dell'occhio alcuna volta a guardare, in quanto ella poteva, s'ingegnava di dimostrar gli che di lui le calesse; d'altra parte, pensandosi che quanti più n'adescasse e prendesse col suo piacere, tanto di maggior pregio fosse la sua bellezza, e massimamente a colui al quale ella insieme col suo amore l'aveva data.

Il savio scolare, lasciati i pensier filosofici da una parte, tutto l'animo rivolse a costei; e, credendosi doverle piacere, la sua casa apparata, davanti v'incominciò a passare, con varie cagioni colorando l'andate. Al qual la donna, per la cagion già detta di ciò seco stessa vanamente gloriandosi, mostrava di vederlo assai volentieri; per la qual cosa lo scolare, trovato modo, s'accontò con la fante di lei, e il suo amor le scoperse, e la pregò che con la sua donna operasse sì che la grazia di lei potesse avere.

La fante promise largamente e alla sua donna il raccontò, la quale con le maggior risa del mondo l'ascoltò, e disse:« Hai veduto dove costui è venuto a perdere il senno che egli ci ha da Parigi recato? Or via, diangli di quello ch'e'va cercando. Dira'gli, qualora egli ti parla più, che io amo molto più lui che egli non ama me; ma che a me si convien di guardar l'onestà mia, sì che io con l'altre donne possa andare a fronte scoperta, di che egli, se così è savio come si dice, mi dee molto più cara avere. » Ahi cattivella, cattivella, ella non sapeva ben, donne mie, che cosa è il mettere in aia con gli scolari. La fante, trovatolo, fece quello che dalla donna sua le fu imposto. Lo scolar lieto procedette a più caldi prieghi e a scriver lettere e a mandar doni, e ogni cosa era ricevuta, ma in dietro non venivan risposte se non generali: e in questa guisa il tenne gran tempo in pastura.

Ultimamente, avendo ella al suo amante ogni cosa scoperta e egli essendosene con lei alcuna volta turbato e alcuna gelosia presane, per mostrargli che a torto di ciò di lei sospicasse, sollicitandola lo scolare molto, la sua fante gli mandò, la quale da sua parte gli disse che ella tempo mai non aveva avuto da poter fare cosa che gli piacesse poi che del suo amore fatta l'aveva certa, se non che per le feste del Natale che s'appressava ella sperava di potere esser con lui; e per ciò la seguente sera alla festa, di notte, se gli piacesse, nella sua corte se ne venisse, dove ella per lui, come prima potesse, andrebbe. Lo scolare, più che altro uom lieto, al tempo impostogli andò alla casa della donna, e messo dalla fante in una corte e dentro serratovi, quivi la donna cominciò a aspettare.

La donna, avendosi quella sera fatto venire il suo amante e con lui lietamente avendo cenato, ciò che fare quella notte intendeva gli ragionò, aggiugnendo: « E potrai vedere quanto e quale sia l'amore, il quale io ho portato e porto a colui del quale scioccamente hai gelosia presa. » Queste parole ascoltò l'amante con gran piacer d'animo disideroso di vedere per opera ciò che la donna con parole gli dava a intendere. Era per avventura il dì davanti a quello nevicato forte, e ogni cosa di neve era coperta; per la qual cosa lo scolare fu poco nella corte dimorato, che egli cominciò a sentir più freddo che voluto non avrebbe; ma, aspettando di ristorarsi, pur pazientemente il sosteneva.

La donna al suo amante disse dopo alquanto: « Andiancene in camera, e da una finestretta guardiamo ciò che colui, di cui tu se' divenuto geloso, fa, e quello che egli risponderà alla fante, la quale io gli ho mandata a favellare. »

Andatisene adunque costoro a una finestretta, e veggendo senza esser veduti, udiron la fante da un'altra favellare allo scolare e dire: « Rinieri, madonna è la più dolente femina che mai fosse, per ciò che egli ci è stasera venuto uno de' suoi fratelli e ha molto con lei favellato, e poi volle cenar con lei, e ancora non se n'è andato; ma io credo che egli se n'andrà tosto; e per questo non è ella potuta venire a te, ma tosto verrà oggimai; ella ti priega che non ti incresca l'aspettare. »

Lo scolare, credendo questo esser vero, rispose: « Dirai alla mia donna che di me niun pensier si dea in fino a tanto che ella possa con suo acconcio per me venire; ma che questo ella faccia come più tosto può. »

La fante dentro tornatasi se n'andò a dormire; la donna allora disse al suo amante: « Ben, che dirai? Credi tu che io, se quel ben gli volessi che tu temi, sofferissi che egli stesse là giù a agghiacciare? » e questo detto, con l'amante suo, che già in parte era contento, se n'andò a letto, e grandissima pezza stettero in festa e in piacere, del misero iscolare ridendosi e faccendosi beffe.

Lo scolare, andando per la corte, sé esercitava per riscaldarsi, né aveva dove porsi a sedere né dove fuggire il sereno, e maladiceva la lunga dimora del fratel con la donna; e ciò che udiva credeva che uscio fosse che per lui dalla donna s'aprisse; ma invano sperava.

Essa infino vicino della mezza notte col suo amante sollazzatasi, gli disse: « Che ti pare, anima mia, dello scolare nostro? Qual ti par maggiore o il suo senno o l'amore ch'io gli porto? Faratti il freddo che io gli fo patire uscir del petto quello che per li miei motti vi t'entrò l'altrieri? »

L'amante rispose: « Cuor del corpo mio, sì, assai conosco che così come tu se'il mio bene e il mio riposo e il mio diletto e tutta la mia speranza, così sono io la tua. »

« Adunque » diceva la donna « or mi bacia ben mille volte, a veder se tu di'vero. » Per la qual cosa l'amante, abbracciandola stretta, non che mille, ma più di cento milia la baciava.

E poi che in cotale ragionamento stati furono alquanto, disse la donna: « Deh! levianci un poco, e andiamo a vedere se 'l fuoco è punto spento, nel quale questo mio novello amante tutto il dì mi scrivea che ardeva. »

E levati, alla finestretta usata n'andarono, e nella corte guardando, videro lo scolare fare su per la neve una carola trita al suon d'un batter di denti, che egli faceva per troppo freddo, sì spessa e ratta, che mai simile veduta non aveano. Allora disse la donna: « Che dirai, speranza mia dolce? Parti che io sappia far gli uomini carolare senza suono di trombe o di cornamusa? »

A cui l'amante ridendo rispose: « Diletto mio grande, sì. »

Disse la donna: « Io voglio che noi andiamo infin giù all'uscio: tu ti starai cheto e io gli parlerò, e udirem quello che egli dirà; e per avventura n'avrem non men festa che noi abbiam di vederlo. » E aperta la camera chetamente, se ne scesero all'uscio, e quivi, senza aprir punto, la donna con voce sommessa da un pertugetto che v'era il chiamò.

Lo scolare, udendosi chiamare, lodò Idio, credendosi troppo bene entrar dentro; e accostatosi all'uscio disse: « Eccomi qui, madonna: aprite per Dio, ché io muoio di freddo. »

La donna disse: « O sì che io so che tu se'uno assiderato; e anche è il freddo molto grande, perché costì sia un poco di neve! Già so io che elle sono molto maggiori a Parigi. Io non ti posso ancora aprire, per ciò che questo mio maladetto fratello, che ier sera ci venne meco a cenare, non se ne va ancora; ma egli se n'andrà tosto, e io verrò incontanente a aprirti. Io mi son testé con gran fatica scantonata da lui, per venirti a confortare che l'aspettar non t'incresca. »

Disse lo scolare: « Deh! madonna, io vi priego per Dio che voi m'apriate, acciò che io possa costì dentro stare al coperto, per ciò che da poco in qua s'è messa la più folta neve del mondo, e nevica tuttavia; e io v'attenderò quanto vi sarà a grado. »

Disse la donna: « Oimè, ben mio dolce, che io non posso ché questo uscio fa sì gran romore quando s'apre, che leggermente sarei sentita da fratelmo, se io t'aprissi; ma io voglio andare a dirgli che se ne vada, acciò che io possa poi tornare a aprirti. »

Disse lo scolare: « Ora andate tosto; e priegovi che voi facciate fare un buon fuoco, acciò che, come io enterrò dentro, io mi possa riscaldare, ché io son tutto divenuto sì freddo che appena sento di me. »

Disse la donna: « Questo non dee potere essere, se quello è vero che tu m'hai più volte scritto, cioè che tu per l'amor di me ardi tutto; ma io son certa che tu mi beffi. Ora io vo: aspettati, e sia di buon cuore. »

L'amante, che tutto udiva e aveva sommo piacere, con lei nel letto tornatosi, poco quella notte dormirono, anzi quasi tutta in lor diletto e in farsi beffe dello scolare consumarono.

Lo scolar cattivello, quasi cicogna divenuto sì forte batteva i denti, accorgendosi d'esser beffato, più volte tentò l'uscio se aprir lo potesse, e riguardò se altronde ne potesse uscire; né vedendo il come, faccendo le volte del leone, maladiceva la qualità del tempo, la malvagità della donna e la lunghezza della notte, insieme con la sua simplicità; e sdegnato forte verso di lei, il lungo e fervente amor portatole subitamente in crudo e acerbo odio transmutò, seco gran cose e varie volgendo a trovar modo alla vendetta, la quale ora molto più disiderava, che prima d'esser con la donna non avea disiato.

La notte, dopo molta e lunga dimoranza, s'avvicinò al dì, e cominciò l'alba a apparire. Per la qual cosa la fante della donna ammaestrata, scesa giù, aperse la corte, e mostrando d'aver compassion di costui, disse: « Mala ventura possa egli avere che iersera ci venne. Egli n'ha tutta notte tenute in bistento, e te ha fatto agghiacciare; ma sai che è? Portatelo in pace, ché quello che stanotte non è potuto essere sarà un'altra volta; so io bene che cosa non potrebbe essere avvenuta, che tanto fosse dispiaciuta a madonna. »

Lo scolare isdegnoso, sì come savio, il quale sapeva niun'altra cosa le minacce essere che arme del minacciato, serrò dentro al petto suo ciò che la non temperata volontà s'ingegnava di mandar fuori, e con voce sommessa, senza punto mostrarsi crucciato, disse: « Nel vero io ho avuta la piggior notte che io avessi mai, ma bene ho conosciuto che di ciò non ha la donna alcuna colpa, per ciò che essa medesima, sì come pietosa di me, infin quaggiù venne a scusar sé e a confortar me; e come tu di', quello che stanotte non è stato sarà un'altra volta; raccomandalemi e fatti con Dio. »

E quasi tutto rattrappato, come potè a casa sua se ne tornò; dove, essendo stanco e di sonno morendo, sopra il letto si gittò a dormire, donde tutto quasi perduto delle braccia e delle gambe si destò. Per che, mandato per alcun medico e dettogli il freddo che avuto avea, alla sua salute fé provedere. Li medici con grandissimi argomenti e con presti aiutandolo, appena dopo alquanto di tempo il poterono de' nervi guerire e far sì che si distendessero; e se non fosse che egli era giovane e sopravveniva il caldo, egli avrebbe avuto troppo da sostenere. Ma ritornato sano e fresco, dentro il suo odio servando, vie più che mai si mostrava innamorato della vedova sua.

Ora avvenne, dopo certo spazio di tempo, che la fortuna apparecchiò caso da poter lo scolare al suo disiderio sodisfare; per ciò che, essendosi il giovane che dalla vedova era amato, non avendo alcun riguardo all'amore da lei portatogli, innamorato di un'altra donna, e non volendo né poco né molto dire né far cosa che a lei fosse a piacere, essa in lagrime e in amaritudine si consumava. Ma la sua fante, la qual gran compassion le portava, non trovando modo da levar la sua donna dal dolor preso per lo perduto amante, vedendo lo scolare al modo usato per la contrada passare, entrò in uno sciocco pensiero, e ciò fu che l'amante della donna sua a amarla come far solea si dovesse poter riducere per alcuna nigromantica operazione, e che di ciò lo scolare dovesse essere gran maestro, e disselo alla sua donna. La donna poco savia, senza pensare che, se lo scolare saputo avesse nigromantia, per sé adoperata l'avrebbe, pose l'animo alle parole della sua fante, e subitamente le disse che da lui sapesse se fare il volesse, e sicuramente gli promettesse che per merito di ciò, ella farebbe ciò che a lui piacesse.

La fante fece l'ambasciata bene e diligentemente, la quale udendo lo scolare, tutto lieto seco medesimo disse: « Idio lodato sie tu: venuto è il tempo che io farò col tuo aiuto portar pena alla malvagia femina della ingiuria fattami in premio del grande amore che io le portava »; e alla fante disse: « Dirai alla mia donna che di questo non stea in pensiero, che, se il suo amante fosse in India, io gliele farò prestamente venire e domandar mercé di ciò che contro al suo piacere avesse fatto; ma il modo che ella abbia a tenere intorno a ciò, attendo di dire a lei, quando e dove più le piacerà; e così le dì e da mia parte la conforta. » La fante fece la risposta, e ordinossi che in Santa Lucia del Prato fossero insieme.

Quivi venuta la donna e lo scolare, e soli insieme parlando, non ricordandosi ella che lui quasi alla morte condotto avesse, gli disse apertamente ogni suo fatto e quello che disiderava, e pregollo per la sua salute. A cui lo scolar disse:« Madonna, egli è il vero che tra l'altre cose che io apparai a Parigi si fu nigromantia, della quale per certo io so ciò che n'è, ma per ciò che ella è di grandissimo dispiacer di Dio, io avea giurato di mai né per me né per altrui adoperarla. E il vero che l'amore il quale io vi porto è di tanta forza, che io non so come io mi nieghi cosa che voi vogliate che io faccia; e per ciò, se io ne dovessi per questo solo andare a casa del diavolo, sì son presto di farlo, poi che vi piace. Ma io vi ricordo che ella è più malagevole cosa a fare che voi per avventura non v'avvisate; e massimamente quando una donna vuole rivocare uno uomo a amar sé o l'uomo una donna, per ciò che questo non si può far se non per la propria persona a cui appartiene; e a far ciò convien che chi 'l fa sia di sicuro animo, per ciò che di notte si convien fare e in luoghi solitari e senza compagnia; le quali cose io non so come voi vi siate a far disposta. »

A cui la donna, più innamorata che savia, rispose: « Amor mi sprona per sì fatta maniera, che niuna cosa è la quale io non facessi per riaver colui che a torto m'ha abbandonata; ma tuttavia, se ti piace, mostrami in che mi convenga esser sicura. »

Lo scolare, che di mal pelo avea taccata la coda, disse: « Madonna, a me converrà fare una imagine di stagno in nome di colui il qual voi disiderate di racquistare, la quale quando io v'arò mandata, converrà che voi, essendo la luna molto scema, ignuda in un fiume vivo, in sul primo sonno e tutta sola, sette volte con lei vi bagniate; e appresso così ignuda n'andiate sopra a un albero, o sopra una qualche casa disabitata; e, volta a tramontana con la imagine in mano, sette volte diciate certe parole che io vi darò scritte; le quali come dette avrete, verranno a voi due damigelle delle più belle che voi vedeste mai, e sì vi saluteranno e piacevolmente vi domanderanno quel che voi vogliate che si faccia. A queste farete che voi diciate bene e pienamente i disideri vostri (e guardatevi che non vi venisse nominato un per un altro), e come detto l'avrete, elle si partiranno, e voi ve ne potrete scendere al luogo dove i vostri panni avrete lasciati e rivestirvi e tornarvene a casa. E per certo, egli non sarà mezza la seguente notte, che il vostro amante piagnendo vi verrà a dimandar mercé e misericordia; e sappiate che mai da questa ora innanzi egli per alcuna altra non vi lascerà. »

La donna, udendo queste cose e intera fede prestandovi, parendole il suo amante già riaver nelle braccia, mezza lieta divenuta disse: « Non dubitare, che queste cose farò io troppo bene, e ho il più bel destro da ciò del mondo; ché io ho un podere verso il Vai d'Arno di sopra, il quale è assai vicino alla riva del fiume, e egli è testé di luglio, che sarà il bagnarsi dilettevole. E ancora mi ricorda esser non guari lontana dal fiume una torricella disabitata, se non che per cotali scale di castagnuoli che vi sono, salgono alcuna volta i pastori sopra un battuto che v'è, a guardar di lor bestie smarrite (luogo molto solingo e fuor di mano), sopra la quale io salirò, e quivi il meglio del mondo spero di fare quello che m'imporrai. »

Lo scolare, che ottimamente sapeva e il luogo della donna e la torricella, contento d'esser certificato della sua intenzion disse: « Madonna, io non fu' mai in coteste contrade, e per ciò non so il podere né la torricella; ma, se così sta come voi dite, non può essere al mondo migliore. E per ciò, quando tempo sarà, vi manderò la imagine e l'orazione; ma ben vi priego che, quando il vostro disiderio avrete e conoscerete che io v'avrò ben servita, che vi ricordi di me e d'attenermi lo promesso. » A cui la donna disse di farlo senza alcun fallo; e preso da lui commiato, se ne tornò a casa.

Lo scolar lieto di ciò che il suo avviso pareva dovere avere effetto, fece una imagine con sue cateratte, e scrisse una sua favola per orazione; e, quando tempo gli parve, la mandò alla donna e mandolle a dire che la notte vegnente senza più indugio dovesse far quello che detto l'avea; e appresso segretamente con un suo fante se n'andò a casa d'un suo amico che assai vicino stava alla torricella, per dovere al suo pensiero dare effetto.

La donna d'altra parte con la sua fante si mise in via e al suo podere se n'andò; e come la notte fu venuta, vista faccendo d'andarsi al letto, la fante ne mandò a dormire, e in su l'ora del primo sonno, di casa chetamente uscita, vicino alla torricella sopra la riva d'Arno se n'andò, e molto dattorno guatatosi, né veggendo né sentendo alcuno, spogliatasi e i suoi panni sotto un cespuglio nascosi, sette volte con la imagine si bagnò, e appresso, ignuda con la imagine in mano, verso la torricella n'andò. Lo scolare, il quale in sul fare della notte, col suo fante tra salci e altri alberi presso della torricella nascoso s'era, e aveva tutte queste cose vedute, e passandogli ella quasi allato così ignuda, e egli veggendo lei con la bianchezza del suo corpo vincere le tenebre della notte, e appresso riguardandole il petto e l'altre parti del corpo, e vedendole belle e seco pensando quali infra piccol termine dovean divenire, sentì di lei alcuna compassione; e d'altra parte lo stimolo della carne l'assalì subitamente e fece tale in piè levare che si giaceva, e con fortavalo che egli da guato uscisse e lei andasse a prendere e il suo piacer ne facesse; e vicin fu a essere tra dall'uno e dal l'altro vinto. Ma nella memoria tornandosi chi egli era, e qual fosse la 'ngiuria ricevuta, e perché e da cui, e per ciò nel lo sdegno raccesosi, e la compassione e il carnale appetito cacciati, stette nel suo proponimento fermo, e lasciolla andare. La donna, montata in su la torre e a tramontana rivolta, cominciò a dire le parole datele dallo scolare; il quale, poco appresso nella torricella entrato, chetamente a poco a poco levò quella scala che saliva in sul battuto dove la donna era, e appresso aspettò quello che ella dovesse dire e fare.

La donna, detta sette volte la sua orazione, cominciò a aspettare le due damigelle, e fu sì lungo l'aspettare, senza che fresco le faceva troppo più che voluto non avrebbe, che ella vide l'aurora apparire; per che, dolente che avvenuto non era ciò che lo scolare detto l'avea, seco disse: « Io temo che costui non m'abbia voluto dare una notte chente io diedi a lui; ma, se per ciò questo m'ha fatto, mal s'è saputo vendicare, ché questa non è stata lunga per lo terzo che fu la sua, senza che il I freddo fu d'altra qualità. » E perché il giorno quivi non la cogliesse, cominciò a volere smontare della torre, ma ella trovò non esservi la scala. Allora, quasi come se il mondo sotto i piedi venuto le fosse meno, le fuggì l'animo, e vinta cadde sopra il battuto della torre. E poi che le forze le ritornarono, miseramente cominciò a piagnere e a dolersi; e assai ben conoscendo questa dovere essere stata opera dello scolare, s'incominciò a ramaricare d'avere altrui offeso, e appresso d'essersi troppo fidata di colui, il quale ella doveva meritamente creder nemico; e in ciò stette lunghissimo spazio.

Poi, riguardando se via alcuna da scender vi fosse e non veggendola, ricominciato il pianto, entrò in uno amaro pensiero, a sé stessa dicendo: « O sventurata, che si dirà da' tuoi fratelli, da' parenti e da' vicini, e generalmente da tutti i fiorentini, quando si saprà che tu sii qui trovata ignuda? La tua onestà, stata cotanta, sarà conosciuta essere stata falsa; e se tu volessi a queste ce avrebbe, il maladetto scolare, che tutti i fatti tuoi sa, non ti lascerà mentire. Ahi misera te, che a una ora avrai perduto il male amato giovane e il tuo onore! » E dopo questo venne in tanto dolore, che quasi fu per gittarsi della torre in terra.

Ma, essendosi già levato il sole e ella alquanto più dall'una delle parti più al muro accostatasi della torre, guardando se alcuno fanciullo quivi colle bestie s'accostasse cui essa potesse mandare per la sua fante, avvenne che lo scolare, avendo a piè d'un cespuglio dormito alquanto, destandosi la vide e ella lui. Alla quale lo scolare disse: « Buon dì, madonna; sono ancor venute le damigelle? »

La donna, vedendolo e udendolo, ricominciò a piagner forte e pregollo che nella torre venisse, acciò che essa potesse parlargli. Lo scolare le fu di questo assai cortese.

La donna, postasi a giacer boccone sopra il battuto, il capo solo fece alla cateratta di quello, e piagnendo disse: « Rinieri, sicuramente, se io ti diedi la mala notte, tu ti se'ben di me vendicato, per ciò che, quantunque di luglio sia, mi sono io creduta questa notte, stando ignuda, assiderare; senza che io ho tanto pianto e lo 'nganno che io ti feci e la mia sciocchezza che ti credetti, che maraviglia è come gli occhi mi sono in capo rimasi. E per ciò io ti priego, non per amor di me, la qual tu amar non dei, ma per amor di te, che se'gentile uomo, che ti basti, per vendetta della ingiuria la quale io ti feci, quello che infino a questo punto fatto hai, e faccimi i miei panni recare, e che io possa di quassù discendere, e non mi voler tor quello che tu poscia vogliendo render non mi potresti, cioè l'onor mio; ché, se io tolsi a te l'esser con meco quella notte, io, ognora che a grado ti fia, te ne posso render molte per quella una. Bastiti adunque questo, e come a valente uomo, sieti assai l'esserti potuto vendicare e l'averlomi fatto conoscere; non volere le tue forze contro a una femina esercitare; niuna gloria è a una aquila l'aver vinta una colomba; dunque, per l'amor di Dio e per onor di te, t'incresca di me. »

Lo scolare, con fiero animo seco la ricevuta ingiuria rivolgendo, e veggendo piagnere e pregare, a una ora aveva pia cere e noia nello animo; piacere della vendetta, la quale più che altra cosa disiderata avea; e noia sentiva, movendolo la umanità sua a compassion della misera. Ma pur, non potendo la umanità vincere la fierezza dello appetito, rispose: « Madonna Elena, se i miei prieghi (li quali nel vero io non seppi bagnare di lagrime né far melati come tu ora sai porgere i tuoi) m'avessero impetrato, la notte che io nella tua corte di neve piena moriva di freddo, di potere essere stato messo da te pure un poco sotto il coperto, leggier cosa mi sarebbe al presente i tuoi esaudire; ma se cotanto or più che per lo passato del tuo onor ti cale, e etti grave il costà su ignuda dimorare, porgi cotesti prieghi a colui nelle cui braccia non t'increbbe, quella notte che tu stessa ricordi, ignuda stare, me sentendo per la tua corte andare i denti battendo e scalpitando la neve, e a lui ti fa aiutare, a lui ti fa i tuoi panni recare, a lui ti fa por la scala per la qual tu scenda, in lui t'ingegna di mettere tenerezza del tuo onore, per cui quel medesimo, e ora e mille altre volte, non hai dubitato di mettere in periglio. Come nol chiami tu che ti venga a aiutare? E a cui appartiene egli più che a lui? Tu se'sua: e quali cose guarderà egli o aiuterà, se egli non guarda e aiuta te? Chiamalo, stolta che tu se', e prova se l'amore il quale tu gli porti e il tuo senno col suo ti possono dalla mia sciocchezza liberare, la qual, sollazzando con lui, domandasti quale gli pareva maggiore o la mia sciocchezza o l'amor che tu gli portavi. Né essere a me ora cortese di ciò che io non disidero, né negare il mi puoi se io il disiderassi; al tuo amante le tue notti riserba, se egli avviene che tu di qui viva ti parti; tue sieno e di lui; io n'ebbi troppo d'una, e bastimi d'essere stato una volta schernito. E ancora, la tua astuzia usando nel favellare, t'ingegni col commendarmi la mia benivolenzia acquistare, e chiamimi gentile uomo e valente, e tacitamente, che io come magnanimo mi ritragga dal punirti della tua malvagità, t'ingegni di fare; ma le tue lusinghe non m'adombreranno ora gli occhi dello 'ntelletto, come già fecero le tue disleali promessioni; io mi conosco, né tanto di me stesso apparai mentre dimorai a Parigi, quanto tu in una sola notte delle tue mi facesti conoscere. Ma, presupposto che io pur magnammo fossi, non se'tu di quelle in cui la magnanimità debba i suoi effetti mostrare; la fine della penitenzia, nelle salvatiche fiere come tu se', e similmente della vendetta, vuole esser la morte, dove negli uomini quel dee bastare che tu dicesti. Per che, quatunque io aquila non sia, te non colomba, ma velenosa serpe conoscendo, come antichissimo nimico con ogni odio e con tutta la forza di perseguire intendo, con tutto che questo che io ti fo non si possa assai propiamente vendetta chiamare, ma più tosto gastigamento, in quanto la vendetta dee trapassare l'offesa, e questo non v'aggiugnerà; per ciò che se io vendicar mi volessi, riguardando a che partito tu ponesti l'anima mia, la tua vita non mi basterebbe, togliendolati, né cento altre alla tua simiglianti, per ciò che io ucciderei una vile e cattiva e rea feminetta. E da che diavol, togliendo via cotesto tuo pochetto di viso, il quale pochi anni guasteranno riempiendolo di crespe, se' tu più che qualunque altra dolorosetta fante? Dove per te non rimase di far morire un valente uomo, come tu poco avanti mi chiamasti, la cui vita ancora potrà più in un dì essere utile al mondo, che centomilia tue pari non potranno mentre il mondo durar dee. Insegnerotti adunque con questa noia che tu sostieni che cosa sia lo schernir gli uomini che hanno alcun sentimento, e che cosa sia lo schernir gli scolari; e darotti materia di giammai più in tal follia non cader, se tu campi. Ma, se tu n'hai così gran voglia di scendere, ché non te ne gitti tu in terra? E a una ora con lo aiuto di Dio fiaccandoti tu il collo, uscirai della pena nella quale esser ti pare, e me farai il più lieto uomo del mondo. Ora io non ti vo'dir più; io seppi tanto fare che io costà su ti feci salire; sappi tu ora tanto fare che tu ne scenda, come tu mi sapesti beffare. »

Parte che lo scolare questo diceva, la misera donna piagneva continuo, e il tempo se n'andava, sagliendo tuttavia il sol più alto. Ma poi che ella il sentì tacer, disse: « Deh! crudele uomo, se egli ti fu tanto la maladetta notte grave e parveti il fallo mio così grande che né ti posson muovere a pietate alcuna la mia giovane bellezza, le amare lagrime né gli umili prieghi, almeno muovati alquanto e la tua severa rigidezza diminuisca questo solo mio atto, l'essermi di te nuovamente fidata e l'averti ogni mio segreto scoperto col quale ho dato via al tuo disidero in potermi fare del mio peccato conoscente; con ciò sia cosa che, senza fidarmi io di te, niuna via fosse a te a poterti di me vendicare, il che tu mostri con tanto ardore aver disiderato. Deh, lascia l'ira tua e perdonami omai: io sono, quando tu perdonar mi vogli e di quinci farmi discendere, acconcia d'abbandonar del tutto il disleal giovane e te solo aver per amadore e per signore, quantunque tu molto la mia bellezza biasimi, brieve e poco cara mostrandola; la quale, chente che ella, insieme con quella dell'altre, si sia, pur so che, se per altro non fosse da aver cara, si è per ciò che vaghezza e trastullo e diletto è della giovanezza degli uomini; e tu non se'vecchio. E quantunque io crudelmente da te trattata sia, non posso per ciò credere che tu volessi vedermi fare così disonesta morte, come sarebbe il gittarmi a guisa di disperata quinci giù dinanzi agli occhi tuoi, a' quali, se tu bugiardo non eri come sei diventato, già piacqui cotanto. Deh! increscati di me per Dio e per pietà: il sole s'incomincia a riscaldar troppo, e come il troppo freddo questa notte m'offese, così il caldo m'incomincia a far grandissima noia. »

A cui lo scolare, che a diletto la teneva a parole, rispose: « Madonna, la tua fede non si rimise ora nelle mie mani per amor che tu mi portassi, ma per racquistare quello che tu perduto avevi; e per ciò niuna cosa merita altro che maggior male; e mattamente credi, se tu credi questa sola via senza più essere, alla disiderata vendetta da me, opportuna stata. Io n'aveva mille altre, e mille lacciuoli, col mostrar d'amarti, t'aveva tesi intorno a' piedi, né guari di tempo era a andare, che di necessità, se questo avvenuto non fosse, ti convenia in uno incappare; né potevi incappare in alcuno, che in maggior pena e vergogna che questa non ti fia caduta non fossi; e questo presi non per agevolarti, ma per esser più tosto lieto. E dove tutti mancati mi fossero, non mi fuggiva la penna, con la quale tante e sì fatte cose di te scritte avrei e in sì fatta maniera, che, avendole tu risapute (ché l'avresti), avresti il dì mille volte disiderato di mai non esser nata. Le forze della penna sono troppo maggiori che coloro non estimano che quelle con conoscimento provate non hanno. Io giuro a Dio (e se Egli di questa vendetta, che io di te prendo, mi faccia allegro infin la fine, come nel cominciamento m'ha fatto) che io avrei di te scritte cose che, non che dell'altre persone, ma di te stessa vergognandoti, per non poterti vedere t'avresti cavati gli occhi; e per ciò non rimproverare al mare d'averlo fatto crescere il piccolo ruscelletto. Del tuo amore, o che tu sii mia, non ho io, come già dissi, alcuna cura; sieti pur di colui di cui stata se', se tu puoi, il quale, come io già odiai, così al presente amo, riguardando a ciò che egli ha ora verso te operato. Voi v'andate innamorando e disiderate l'amor de' giovani, per ciò che alquanto con le carni più vive e con le barbe più nere gli vedete, e sopra sé andare e carolare e giostrare; le quali cose tutte ebber coloro che più alquanto attempati sono, e quel sanno che coloro hanno a imparare. E oltre a ciò, gli stimate miglior cavalieri e far di più miglia le lor giornate che gli uomini più maturi. Certo io confesso che essi con maggior forza scuotono i pilliccioni, ma gli attempati, sì come esperti, sanno meglio i luoghi dove stanno le pulci; e di gran lunga è da eleggere più tosto il poco e saporito che il molto e insipido; e il trottar forte rompe e stanca altrui, quantunque sia giovane, dove il soavemente andare, ancora che alquanto più tardi altrui meni allo albergo, egli il vi conduce almen riposato. Voi non v'accorgete, animali senza intelletto, quanto di male sotto quella poca di bella apparenza stea nascoso. Non sono i giovani d'una contenti, ma quante ne veggono tante ne disiderano, di tante par loro esser degni; per che essere non può stabile il loro amore; e tu ora ne puoi per pruova esser verissima testimonia. E par loro esser degni d'essere reveriti e careggiati dalle loro donne; né altra gloria hanno maggiore che il vantarsi di quelle che hanno avute; il qual fallo già sotto a' frati, che nol ridicono, ne mise molte. Benché tu dichi che mai i tuoi amori non seppe altri che la tua fante e io, tu il sai male, e mal credi se così credi. La sua contrada quasi di niun'altra cosa ragiona, e la tua; ma le più volte è l'ultimo, a cui cotali cose agli orecchi pervengono, colui a cui elle appartengono. Essi ancora vi rubano, dove dagli attempati v'è donato. Tu adunque, che male eleggesti, sieti di colui a cui tu ti desti, e me, il quale schernisti, lascia stare a altrui, ché io ho trovata donna da molto più che tu non se', che meglio n'ha conosciuto che tu non facesti. E acciò che tu del disidero degli occhi miei possi maggior certezza nell'altro mondo portare che non mostra che tu in questo prenda dalle mie parole, gittati giù pur tosto, e l'anima tua, sì come io credo, già ricevuta nel le braccia del diavolo, potrà vedere se gli occhi miei d'averti veduta strabocchevolmente cadere si saranno turbati o no. Ma per ciò che io credo che di tanto non mi vorrai far lieto, ti dico che, se il sole ti comincia a scaldare, ricorditi del freddo che tu a me facesti patire, e se con cotesto caldo il mescolerai, senza fallo il sol sentirai temperato. »

La sconsolata donna, veggendo che pure a crudel fine riuscivano le parole dello scolare, ricominciò a piagnere e disse: « Ecco, poi che niuna mia cosa di me a pietà ti muove, muovati l'amore, il qual tu porti a quella donna che più savia di me di'che hai trovata, e da cui tu di'che se'amato, e per amor di lei mi perdona e i miei panni mi reca, ché io rivestir mi possa, e quinci mi fa smontare. »

Lo scolare allora cominciò a ridere; e veggendo che già la terza era di buona ora passata, rispose: « Ecco, io non so ora dir di no, per tal donna me n'hai pregato; insegnamegli, e io andrò per essi e farotti di costà su scendere. »

La donna, ciò credendo, alquanto si confortò, e insegnogli il luogo dove aveva i panni posti. Lo scolare, della torre uscito, comandò al fante suo che di quindi non si partisse, anzi vi stesse vicino, e a suo poter guardasse che alcun non v'entrasse dentro infino a tanto che egli tornato fosse; e questo detto, se n'andò a casa del suo amico, e quivi a grande agio desinò, e appresso, quando ora gli parve, s'andò a dormire.

La donna, sopra la torre rimasa, quantunque da sciocca speranza un poco riconfortata fosse, pure oltre misura dolente si dirizzò a sedere, e a quella parte del muro dove un poco d'ombra era s'accostò, e cominciò accompagnata da amarissimi pensieri a aspettare; e ora pensando e ora piagnendo, e ora sperando e or disperando della tornata dello scolare co' panni, e d'un pensiero in altro saltando, sì come quella che dal dolore era vinta, e che niente la notte passata aveva dormito, s'addormentò. Il sole, il quale era ferventissimo, essendo già al mezzo giorno salito, feriva alla scoperta e al diritto sopra il tenero e dilicato corpo di costei e sopra la sua testa, da niuna cosa coperta, con tanta forza, che non solamente le cosse le carni tanto quanto ne vedea, ma quelle minuto minuto tutte l'aperse; e fu la cottura tale, che lei che profondamente dormiva constrinse a destarsi.

E sentendosi cuocere e alquanto movendosi, parve nel muoversi che tutta la cotta pelle le s'aprisse e ischiantasse, come veggiamo avvenire d'una carta di pecora abbruciata, se altri la tira; e oltre a questo le doleva sì forte la testa, che pareva che le si spezzasse, il che niuna maraviglia era. E il battuto della torre era fervente tanto, che ella né co' piedi né con altro vi poteva trovar luogo; per che, senza star ferma, or qua or là si tramutava piagnendo. E oltre a questo, non faccendo punto di vento, v'erano mosche e tafani in grandissima quantità abondanti, li quali, ponendolesi sopra le carni aperte, sì fieramente la stimolavano, che ciascuna le pareva una puntura d'uno spontone per che ella di menare le mani attorno non restava niente, sé, la sua vita, il suo amante e lo scolare sempre maladicendo. E così essendo dal caldo inestimabile, dal sole, dalle mosche e da' tafani, e ancor dalla fame, ma molto più dalla sete, e per aggiunta da mille noiosi pensieri angosciata e stimolata e trafitta, in piè dirizzata, cominciò a guardare se vicin di sé o vedesse o udisse alcuna persona, disposta del tutto, che che avvenire ne le dovesse, di chiamarla e di domandare aiuto. Ma anche questo l'aveva la sua nimica fortuna tolto.

I lavoratori eran tutti partiti de' campi per lo caldo, avvegna che quel dì niuno ivi appresso era andato a lavorare, sì come quegli che allato alle lor case tutti le lor biade battevano; per che niuna altra cosa udiva che cicale, e vedeva Arno, il qual, porgendole disiderio delle sue acque, non iscemava la sete ma l'accresceva. Vedeva ancora in più luoghi boschi e ombre e case, le quali tutte similmente l'erano angoscia disiderando. Che direm più della sventurata vedova? Il sol di sopra e il fervor del battuto di sotto e le trafitture delle mosche e de' tafani da lato sì per tutto l'avean concia, che ella, dove la notte passata con la sua bianchezza vinceva le tenebre, allora rossa divenuta come robbia, e tutta di sangue chiazata, sarebbe paruta, a chi veduta l'avesse, la più brutta cosa del mondo.

E così dimorando costei, senza consiglio alcuno o speranza, più la morte aspettando che altro, essendo già la mezza nona passata, lo scolare, da dormir levatosi e della sua donna ricordandosi, per veder che di lei fosse se ne tornò alla torre, e il suo fante, che ancora era digiuno, ne mandò a mangiare; il quale avendo la donna sentito, debole e della grave noia angosciosa, venne sopra la cateratta, e postasi a sedere, piagnendo cominciò a dire: « Rinieri, ben ti se'oltre misura vendico, ché se io feci te nella mia corte di notte agghiacciare, tu hai me di giorno sopra questa torre fatta arrostire, anzi ardere, e oltre a ciò di fame e di sete morire; per che io ti priego per solo Idio che qua su salghi, e poi che a me non soffera il cuore di dare a me stessa la morte, dallami tu, ché io la disidero più che altra cosa, tanto e tale è il tormento che io sento. E se tu questa grazia non mi vuoi fare, almeno un bicchier d'acqua mi fa venire, che io possa bagnarmi la bocca, alla quale non bastano le mie lagrime, tanta è l'asciugaggine e l'arsura la quale io v'ho dentro. »

Ben conobbe lo scolare alla voce la sua debolezza, e ancor vide in parte il corpo suo tutto riarso dal sole, per le quali cose e per gli umili suoi prieghi un poco di compassione gli venne di lei; ma non per tanto rispose: « Malvagia donna, delle mie mani non morrai tu già, tu morrai pur delle tue, se voglia te ne verrà; e tanta acqua avrai da me a sollevamento del tuo caldo, quanto fuoco io ebbi da te a alleggiamento del mio freddo. Di tanto mi dolgo forte, che la 'nfermità del mio freddo col caldo del letame puzzolente si convenne curare, ove quella del tuo caldo col freddo della odorifera acqua rosa si curerà; e dove io per perdere i nervi e la persona fui, tu da questo caldo scorticata, non altramenti rimarrai bella che faccia la serpe lasciando il vecchio cuoio. »

« O misera me! » disse la donna « queste bellezze in così fatta guisa acquistate dea Idio a quelle persone che mal mi vogliono; ma tu, più crudele che ogni altra fiera, come hai potuto sofferire di straziarmi a questa maniera? Che più doveva io aspettar da te o da alcuno altro, se io tutto il tuo parentado sotto crudelissimi tormenti avessi uccisi? Certo io non so qual maggior crudeltà si fosse potuta usare in un traditore che tutta una città avesse messa a uccisione, che quella alla qual tu m'hai posta a farmi arrostire al sole e manicare alle mosche; e oltre a questo non un bicchier d'acqua volermi dare, che a' micidiali dannati dalla ragione, andando essi alla morte, è dato ber molte volte del vino, pur che essi ne domandino. Ora ecco, poscia che io veggo te star fermo nella tua acerba crudeltà, né poterti la mia passione in parte alcuna muovere, con pazienzia mi disporrò alla morte ricevere, acciò che Idio abbia misericordia della anima mia, il quale io priego che con giusti occhi questa tua operazion riguardi. » E queste parole dette, si trasse con gravosa sua pena verso il mezzo del battuto, disperandosi di dovere da così ardente caldo campare; e non una volta ma mille, oltre agli altri suoi dolori, credette di sete ispasimare, tuttavia piagnendo forte e della sua sciagura dolendosi.

Ma essendo già vespro e parendo allo scolare avere assai fatto, fatti prendere i panni di lei e inviluppare nel mantello del fante, verso la casa della misera donna se n'andò, e quivi sconsolata e trista e senza consiglio la fante di lei trovò sopra la porta sedersi, alla quale egli disse: « Buona femina, che è della donna tua? »

A cui la fante rispose: « Messere, io non so; io mi credeva stamane trovarla nel letto dove iersera me l'era paruta vedere andare; ma io non la trovai né quivi né altrove, né so che si sia divenuta, di che io vivo con grandissimo dolore; ma voi, messere, saprestemene dir niente? »

A cui lo scolar rispose: « Così avess'io avuta te con lei insieme là dove io ho lei avuta, acciò che io t'avessi della tua colpa così punita come io ho lei della sua! Ma fermamente tu non mi scapperai dalle mani, che io non ti paghi sì dell'opere tue che mai di niuno uomo farai beffe che di me non ti ricordi. » E questo detto, disse al suo fante: « Dalle cotesti panni e dille che vada per lei, s'ella vuole. »

Il fante fece il suo comandamento; per che la fante, presigli e riconosciutigli, udendo ciò che detto l'era, temette forte non l'avessero uccisa, e appena di gridar si ritenne; e subitamente, piagnendo, essendosi già lo scolar partito, con quegli verso la torre n'andò correndo.

Aveva per isciacura un lavoratore di questa donna quel dì due suoi porci smarriti, e andandoli cercando, poco dopo la partita dello scolare a quella torricella pervenne, e andando guatando per tutto se i suoi porci vedesse, sentì il miserabile pianto che la sventurata donna faceva, per che salito su quanto potè, gridò: « Chi piagne là su? »

La donna conobbe la voce del suo lavoratore, e chiamatol per nome gli disse: « Deh! vammi per la mia fante, e fa sì che ella possa qua su a me venire. »

Il lavoratore, conosciutala, disse: « Oimè! madonna: o chi vi portò costà su? La fante vostra v'è tutto dì oggi andata cercando; ma chi avrebbe mai pensato che voi doveste essere stata qui? »

E presi i travicelli della scala, la cominciò a dirizzar come star dovea e a legarvi con ritorte i bastoni a traverso. E in questo la fante di lei sopravenne, la quale, nella torre entrata, non potendo più la voce tenere, battendosi a palme cominciò a gridare: « Oimè, donna mia dolce, ove siete voi? »

La donna udendola, come più forte potè, disse: « O sirocchia mia, io son qua su; non piagnere, ma recami tosto i panni miei. »

Quando la fante l'udì parlare, quasi tutta riconfortata, salì su per la scala già presso che racconcia dal lavoratore, e aiutata da lui in sul battuto pervenne; e vedendo la donna sua, non corpo umano ma più tosto un cepperello innarsicciato parere, tutta vinta, tutta spunta, e giacere in terra ignuda, messesi l'unghie nel viso cominciò a piagnere sopra di lei, non altramenti che se morta fosse. Ma la donna la pregò per Dio che ella tacesse e lei rivestire aiutasse. E avendo da lei saputo che niuna persona sapeva dove ella stata fosse, se non coloro che i panni portati l'aveano e il lavoratore che al presente v'era, alquanto di ciò racconsolata, gli pregò per Dio che mai a alcuna persona di ciò niente dicessero. Il lavoratore dopo molte novelle, levatasi la donna in collo, che andar non poteva, salvamente infin fuor della torre la condusse. La fante cattivella, che di dietro era rimasa, scendendo meno avvedutamente, smucciandole il piè, cadde della scala in terra e ruppesi la coscia, e per lo dolor sentito cominciò a mugghiar che pareva un leone.

Il lavoratore, posata la donna sopra a uno erbaio, andò a vedere che avesse la fante, e trovatala con la coscia rotta, similmente nello erbaio la recò, e allato alla donna la pose. La quale veggendo questo a giunta degli altri suoi mali avvenuto, e colei avere rotta la coscia da cui ella sperava essere aiutata più che da altrui, dolorosa senza modo ricominciò il suo pianto tanto miseramente, che non solamente il lavoratore non la potè racconsolare, ma egli altressì cominciò a piagnere. Ma, essendo già il sol basso, acciò che quivi non gli cogliesse la notte, come alla sconsolata donna piacque, n'andò alla casa sua, e quivi chiamati due suoi fratelli e la moglie, e là tornati con una tavola, su v'acconciarono la fante e alla casa ne la portarono; e riconfortata la donna con un poco d'acqua fresca e con buone parole, levatalasi il lavoratore in collo, nella camera di lei la portò. La moglie del lavoratore, datole mangiar pan lavato e poi spogliatala, nel letto la mise, e ordinarono che essa e la fante fosser la notte portate a Firenze; e così fu fatto.

Quivi la donna, che aveva a gran divizia lacciuoli, fatta una sua favola tutta fuor dell'ordine delle cose avvenute, sì di sé e sì della sua fante fece a' suoi fratelli e alle sirocchie e a ogn'altra persona credere che per indozzamenti di demoni questo loro fosse avvenuto. I medici furon presti, e non senza grandissima angoscia e affanno della donna che tutta la pelle più volte appiccata lasciò alle lenzuola, lei d'una fiera febbre e degli altri accidenti guerirono, e similmente la fante della coscia. Per la qual cosa la donna, dimenticato il suo amante, da indi innanzi e di beffare e d'amare si guardò saviamente. E lo scolare, sentendo alla fante la coscia rotta, parendogli avere assai intera vendetta, lieto, senza altro dirne, se ne passò.

Così adunque alla stolta giovane addivenne delle sue beffe, non altramente con uno scolare credendosi frascheggiare che con un altro avrebbe fatto; non sappiendo bene che essi, non dico tutti ma la maggior parte, sanno dove il diavolo tien la coda. E per ciò guardatevi, donne, dal beffare, e gli scolari spezialmente. --



NOVELLA OTTAVA

Due usano insieme: l'uno con la moglie dell'altro si giace; l'altro, avvedutosene, fa con la sua moglie che l'uno è serrato in una cassa, sopra la quale, standovi l'un dentro, l'altro con la moglie dell'un si giace.

Gravi e noiosi erano stati i casi d'Elena a ascoltare alle donne; ma per ciò che in parte giustamente avvenutigli gli estimavano, con più moderata compassion gli avean trapassati, quantunque rigido e costante fieramente, anzi crudele, riputassero lo scolare. Ma essendo Pampinea venutane alla fine, la reina alla Fiammetta impose che seguitasse, la quale, d'ubidire disiderosa, disse:

-- Piacevoli donne, per ciò che mi pare che alquanto trafitto v'abbia la severità dello offeso scolare, estimo che convenevole sia con alcuna cosa più dilettevole rammorbidire gl'innacerbiti spiriti; e per ciò intendo di dirvi una novelletta d'un giovane, il quale con più mansueto animo una ingiuria ricevette, e quella con più moderata operazion vendicò. Per la quale potrete comprendere che assai dee bastare a ciascuno, se quale asino dà in parete tal riceve, senza volere, soprabondando oltre la convenevoleza della vendetta, ingiuriare, dove l'uomo si mette alla ricevuta ingiuria vendicare.

Dovete adunque sapere che in Siena, sì come io intesi già, furon due giovani assai agiati e di buone famiglie popolane, de' quali l'uno ebbe nome Spinelloccio Tavena e l'altro ebbe nome Zeppa di Mino, e amenduni eran vicini a casa in Cammollia. Questi due giovani sempre usavano insieme, e per quello che mostrassono, così s'amavano, o più, come se stati fosser fratelli, e ciascun di loro avea per moglie una donna assai bella.

Ora avvenne che Spinelloccio, usando molto in casa del Zeppa, e essendovi il Zeppa e non essendovi, per sì fatta maniera con la moglie del Zeppa si dimesticò, che egli incominciò a giacersi con essolei; e in questo continuarono una buona pezza avanti che persona se n'avvedesse. Pure al lungo andare, essendo un giorno il Zeppa in casa e non sappiendolo la donna, Spinelloccio venne a chiamarlo. La donna disse che egli non era in casa; di che Spinelloccio prestamente andato su e trovata la donna nella sala, e veggendo che altri non v'era, abbracciatala la cominciò a baciare, e ella lui. Il Zeppa, che questo vide, non fece motto, ma nascoso si stette a veder quello a che il giuoco dovesse riuscire; e brievemente egli vide la sua moglie e Spinelloccio così abbracciati andarsene in camera e in quella serrarsi, di che egli si turbò forte. Ma conoscendo che per far romore né per altro la sua ingiuria non diveniva minore, anzi ne cresceva la vergogna, si diede a pensar che vendetta di questa cosa dovesse fare, che, senza sapersi dattorno, l'animo suo rimanesse contento; e dopo lungo pensiero, parendogli aver trovato il modo, tanto stette nascoso quanto Spinelloccio stette con la donna.

Il quale come andato se ne fu, così egli nella camera se n'entrò, dove trovò la donna che ancora non s'era compiuta di racconciare i veli in capo, li quali scherzando Spinelloccio fatti l'aveva cadere, e disse: « Donna, che fai tu? »

A cui la donna rispose: « Nol vedi tu? »

Disse il Zeppa: « Sì bene, sì, ho io veduto anche altro che io non vorrei »; e con lei delle cose state entrò in parole, e essa con grandissima paura dopo molte novelle quello avendogli confessato che acconciamente della sua dimestichezza con Ispinelloccio negar non potea, piagnendo gl'incominciò a chieder perdono.

Alla quale il Zeppa disse: « Vedi, donna, tu hai fatto male; il quale se tu vuogli che io ti perdoni, pensa di fare compiutamente quello che io t'imporrò, il che è questo. Io voglio che tu dichi a Spinelloccio che domattina in su l'ora della terza egli truovi qualche cagione di partirsi da me e venirsene qui a te; e quando egli ci sarà, io tornerò, e come tu mi senti, cosi il fa entrare in questa cassa e serracel dentro; poi, quando questo fatto avrai, e io ti dirò il rimanente che a fare avrai; e di far questo non aver dottanza niuna, ché io ti prometto che io non gli farò male alcuno. »La donna, per sodisfargli, disse di farlo, e così fece.

Venuto il dì seguente, essendo il Zeppa e Spinelloccio insieme in su la terza, Spinelloccio, che promesso aveva alla donna d'andare a lei a quella ora, disse al Zeppa: « Io debbo stamane desinare con alcuno amico, al quale io non mi voglio fare aspettare, e per ciò fatti con Dio. »

Disse il Zeppa: « Egli non è ora di desinare di questa pezza. »

Spinelloccio disse: « Non fa forza; io ho altressì a parlar seco d'un mio fatto, sì che egli mi vi convien pure essere a buona ora. »

Partitosi adunque Spinelloccio dal Zeppa, data una sua volta, fu in casa con la moglie di lui; e essendosene entrati in camera, non stette guari che il Zeppa tornò; il quale come la donna sentì, mostratasi paurosa molto, lui fece ricoverare in quella cassa che il marito detto l'avea e serrollovi entro, e uscì della camera.

Il Zeppa giunto suso disse: « Donna, è egli otta di desinare? »

La donna rispose: « Sì, oggimai. »

Disse allora il Zeppa: « Spinelloccio è andato a desinare stamane con un suo amico e ha la donna sua lasciata sola; fatti alla finestra e chiamala, e dì che venga a desinar con essonoi. »

La donna, di sé stessa temendo e per ciò molto ubbidiente divenuta, fece quello che il marito le 'mpose. La moglie di Spinelloccio, pregata molto dalla moglie del Zeppa, vi venne, udendo che il marito non vi doveva desinare; e quando ella venuta fu, il Zeppa, faccendole le carezze grandi e presala dimesticamente per mano, comandò pianamente alla moglie che in cucina n'andasse, e quella seco ne menò in camera, nella quale come fu, voltatosi addietro, serrò la camera dentro. Quando la donna vide serrar la camera dentro, disse: « Oimè, Zeppa, che vuol dire questo? Dunque mi ci avete voi fatta venir per questo? Ora, è questo l'amor che voi portate a Spinelloccio e la leale compagnia che voi gli fate? »

Alla quale il Zeppa, accostatosi alla cassa dove serrato era il marito di lei e tenendola bene, disse: « Donna, imprima che tu ti ramarichi, ascolta ciò che io ti vo'dire: io ho amato e amo Spinelloccio come fratello, e ieri, come che egli nol sappia, io trovai che la fidanza la quale io ho di lui avuta era pervenuta a questo, che egli con la mia donna così si giace come con teco; ora, per ciò che io l'amo, non intendo di voler di lui pigliare altra vendetta, se non quale è stata l'offesa: egli ha la mia donna avuta, e io intendo d'aver te. Dove tu non vogli, per certo egli converrà che io il ci colga, e per ciò che io non intendo di lasciare questa ingiuria impunita, io gli farò giuoco che né tu né egli sarete mai lieti. »

La donna, udendo questo e dopo molte riconfermazioni fattelene dal Zeppa, credendol, disse: « Zeppa mio, poi che sopra me dee cadere questa vendetta, e io son contenta, sì veramente che tu mi facci, di questo che far dobbiamo, rimanere in pace con la tua donna, come io, non ostante quello che ella m'ha fatto, intendo di rimaner con lei. »

A cui il Zeppa rispose: « Sicuramente io il farò; e oltre a questo ti donerò un così caro e bello gioiello, come niun altro che tu n'abbi; » e così detto, abbracciatala e cominciatala a baciare, la distese sopra la cassa, nella quale era il marito di lei serrato e quivi su, quanto gli piacque, con lei si sollazzò, e ella con lui.

Spinelloccio, che nella cassa era e udite aveva tutte le parole dal Zeppa dette e la risposta della sua moglie, e poi aveva sentita la danza trivigiana che sopra il capo fatta gli era, una grandissima pezza sentì tal dolore che parea che morisse; e se non fosse che egli temeva del Zeppa, egli avrebbe detta alla moglie una gran villania così rinchiuso come era. Poi, pur ripensandosi che da lui era la villania incominciata e che il Zeppa aveva ragione di far ciò che egli faceva, e che verso di lui umanamente e come compagno s'era portato, seco stesso disse di volere esser più che mai amico del Zeppa, quando volesse.

Il Zeppa, stato con la donna quanto gli piacque, scese della cassa, e domandando la donna il gioiello promesso, aperta la camera fece venir la moglie, la quale niun'altra cosa disse, se non: « Madonna, voi m'avete renduto pan per focaccia »; e questo disse ridendo.

Alla quale il Zeppa disse: « Apri questa cassa »; e ella il fece; nella quale il Zeppa mostrò alla donna il suo Spinelloccio.

E lungo sarebbe a dire qual più di lor due si vergognò, o Spinelloccio vedendo il Zeppa e sappiendo che egli sapeva ciò che fatto aveva, o la donna vedendo il suo marito e conoscendo che egli aveva e udito e sentito ciò che ella sopra il capo fatto gli aveva.

Alla quale il Zeppa disse: « Ecco il gioiello il quale io ti dono. »

Spinelloccio, uscito della cassa, senza far troppe novelle, disse: « Zeppa, noi siam pari pari; e per ciò è buono, come tu dicevi dianzi alla mia donna, che noi siamo amici come solavamo; e non essendo tra noi due niun'altra cosa che le mogli divisa, che noi quelle ancora comunichiamo. »

Il Zeppa fu contento, e nella miglior pace del mondo tutti e quattro desinarono insieme. E da indi innanzi ciascuna di quelle donne ebbe due mariti, e ciascun di loro ebbe due mogli, senza alcuna quistione o zuffa mai per quello insieme averne. --



NOVELLA NONA

Maestro Simone medico da Bruno e da Buffalmacco, per esser fatto d'una brigata che va in corso, fatto andar di notte in alcun luogo, è da Buffalmacco gittato in una fossa di bruttura e lasciatovi.

Poi che le donne alquanto ebber cianciato dello accomunar le mogli fatto da' due sanesi, la reina, alla qual sola restava a dire, per non fare ingiuria a Dioneo, incominciò:

-- Assai bene, amorose donne, si guadagnò Spinelloccio la beffa che fatta gli fu dal Zeppa; per la qual cosa non mi pare che agramente sia da riprendere, come Pampinea volle poco innanzi mostrare, chi fa beffa alcuna a colui che la va cercando o che la si guadagna. Spinelloccio la si guadagnò; e io intendo di dirvi d'uno che se l'andò cercando; estimando che quegli che gliele fecero, non da biasimare ma da com mendar sieno. E fu colui a cui fu fatta un medico, che a Firenze da Bologna, essendo una pecora, tornò tutto coperto di pelli di vai.

Sì come noi veggiamo tutto il dì i nostri cittadini da Bologna ci tornano qual giudice e qual medico e qual notaio, co' panni lunghi e larghi, e con gli scarlatti e co' vai, e con altre assai apparenze grandissime, alle quali come gli effetti succedano anche veggiamo tutto giorno. Tra'quali un maestro Simone da Villa, più ricco di ben paterni che di scienza, non ha gran tempo, vestito di scarlatto e con un gran batalo, dottor di medicine, secondo che egli medesimo diceva, ci ritornò, e prese casa nella via la quale noi oggi chiamiamo la Via del Cocomero. Questo maestro Simone novellamente tornato, sì come è detto, tra gli altri suoi costumi notabili aveva in costume di domandare chi con lui era chi fosse qualunque uomo veduto avesse per via passare; e quasi degli atti degli uomini dovesse le medicine che dar doveva a' suoi infermi comporre, a tutti poneva mente e raccoglievali.

E intra gli altri, alli quali con più efficacia gli vennero gli occhi addosso posti, furono due dipintori dei quali s'è oggi qui due volte ragionato, Bruno e Buffalmacco, la compagnia de' quali era continua, e eran suoi vicini. E parendogli che costoro meno che alcuni altri del mondo curassero e più lieti vivessero, sì come essi facevano, più persone domandò di lor condizione; e udendo da tutti costoro essere poveri uomini e dipintori, gli entrò nel capo non dover potere essere che essi dovessero così lietamente vivere della lor povertà, ma s'avvisò, per ciò che udito avea, che astuti uomini erano, che d'alcuna altra parte non saputa da gli uomini dovesser trarre profitti grandissimi; e per ciò gli venne in disidero di volersi, se esso potesse con amenduni, o con l'uno almeno, dimesticare; e vennegli fatto di prendere dimestichezza con Bruno. E Bruno, conoscendo, in poche di volte che con lui stato era, questo medico essere uno animale, cominciò di lui a avere il più bel tempo del mondo con sue nuove novelle, e il medico similmente cominciò di lui a prendere maraviglioso piacere. E avendolo alcuna volta seco invitato a desinare e per questo credendosi dimesticamente con lui poter ragionare, gli disse la maraviglia che egli si faceva di lui e di Buffalmacco, che, essendo poveri uomini, così lietamente viveano; e pregollo che gli 'nsegnasse come facevano.

Bruno, udendo il medico, e parendogli la domanda dell'altre sue sciocche e dissipite, cominciò a ridere, e pensò di rispondergli secondo che alla sua pecoraggine si convenia, e disse: « Maestro, io nol direi a molte persone come noi facciamo, ma di dirlo a voi, perché siete amico e so che a altrui nol direte, non mi guarderò. Egli è il vero che il mio compagno e io viviamo così lietamente e così bene come vi pare e più; né di nostra arte né d'altro frutto, che noi d'alcune possessioni traiamo, avremmo da poter pagar pur l'acqua che noi logoriamo; né voglio per ciò che voi crediate che noi andiamo a imbolare, ma noi andiamo in corso, e di questo ogni cosa che a noi è di diletto o di bisogno, senza alcun danno d'altrui, tutto traiamo, e da questo viene il nostro viver lieto che voi vedete. »

Il medico udendo questo e, senza saper che si fosse, credendolo, si maravigliò molto; e subitamente entrò in disidero caldissimo di sapere che cosa fosse l'andare in corso; e con grande instanzia il pregò che gliel dicesse, affermandogli che per certo mai a niuna persona il direbbe.

« Omè! » disse Bruno « maestro, che mi domandate voi? Egli è troppo gran segreto quello che voi volete sapere, e è cosa da disfarmi e da cacciarmi del mondo; anzi da farmi mettere in bocca del Lucifero da San Gallo, se altri il risapesse; ma sì è grande l'amor che io porto alla vostra qualitativa mellonaggine da Legnaia, e la fidanza la quale ho in voi, che io non posso negarvi cosa che voi vogliate; e per ciò io il vi dirò con questo patto, che voi per la croce a Montesone mi giurerete che mai, come promesso avete, a niuno il direte. »

Il maestro affermò che non farebbe.

« Dovete adunque, » disse Bruno « maestro mio dolciato, sapere che egli non è ancora guari che in questa città fu un gran maestro in nigromantia, il quale ebbe nome Michele Scotto, per ciò che di Scozia era, e da molti gentili uomini, de' quali pochi oggi son vivi, ricevette grandissimo onore; e volendosi di qui partire, a istanzia de' prieghi loro ci lasciò due suoi soffficienti discepoli, a' quali impose che a ogni piacere di questi cotali gentili uomini, che onorato l'aveano, fossero sempre presti. Costoro adunque servivano i predetti gentili uomini di certi loro innamoramenti e d'altre cosette liberamente; poi, piacendo lor la città e i costumi degli uomini, ci si disposero a voler sempre stare, e preserci di grandi e di strette amistà con alcuni, senza guardare chi essi fossero, più gentili che non gentili, o più ricchi che poveri, solamente che uomini fossero conformi a' lor costumi. E per compiacere a questi così fatti loro amici ordinarono una brigata forse di venticinque uomini, li quali due volte almeno il mese insieme si dovessero ritrovare in alcun luogo da loro ordinato; e qui vi essendo, ciascuno a costoro il suo disidero dice, e essi prestamente per quella notte il forniscono. Co'quali due avendo Buffalmacco e io singulare amistà e dimestichezza, da loro in cotal brigata fummo messi, e siamo. E dicovi così che, qualora egli avvien che noi insieme ci raccogliamo, è maravigliosa cosa a vedere i capoletti intorno alla sala dove mangiamo, e le tavole messe alla reale, e la quantità de' nobili e belli servidori, così femine come maschi, al piacer di ciascuno che è di tal compagnia, e i bacini, gli urciuoli, i fiaschi e le coppe e l'altro vasellamento d'oro e d'argento, ne'quali noi mangiamo e beiamo; e oltre a questo le molte e varie vivande, secondo che ciascun disidera, che recate ci sono davanti ciascheduna a suo tempo. Io non vi potrei mai divisare chenti e quanti sieno i dolci suoni d'infiniti istrumenti e i canti pieni di melodia che vi s'odono; né vi potrei dire quanta sia la cera che vi s'arde a queste cene, né quanti sieno i confetti che vi si con sumano e come sieno preziosi i vini che vi si beono. E non vorrei, zucca mia da sale, che voi credeste che noi stessimo là in questo abito o con questi panni che ci vedete: egli non ve n'è niuno sì cattivo che non vi paresse uno imperadore, sì siamo di cari vestimenti e di belle cose ornati. Ma sopra tutti gli altri piaceri che vi sono, si è quello delle belle donne, le quali subitamente, purché l'uom voglia, di tumo il mondo vi son recate. Voi vedreste quivi la donna dei Barbanicchi, la reina de' Baschi, la moglie del soldano, la imperadrice d'Osbech, la ciancianfera di Norrueca, la semistante di Berlinzone e la scalpedra di Narsia. Che vivo io annoverando? E'vi sono tutte le reine del mondo, io dico infino alla schinchimurra del Presto Giovanni, che ha per me' 'l culo le corna: or vedete oggimai voi! Dove, poi che hanno bevuto e confettato, fatta una danza o due, ciascuna con colui a cui stanzia v'è fatta venire se ne va nel la sua camera. E sappiate che quelle camere paiono un paradiso a veder, tanto son belle; e sono non meno odorifere che sieno i bossoli delle spezie della bottega vostra, quando voi fate pestare il comino, e havvi letti che vi parrebber più belli che quello del doge di Vinegia, e in quegli a riposar se ne vanno. Or che menar di calcole e di tirar le casse a sè per fare il panno serrato faccian le tessitrici, lascerò io pensare pure a voi! Ma tra gli altri che meglio stanno, secondo il parer mio, siam Buffalmacco e io, per ciò che Buffalmacco le più delle volte vi fa venir per sè la reina di Francia, e io per me quella d'Inghilterra, le quali son due pur le più belle donne del mondo; e sì abbiamo saputo fare che elle non hanno altro occhio in capo che noi. Per che da voi medesimo pensar potete se noi possiamo e dobbiamo vivere e andare più che gli altri uomini lieti, pensando che noi abbiamo l'amor di due così fatte reine; senza che, quando noi vogliamo un mille o un dumilia fiorini da loro, noi non gli abbiamo prestamente. E questa cosa chiamiam noi vulgarmente l'andare in corso; per ciò che sì come i corsari tolgono la roba d'ogn'uomo, e così facciam noi; se non che di tanto siam differenti da loro, che eglino mai non la rendono, e noi la rendiamo come adoperata l'abbiamo. Ora avete, maestro mio da bene, inteso ciò che noi diciamo l'andare in corso; ma quanto questo voglia esser segreto voi il vi potete vedere, e per ciò più nol vi dico né ve ne priego. »

Il maestro, la cui scienza non si stendeva forse più oltre che il medicare i fanciulli del lattime, diede tanta fede alle parole di Bruno quanta si saria convenuta a qualunque verità; e in tanto disiderio s'accese di volere essere in questa brigata ricevuto, quanto di qualunque altra cosa più disiderabile si potesse essere acceso. Per la qual cosa a Bruno rispose che fermamente maraviglia non era se lieti andavano; e a gran pena si temperò in riservarsi di richiederlo che essere il vi facesse, infino a tanto che, con più onor fattogli, gli potesse con più fidanza porgere i prieghi suoi. Avendoselo adunque riservato, cominciò più a continuare con lui l'usanza e a averlo da sera e da mattina a mangiar seco e a mostrargli smisurato amore; e era sì grande e sì continua questa loro usanza, che non parea che senza Bruno il maestro potesse né sapesse vivere.

Bruno, parendogli star bene, acciò che ingrato non paresse di questo onor fattogli dal medico, gli aveva dipinto nella sala sua la Quaresima e uno agnusdei all'entrar della camera e sopra l'uscio della via uno orinale, acciò che coloro che avessero del suo consiglio bisogno il sapessero riconoscere dagli altri; e in una sua loggetta gli aveva dipinta la battaglia dei topi e delle gatte, la quale troppo bella cosa pareva al medico. E oltre a questo diceva alcuna volta al maestro, quando con lui non avea cenato: « Stanotte fu' io alla brigata, e essendomi un poco la reina d'Inghilterra rincresciuta, mi feci venire la gumedra del gran can d'Altarisi. »

Diceva il maestro: « Che vuol dire gumedra? Io non gli intendo questi nomi. »

« O maestro mio, » diceva Bruno « io non me ne maraviglio, ché io ho bene udito dire che Porcograsso e Vannaccena non ne dicon nulla. »

Disse il maestro: « Tu vuoi dire Ipocrasso e Avicenna. »

Disse Bruno: « Gnaffe! io non so; io m'intendo così male de' vostri nomi come voi de' miei; ma la gumedra in quella lingua del gran Cane vuol tanto dire quanto imperadrice nella nostra. O ella vi parrebbe la bella feminaccia! Ben vi so dire che ella vi farebbe dimenticare le medicine e gli argomenti e ogni impiastro. »

E così dicendogli alcuna volta per più accenderlo, avvenne che, parendo a messer lo maestro una sera a vegghiare, parte che il lume teneva a Bruno che la battaglia de' topi e delle gatte dipignea, bene averlo co' suoi onori preso, che egli si dispose d'aprirgli l'animo suo; e soli essendo, gli disse: « Bruno, come Idio sa, egli non vive oggi alcuna persona per cui io facessi ogni cosa come io farei per te; e per poco, se tu mi dicessi che io andassi di qui a Peretola, io credo che io v'andrei; e per ciò non voglio che tu ti maravigli se io te dimesticamente e a fidanza richiederò. Come tu sai, egli non è guari che tu mi ragionasti de' modi della vostra lieta brigata, di che sì gran disiderio d'esserne m'è venuto, che mai niuna altra cosa si disiderò tanto. E. questo non è senza cagione, come tu vedrai se mai avviene che io ne sia; ché infino a ora voglio io che tu ti facci beffe di me se io non vi fo venire la più bella fante che tu vedessi già è buona pezza, che io vidi pur l'altr'anno a Cacavincigli, a cui io voglio tutto il mio bene; e per lo corpo di Cristo che io le volli dare dieci bolognini grossi, e ella mi s'acconsentisse, e non volle. E però quanto più posso ti priego che m'insegni quello che io abbia a fare per dovervi potere essere, e che tu ancora facci e adoperi che io vi sia; e nel vero voi avrete di me buono e fedel compagno e orrevole. Tu vedi innanzi innanzi come io sono bello uomo e come mi stanno bene le gambe in su la persona, e ho un viso che pare una rosa, e oltre a ciò son dottore di medicine, che non credo che voi ve n'abbiate niuno; e so di molte belle cose e di belle canzonette, e vo'tene dire una »; e di botto incominciò a cantare.

Bruno aveva sì gran voglia di ridere che egli in sè medesimo non capeva; ma pur si tenne. E finita la canzone, e 'l maestro disse: « Che te ne pare? »

Disse Bruno: « Per certo con voi perderieno le cetere de' sagginali, sì artagoticamente stracantate. »

Disse il maestro: « Io dico che tu non l'avresti mai creduto, se tu non m'avessi udito. »

« Per certo voi dite vero » disse Bruno.

Disse il maestro: « Io so bene anche dell'altre, ma lasciamo ora star questo. Così fatto come tu mi vedi, mio padre fu gentile uomo, benché egli stesse in contado, e io altressì son nato per madre di quegli da Vallecchio; e, come tu hai potuto vedere, io ho pure i più be'libri e le più belle robe che medico di Firenze. In fè di Dio, io ho roba che costò, contata ogni cosa, delle lire presso a cento di bagattini, già è degli anni più di dieci. Per che quanto più posso ti priego che facci che io ne sia; e in fè di Dio, se tu il fai, sie pure infermo se tu sai, che mai di mio mestiere io non ti torrò un denaio. »

Bruno, udendo costui, e parendogli, sì come altre volte assai paruto gli era, un lavaceci, disse: « Maestro, fate un poco il lume più qua, e non v'incresca infin tanto che io abbia fatte le code a questi topi, e poi vi risponderò. »

Fornite le code, e Bruno faccendo vista che forte la petizion gli gravasse, disse: « Maestro mio, gran cose son quelle che per me fareste, e io il conosco; ma tuttavia quella che a me addimandate, quantunque alla grandezza del vostro cervello sia piccola, pure è a me grandissima, né so alcuna persona del mondo per cui io potendo la mi facessi, se io non la facessi per voi, sì perché v'amo quanto si conviene, e sì per le parole vostre le quali son condite di tanto senno che trarrebbono le pinzochere degli usatti, non che me del mio proponimento; e quanto più uso con voi, più mi parete savio. E dicovi ancora così, che se altro non mi vi facesse voler bene, sì vi vo'bene perché veggio che innamorato siete di così bella cosa come diceste. Ma tanto vi vo'dire: io non posso in queste cose quello che voi avvisate, e per questo non posso per voi quello che bisognerebbe adoperare; ma, ove voi mi promettiate sopra la vostra grande e calterita fede di tenerlomi credenza, io vi darò il modo che a tenere avrete; e parmi esser certo che, avendo voi così be'libri e l'altre cose che di sopra dette m'avete, che egli vi verrà fatto. »

A cui il mastro disse: « Sicuramente di': io veggio che tu non mi conosci bene e non sai ancora come io so tenere segreto. Egli erano poche cose che messer Gasparuolo da Saliceto facesse, quando egli era giudice della podestà di Forlimpopoli, che egli non me le mandasse a dire, perché mi trovava così buon segretaro. E vuoi vedere se io dico vero? Io fui il primaio uomo a cui egli dicesse che egli era per isposare la Bergamina: vedi oggimai tu! »

« Or bene sta dunque: » disse Bruno « se cotestui se ne fidava, ben me ne posso fidare io. Il modo che voi avrete a tener fia questo. Noi sì abbiamo a questa nostra brigata un capitano con due consiglieri, li quali di sei in sei mesi si mutano; e senza fallo a calendi sarà capitano Buffalmacco e io consigliere, e così è fermato; e chi è capitano può molto in mettervi e far che messo vi sia chi egli vuole; e per ciò a me parrebbe che voi, in quanto voi poteste, prendeste la dimestichezza di Buffalmacco e facestegli onore. Egli è uomo che, veggendovi così savio, s'innamorerà di voi incontanente, e quando voi l'avrete col senno vostro e con queste buone cose che avete un poco dimesticato, voi il potrete richiedere: egli non vi saprà dir di no. Io gli ho già ragionato di voi, e vuolvi il meglio del mondo; e quando voi avrete fatto così, lasciate far me con lui. »

Allora disse il maestro: « Troppo mi piace ciò che tu ragioni; e se egli è uomo che si diletti de' savi uomini, e favellami pure un poco, io farò ben che egli m'andrà sempre cercando, per ciò che io n'ho tanto del senno, che io ne potrei fornire una Città. e rimarrei savissimo. »

Ordinato questo, Bruno disse ogni cosa a Buffalmacco per ordine; di che a Buffalmacco parea mille anni di dovere essere a far quello che questo maestro Scipa andava cercando. Il medico che oltre modo disiderava d'andare in corso, non mollò mai che egli divenne amico di Buffalmacco, il che agevolmente gli venne fatto; e cominciogli a dare le più belle cene e i più belli desinari del mondo, e a Bruno con lui altressì; e essi si carapignavano, come que' signori, li quali sentendogli bonissimi vini e di grossi capponi e altre buone cose assai, gli si tenevano assai di presso, e senza troppi inviti, dicendo sempre che con uno altro ciò non farebbono, si rimanevan con lui.

Ma pure, quando tempo parve al maestro, sì come Bruno aveva fatto, così Buffalmacco richiese. Di che Buffalmacco si mostrò molto turbato e fece a Bruno un gran romore in testa, dicendo: « Io fo boto all'alto Dio da Passignano che io mi tengo a poco che lo non ti do tale in su la testa, che il naso ti caschi nelle calcagna traditor che tu se', ché altri che tu non ha queste cose manifestate al maestro. »

Ma il maestro lo scusava forte, dicendo e giurando sè averlo d'altra parte saputo; e dopo molte delle sue savie parole pure il paceficò.

Buffalmacco rivolto al maestro disse: « Maestro mio, egli si par bene che voi siete stato a Bologna, e che voi infino in questa terra abbiate recata la bocca chiusa; e ancora vi dico più, che voi non apparaste miga l'abbiccì in su la mela, come molti sciocconi voglion fare, anzi l'apparaste bene in sul mellone, ch'è così lungo; e se io non m'inganno, voi foste battezzato in domenica. E come che Bruno m'abbia detto che voi studiaste là in medicine, a me pare che voi studiaste in apparare a pigliar uomini; il che voi, meglio che altro uomo che io vidi mai, sapete fare con vostro senno e con vostre novelle. »

Il medico, rompendogli la parola in bocca, verso Brun disse: « Che cosa è a favellare e a usare co' savi! Chi avrebbe così tosto ogni particularità compresa del mio sentimento, come ha questo valente uomo? Tu non te ne avvedesti miga così tosto tu di quel che io valeva, come ha fatto egli; ma di'almeno quello che io ti dissi quando tu mi dicesti che Buffalmacco si dilettava de' savi uomini: parti che io l'abbia fatto? »

Disse Bruno: « Meglio. »

Allora il maestro disse a Buffalmacco: « Altro avresti detto se tu m'avessi veduto a Bologna, dove non era niuno grande né piccolo, né dottore né scolare, che non mi volesse il meglio del mondo, sì tutti gli sapeva appagare col mio ragionare e col senno mio. E dirotti più, che io. non vi dissi mai parola che io non facessi ridere ogn'uomo, sì forte piaceva loro; e quando io me ne partii, fecero tutti il maggior pianto del mondo, e volevano tutti che io vi pur rimanessi; e fu a tanto la cosa perch'io vi stessi, che vollono lasciare a me solo che io leggessi, a quanti scolari v'aveva, le medicine; ma io non volli, ché io era pur disposto a venir qua a grandissime eredità che io ci ho, state sempre di quei di casa mia, e così feci. »

Disse allora Bruno a Buffalmacco: « Che ti pare? Tu nol mi credevi, quando io il ti diceva. Alle guagnele! Egli non ha in questa terra medico che s'intenda d'orina d'asino a petto a costui, e fermamente tu non ne troverresti un altro di qui alle porti di Parigi de' così fatti. Va, tienti oggimai tu di non fare ciò ch'e'vuole! »

Disse il medico: « Brun dice il vero, ma io non ci sono conosciuto. Voi siete anzi gente grossa che no; ma io vorrei che voi mi vedeste tra' dottori, come io soglio stare. »

Allora disse Buffalmacco: « Veramente, maestro, voi le sapete troppo più che io non avrei mai creduto; di che io, parlandovi come si vuole parlare a' savi come voi siete, frastagliatamente vi dico che io procaccerò senza fallo che voi di nostra brigata sarete. »

Gli onori dal medico fatti a costoro appresso questa promessa multiplicarono; laonde essi, godendo, gli facevan cavalcar la capra delle maggiori sciocchezze del mondo, e impromisongli di dargli per donna la contessa di Civillari, la quale era la più bella cosa che si trovasse in tutto il culattario dell'umana generazione.

Domandò il medico chi fosse questa contessa; al quale Buffalmacco disse: « Pinca mia da seme, ella è una troppo gran donna, e poche case ha per lo mondo, nelle quali ella non abbia alcuna giurisdizione; e non che altri, ma i frati minori a suon di nacchere le rendon tributo. E sovvi dire, che quando ella va dattorno, ella si fa ben sentire, benché ella stea il più rinchiusa; ma non ha per ciò molto che ella vi passò innanzi all'uscio, una notte che andava a Arno a lavarsi i piedi e per pigliare un poco d'aria; ma la sua più continua dimora è in Laterina. Ben vanno per ciò de' suoi sergenti spesso dattorno, e tutti a dimostrazion della maggioranza di lei portano la verga e 'l piombino. De' suoi baron si veggon per tutto assai, sì come è il Tamagnin del la porta, don Meta, Manico di Scopa, lo Squacchera e altri, li quali vostri dimestici credo che sieno, ma ora non ve ne ricordate. A così gran donna adunque, lasciata star quella da Cacavincigli, se 'l pensier non c'inganna, vi metteremo nelle dolci braccia. »

Il medico, che a Bologna nato e cresciuto era, non intendeva i vocaboli di costoro, per che egli della donna si chiamò per contento. Nè guari dopo queste novelle gli recarono i dipintori che egli era per ricevuto. E venuto il dì che la notte seguente si dovean ragunare, il maestro gli ebbe amenduni a desinare, e desinato ch'egli ebbero, gli domandò che modo gli conveniva tenere a venire a questa brigata; al quale Buffalmacco disse: « Vedete, maestro, a voi conviene esser molto sicuro, per ciò che, se voi non foste molto sicuro, voi potreste ricevere impedimento e fare a noi grandissimo danno; e quello a che egli vi conviene esser molto sicuro, voi l'udirete. A voi si convien trovar modo che voi siate stasera in sul primo sonno in su uno di quegli avelli rilevati che poco tempo ha si fecero di fuori a Santa Maria Novella, con una delle più belle vostre robe in dosso, acciò che voi per la prima volta compariate orrevole dinanzi alla brigata, e sì ancora per ciò che (per quello che detto ne fosse, ché non vi fummo noi poi), per ciò che voi siete gentile uomo, la contessa intende di farvi cavaliere bagnato alle sue spese; e quivi v'aspettate tanto, che per voi venga colui che noi manderemo. E acciò che voi siate d'ogni cosa informato, egli verrà per voi una bestia nera e cornuta, non molto grande, e andrà faccendo per la piazza dinanzi da voi un gran sufolare e un gran saltare per ispaventarvi; ma poi, quando vedrà che voi non vi spaventiate, ella vi s'accosterà pianamente; quando accostata vi si sarà, e voi allora senza alcuna paura scendete giù dello avello, e, senza ricordare o Idio o'santi, vi salite suso, e come suso vi siete acconcio, così, a modo che se steste cortese, vi recate le mani al petto, senza più toccar la bestia. Ella allora soavemente si moverà e recherravverle a noi; ma infino a ora, se voi ricordaste o Idio o'santi, o aveste paura, vi dich'io che ella vi potrebbe gittare o percuotere in parte che vi putirebbe. E per ciò, se non vi dà il cuore d'esser ben sicuro, non vi venite, ché voi fareste danno a voi, senza fare a voi pro niuno. »

Allora il medico disse: « Voi non mi conoscete ancora: voi guardate forse per ché io porto i guanti in mano e'panni lunghi. Se voi sapeste quello che io ho già fatto di notte a Bologna, quando io andava talvolta co' miei compagni alle femine, voi vi maravigliereste. In fè di Dio egli fu tal notte che, non volendone una venir con noi (e era una tristanzuola, ch'è peggio, che non era alta un sommesso), io le diedi in prima di molte pugna, poscia, presala di peso, credo che io la portassi presso a una balestrata, e pur convenne, sì feci, che ella ne venisse con noi. E un'altra volta mi ricorda che io, senza esser meco altri che un mio fante, colà un poco dopo l'avemaria passai allato al cimitero de' frati minori, e eravi il dì stesso stata sotterrata una femina, e non ebbi paura niuna; e per ciò di questo non vi sfidate; ché sicuro e gagliardo son io troppo. E dicovi che io, per venirvi bene orrevole, mi metterò la roba mia dello scarlatto con la quale io fui con ventato, e vedrete se la brigata si rallegrerà quando mi vedrà, e se io sarò fatto a mano a man capitano. Vedrete pure come l'opera andrà quando io vi sarò stato, da che, non avendomi ancor quella contessa veduto, ella s'è sì innamorata di me che ella mi vol fare cavalier bagnato; e forse che la cavalleria mi starà così male, e saprolla così mal mantenere o pur bene? Lascerete pur far me! »

Buffalmacco disse: « Troppo dite bene, ma guardate che voi non ci faceste la beffa, e non vi veniste o non vi foste trovato quando per voi manderemo; e questo dico per ciò che egli fa freddo, e voi signor medici ve ne guardate molto. »

« Non piaccia a Dio! » disse il medico « io non sono di questi assiderati; io non curo freddo; poche volte è mai che io mi levi la notte così per bisogno del corpo, come l'uom fa talvolta, che io mi metta altro che il pilliccione mio sopra il farsetto; e per ciò io vi sarò fermamente. »

Partitisi adunque costoro, come notte si venne faccendo, il maestro trovò sue scuse in casa con la moglie, e trattane celatamente la sua bella roba, come tempo gli parve, messalasi in dosso, se n'andò sopra uno de' detti avelli; e sopra quegli marmi ristrettosi, essendo il freddo grande, cominciò a aspettar la bestia. Buffalmacco, il quale era grande e atante della persona, ordinò d'avere una di queste maschere che usare si soleano a certi giuochi li quali oggi non si fanno, e messosi in dosso un pilliccion nero a rovescio, in quello s'acconciò in guisa che pareva pure uno orso; se non che la maschera aveva viso di diavolo e era cornuta. E così acconcio, venendoli Bruno appresso per vedere come l'opera andasse, se n'andò nella piazza nuova di Santa Maria Novella. E come egli si fu accorto che messer lo maestro v'era, così cominciò a saltabellare e a fare un nabissare grandissimo su per la piazza, e a sufolare e a urlare e a stridere a guisa che se imperversato fosse.

Il quale come il maestro sentì e vide, così tutti i peli gli s'arricciarono addosso, e tutto cominciò a tremare, come colui che era più che una femina pauroso; e fu ora che egli vorrebbe essere stato innanzi a casa sua che quivi. Ma non per tanto pur, poi che andato v'era, si sforzò d'assicurar si, tanto il vinceva il disidero di giugnere a vedere le maraviglie dettegli da costoro. Ma poi che Buffalmacco ebbe alquanto imperversato, come è detto, faccendo sembianti di rappacificarsi, s'accostò allo avello sopra il quale era il maestro, e stette fermo. Il maestro, sì come quegli che tutto tremava di paura, non sapeva che farsi, se su vi salisse o se si stesse. Ultimamente, temendo non gli facesse male se su non vi salisse, con la seconda paura cacciò la prima, e sceso dello avello, pianamente dicendo, « Idio m'aiuti, » su vi salì, e acconciossi molto bene, e sempre tremando tutto si recò con le mani a star cortese, come detto gli era stato.

Allora Buffalmacco pianamente s'incominciò a dirizzare verso Santa Maria della Scala, e andando carpone infin presso le donne di Ripole il condusse. Erano allora per quella contrada fosse, nelle quali i lavoratori di que'campi facevan votare la contessa di Civillari, per ingrassare i campi loro. Alle quali come Buffalmacco fu vicino, accostatosi alla proda d'una e preso tempo, messa la mano sotto all'un de' piedi del medico e con essa sospintolsi da dosso, di netto col capo innanzi il gittò in essa, e cominciò a ringhiare forte e a saltare e a imperversare e a andarsene lungo Santa Maria della Scala verso il prato d'Ognissanti, dove ritrovò Bruno che per non poter tener le risa fuggito s'era; e amenduni festa faccendosi, di lontano si misero a veder quello che il medico impastato facesse. Messer lo medico, sentendosi in questo luogo così abominevole, si sforzò di rilevare e di volersi aiutare per uscirne, e ora in qua e ora in là ricadendo, tutto dal capo al piè impastato, dolente e cattivo, avendone alquante dramme ingozzate, pur n'uscì fuori e lasciovvi il cappuccio; e, spastandosi con le mani come poteva il meglio, non sappiendo che altro consiglio pigliarsi, se ne tornò a casa sua, e picchiò tanto che aperto gli fu.

Nè prima, essendo egli entrato dentro così putente, fu l'uscio riserrato, che Bruno e Buffalmacco furono ivi, per udire come il maestro fosse dalla sua donna raccolto. Li qua li stando a udir, sentirono alla donna dirgli la maggior villania che mai si dicesse a niun tristo, dicendo: « Deh, come ben ti sta! Tu eri ito a qualche altra femina, e volevi comparire molto orrevole con. la roba dello scarlatto. Or non ti bastava io? Frate, io sarei sofficiente a un popolo, non che a te. Deh, or t'avessono essi affogato, come essi ti gittarono là dove tu eri degno d'esser gittato. Ecco medico onorato, aver moglie e andar la notte alle femine altrui! » E con quelle e con altre assai parole, faccendosi il medico tutto lavare, infino alla mezza notte non rifinò la donna di tormentarlo.

Poi la mattina vegnente Bruno e Buffalmacco, avendosi tutte le carni dipinte soppanno di lividori a guisa che far sogliono le battiture, se ne vennero a casa del medico, e trovaron lui già levato; e entrati dentro a lui, sentirono ogni cosa putirvi; ché ancora non s'era sì ogni cosa potuta nettare, che non vi putisse. E sentendo il medico costor venire a lui, si fece loro incontro, dicendo che Idio desse loro il buon dì. Al quale Bruno e Buffalmacco, sì come proposto aveano, risposero con turbato viso: « Questo non diciam noi a voi, anzi preghiamo Idio che vi dea tanti malanni che voi siate morto a ghiado, sì come il più disleale e il maggior traditor che viva; per ciò che egli non è rimaso per voi, ingegnandoci noi di farvi onore e piacere, che noi non siamo stati morti come cani. E per la vostra dislealtà abbiamo stanotte avute tante busse, che di meno andrebbe uno asino a Roma; senza che noi siamo stati a pericolo d'essere stati cacciati della compagnia nella quale noi avavamo ordinato di farvi ricevere. E se voi non ci credete, ponete mente le carni nostre come elle stanno. » E a un cotal barlume apertisi i panni dinanzi, gli mostrarono i petti loro tutti dipinti, e richiusongli senza indugio.

Il medico si volea scusare e dir delle sue sciagure, e come e dove egli era stato gittato. Al quale Buffalmacco disse: « Io vorrei che egli v'avesse gittato dal ponte in Arno: perché ricordavate voi o Dio o'santi? Non vi fu egli detto dinanzi? »

Disse il medico: « In fè di Dio non ricordava. »

« Come » disse Buffalmacco « non ricordavate! Voi ve ne ricordate molto, ché ne disse il messo nostro che voi tremavate come verga, e non sapavate dove voi vi foste. Or voi ce l'avete ben fatta; ma mai più persona non la ci farà, e a voi ne faremo ancora quello onore che vi se ne conviene. »

Il medico cominciò a chieder perdono, e a pregargli per Dio che nol dovessero vituperare; e con le miglior parole che egli potè, s'ingegnò di pacificargli. E per paura che essi questo suo vitupero non palesassero, se da indi a dietro onorati gli avea, molto più gli onorò e careggiò con conviti e altre cose da indi innanzi. Così adunque, come udito avete, senno s'insegna a chi tanto non n'apparò a Bologna. --



NOVELLA DECIMA

Una ciciliana maestrevolmente toglie a un mercatante ciò che in Palermo ha portato; il quale, sembiante faccendo d'esservi tornato con molta più mercatantia che prima, da lei accattati denari, le lascia acqua e capecchio.

Quanto la novella della reina in diversi luoghi facesse le donne ridere, non è da domandare: niuna ve n'era a cui per soperchio riso non fossero dodici volte le lagrime venute in su gli occhi. Ma poi che ella ebbe fine, Dioneo, che sapeva che a lui toccava la volta, disse:

-- Graziose donne, manifesta cosa è tanto più l'arti piacere, quanto più sottile artefice è per quelle artificiosamente beffato. E per ciò, quantunque bellissime cose tutte raccontate abbiate, io intendo dl raccontarne una? tanto più che alcuna altra dettane da dovervi aggradire, quanto colei che beffata fu era maggior maestra di beffare altrui, che alcuno altro beffato fosse di quegli o di quelle che avete contate.

Soleva essere, e forse che ancora oggi è, una usanza in tutte le terre marine che hanno porto, così fatta, che tutti i mercatanti che in quelle con mercatantie capitano, faccendole scaricare, tutte in un fondaco il quale in molti luoghi è chiamato dogana, tenuta per lo comune o per lo signor della terra, le portano. E quivi, dando a coloro che sopra ciò sono per iscritto tutta la mercatantia e il pregio di quella, è dato per li detti al mercatante un magazzino, nel quale esso la sua mercatantia ripone e serralo con la chiave; e li detti doganieri poi scrivono in sul libro della dogana a ragione del mercatante tutta la sua mercatantia, faccendosi poi del lor diritto pagare al mercatante, o per tutta o per parte della mercatantia che egli della dogana traesse. E da questo libro della dogana assai volte s'informano i sensali e delle qualità e delle quantità delle mercatantie che vi sono, e ancora chi sieno i mercatanti che l'hanno, con li quali poi essi, secondo che lor cade per mano, ragionano di cambi, di baratti e di vendite e d'altri spacci.

La quale usanza, sì come in molti altri luoghi, era in Palermo in Cicilia, dove similmente erano e ancor sono assai femine del corpo bellissime, ma nimiche della onestà; le quali, da chi non le conosce, sarebbono e son tenute grandi e onestissime donne. E essendo, non a radere, ma a scorticare uomini date del tutto, come un mercatante forestiere riveggono, così dal libro della dogana s'informano di ciò che egli v'ha e di quanto può fare; e appresso con lor piacevoli e amorosi atti e con parole dolcissime questi cotali mercatanti s'ingegnano d'adescare e di trarre nel loro amore; e già molti ve n'hanno tratti, a' quali buona parte della lor mercatantia hanno delle mani tratta, e d'assai tutta; e di quelli vi sono stati che la mercatantia e 'navilio e le polpe e l'ossa lasciate v'hanno, sì ha soavemente la barbiera saputo menare il rasoio.

Ora, non è ancora molto tempo, avvenne che quivi, da' suoi maestri mandato, arrivò un giovane nostro fiorentino detto Nicolò da Cignano, come che Salabaetto fosse chiamato, con tanti pannilani che alla fiera di Salerno gli erano avanzati, che potevan valere un cinquecento fiorin d'oro; e dato il legaggio di quegli a' doganieri, gli mise in un magazzino, e senza mostrar troppo gran fretta dello spaccio, s'incominciò a andare alcuna volta a sollazzo per la terra. E essendo egli bianco e biondo e leggiadro molto, e standogli ben la vita, avvenne che una di queste barbiere, che si faceva chiamare madonna Iancofiore, avendo alcuna cosa sentita de' fatti suoi, gli pose l'occhio addosso. Di che egli accorgendosi, estimando che ella fosse una gran donna, s'avvisò che per la sua bellezza le piacesse, e pensossi di volere molto cautamente menar questo amore; e senza dirne cosa alcuna a persona, incominciò a far le passate dinanzi alla casa di costei. La quale accortasene, poi che alquanti dì l'ebbe ben con gli occhi acceso, mostrando ella di consumarsi per lui, segretamente gli mandò una sua femina la quale ottimamente l'arte sapeva del ruffianesimo. La quale, quasi con le lagrime in su gli occhi, dopo molte novelle, gli disse che egli con la bellezza e con la piacevolezza sua aveva sì la sua donna presa, che ella non trovava luogo né dì né notte; e per ciò, quando a lui piacesse, ella disiderava più che altra cosa di potersi con lui a un bagno segretamente trovare; e appresso questo, trattosi uno anello dì borsa, da parte della sua donna gliele donò. Salabaetto, udendo questo, fu il più lieto uomo che mai fosse, e preso l'anello e fregatoselo agli occhi e poi baciatolo sel mise in dito, e rispose alla buona femina che, se madonna Iancofiore l'amava, che ella n'era ben cambiata, per ciò che egli amava più lei che la sua propia vita, e che egli era disposto d'andare dovunque a lei fosse a grado, e a ogn'ora.

Tornata adunque la messaggiera alla sua donna con questa risposta, a Salabaetto fu a mano a man detto a qual bagno il dì seguente passato vespro la dovesse aspettare; il quale, senza dirne cosa del mondo a persona, prestamente all'ora impostagli v'andò, e trovò il bagno per la donna esser preso. Dove egli non stette guari che due schiave venner cariche: l'una aveva un materasso di bambagia bello e grande in capo, e l'altra un grandissimo paniere pien di cose; e steso questo materasso in una camera del bagno sopra una lettiera, vi miser su un paio di lenzuola sottilissime listate di seta, e poi una coltre di bucherame cipriana bianchissima con due origlieri lavorati a maraviglie. E appresso questo spogliatesi e entrate nel bagno, quello tutto lavarono e spazzarono ottima mente. Né stette guari che la donna con due sue altre schiave appresso al bagno venne; dove ella, come prima ebbe agio, fece a Salabaetto grandissima festa; e dopo i maggiori sospiri del mondo, poi che molto e abbracciato e baciato l'ebbe, gli disse: « Non so chi mi s'avesse a questo potuto conducere, altro che tu; tu m'hai miso lo foco all'arma, toscano acanino. »

Appresso questo, come a lei piacque, ignudi amenduni se n'entrarono nel bagno, e con loro due delle schiave. Quivi, senza lasciargli por mano addosso a altrui,. ella medesima con sapone moscoleato e con garofanato maravigliosamente e bene tutto lavò Salabaetto; e appresso sé fece e lavare e strapicciare alle schiave. E fatto questo, recaron le schiave de lenzuoli bianchissimi e sottili, de' quali veniva sì grande odor di rose che ciò che v'era pareva rose; e l'una inviluppò nell'uno Salabaetto e l'altra nell'altro la donna, e in collo levatigli, amenduni nel letto fatto ne gli portarono. E quivi, poi che di sudare furono restati, dalle schiave fuor di que'lenzuoli tratti, rimasono ignudi negli altri. E tratti del paniere oricanni d'ariento bellissimi e pieni qual d'acqua rosa, qual d'acqua di fior d'aranci, qual d'acqua di fior di gelsomino e qual d'acqua nanfa, tutti costoro di queste acque spruzzano; e appresso tratte fuori scatole di confetti e preziosissimi vini, alquanto si confortarono. A Salabaetto pareva essere in paradiso, e mille volte aveva riguardata costei, la quale era per certo bellissima, e cento anni gli pareva ciascuna ora che queste schiave se n'andassero e che egli nelle braccia di costei si ritrovasse. Le quali poi che per comandamento della donna, lasciato un torchietto acceso nella camera, andate se ne furono fuori, costei abbracciò Salabaetto e egli lei, e con grandissimo piacer di Salabaetto, al quale pareva che costei tutta si struggesse per suo amore, dimorarono una lunga ora.

Ma poi che tempo parve di levarsi alla donna, fatte venire le schiave, si vestirono, e un'altra volta bevendo e confettando si riconfortarono alquanto, e il viso e le mani di quelle acque odorifere lavatisi e volendosi partire, disse la donna a Salabaetto: « Quando a te fosse a grado, a me sarebbe grandissima grazia che questa sera te ne venissi a cenare e a albergo meco. »

Salabaetto, il qual già e dalla bellezza e dalla artificiosa piacevolezza di costei era preso, credendosi fermamente da lei essere come il cuor del corpo amato, rispose: « Madonna, ogni vostro piacere m'è sommamente a grado, e per ciò e istasera e sempre intendo di far quello che vi piacerà e che per voi mi fia comandato. »

Tornatasene adunque la donna a casa, e fatta bene di sue robe e di suoi arnesi ornar la camera sua, e fatto splendidamente far da cena, aspettò Salabaetto. Il quale, come alquanto fu fatto oscuro, là se n'andò, e lietamente ricevuto, con gran festa e ben servito cenò. Poi, nella camera entratisene, sentì quivi maraviglioso odore di legno aloè, e d'uccelletti cipriani vide il letto ricchissimo, e molte belle robe su per le stanghe. Le quali cose tutte insieme, e ciascuna per sé, gli fecero stimare costei dovere essere una grande e ricca donna. E quantunque in contrario avesse della vita di lei udito bucinare, per cosa del mondo nol voleva credere; e se pure alquanto ne credeva lei già alcuno aver beffato, per cosa del mondo non poteva credere questo dovere a lui intervenire. Egli giacque con grandissimo suo piacere la notte con essolei, sempre più accendendosi.

Venuta la mattina, ella gli cinse una bella e leggiadra cinturetta d'argento con una bella bora, e sì gli disse: « Salabaetto mio dolce, io mi ti raccomando; e così come la mia persona è al piacer tuio, così è ciò che ci è e ciò che per me si può è allo comando tuio. » Salabaetto, lieto abbracciatala e baciatala, s'uscì di casa costei e vennesene là dove usavano gli altri mercatanti.

E usando una volta e altra con costei senza costargli cosa del mondo, e ogni ora più invescandosi, avvenne che egli vendé i panni suoi a contanti e guadagnonne bene; il che la buona donna non da lui, ma da altrui sentì incontanente; e essendo Salabaetto da lei andato una sera, costei incominciò a cianciare e a ruzzare con lui, a baciarlo e abbracciarlo, mostrandosi sì forte di lui infiammata, che pareva che ella gli volesse d'amor morir nelle braccia; e volevagli pur donare due bellissimi nappi d'argento che ella aveva, li quali Salabaetto non voleva torre, sì come colui che da lei tra una volta e altra aveva avuto quello che valeva ben trenta fiorin d'oro, senza aver potuto fare che ella da lui prendesse tanto che valesse un grosso. Alla fine, avendol costei bene acceso col mostrar sé accesa e liberale, una delle sue schiave, sì come ella aveva ordinato, la chiamò; per che ella, uscita della camera e stata alquanto, tornò dentro piagnendo, e sopra il letto gittatasi boccone, cominciò a fare il più doloroso lamento che mai facesse femina.

Salabaetto, maravigliandosi, la si recò in braccio, e cominciò a piagner con lei e a dire: « Deh, cuor del corpo mio, che avete voi così subitamente? Che è la cagione di questo dolore? Deh! ditemelo, anima mia. »

Poi che la donna s'ebbe assai fatta pregare, e ella disse: « Oimè, signor mio dolce, io non so né che mi far né che mi dire! Io ho testé ricevute lettere da Messina, e scrivemi mio fratello, che, se io dovessi vendere e impegnare ciò che ci è, che senza alcun fallo io gli abbia fra qui e otto dì mandati mille fiorin d'oro, se non che gli sarà tagliata la testa; e io non so quello che io mi debba fare, che io gli possa così prestamente avere; ché, se io avessi spazio pur quindici dì, io troverrei modo d'accivirne d'alcun luogo donde io ne debbo avere molti più, o io venderei alcuna delle nostre possessioni; ma, non potendo, io vorrei esser morta prima che quella mala novella mi venisse. » E detto questo, forte mostrandosi tribolata, non restava di piagnere.

Salabaetto, al quale l'amorose fiamme avevan gran parte del debito conoscimento tolto, credendo quelle verissime lagrime e le parole ancor più vere, disse: « Madonna, io non vi potrei servire di mille, ma di cinquecento fiorin d'oro sì bene, dove voi crediate potermegli rendere di qui a quindici dì; e questa è vostra ventura che pure ieri mi vennero venduti i panni miei, ché, se così non fosse, io non vi potrei prestare un grosso. »

« Oimè! » disse la donna « dunque hai tu patito disagio di denari? O perché non me ne richiedevi tu? Perché io non n'abbia mille, io ne aveva ben cento e anche dugento da darti: tu m'hai tolta tutta la baldanza da dovere da te ricevere il servigio che tu mi profferi. »

Salabaetto, vie più che preso da queste parole, disse: « Madonna, per questo non voglio io che voi lasciate; ché, se fosse così bisogno a me come egli fa a voi, io v'avrei ben richesta. »

« Oimè! » disse la donna « Salabaetto mio, ben conosco che il tuo è vero e perfetto amore verso di me, quando, senza aspettar d'esser richiesto di così gran quantità di moneta, in così fatto bisogno liberamente mi sovvieni. E per certo io era tutta tua senza questo, e con questo sarò molto maggior mente; né sarà mai che io non riconosca da te la testa di mio fratello. Ma sallo Idio che io mal volentier gli prendo, considerando che tu se'mercatante, e i mercatanti fanno co' denari tutti i fatti loro; ma per ciò che il bisogno mi strigne e ho ferma speranza di tosto rendergliti, io gli pur prenderò, e per l'avanzo, se più presta via non troverrò, impegnerò tutte queste mie case »; e così detto lagrimando, sopra il viso di Salabaetto si lasciò cadere. Salabaetto la cominciò a confortare; e stato la notte con lei, per mostrarsi bene liberalissimo suo servidore, senza alcuna richiesta di lei aspettare, le portò cinquecento be'fiorin d'oro, li quali ella, ridendo col cuore e piagnendo con gli occhi, prese, attenendosene Salabaetto alla sua semplice promessione.

Come la donna ebbe i denari, così s'incominciarono le 'ndizioni a mutare; e dove prima era libera l'andata alla donna ogni volta che a Salabaetto era in piacere, così incominciaron poi a sopravvenire delle cagioni, per le quali non gli veniva delle sette volte l'una fatto il potervi entrare, né quel viso né quelle carezze né quelle feste più gli eran fatte che prima. E passato d'un mese e di due il termine, non che venuto, al quale i suoi danari riaver dovea, richiedendogli, gli eran date parole in pagamento. Laonde, avvedendosi Salabaetto dell'arte della malvagia femina e del suo poco senno, e conoscendo che di lei niuna cosa più che le si piacesse di questo poteva dire, sì come colui che di ciò non aveva né scritta né testimonio, e vergognandosi di ramarricarsene con alcuno, sì perché n'era stato fatto avveduto dinanzi, e sì per le beffe le quali meritamente della sua bestialità n'aspettava, dolente oltre modo, seco medesimo la sua sciocchezza piagnea. E avendo da' suoi maestri più lettere avute che egli quegli denari cambiasse e mandassegli loro; acciò che, non faccendolo egli, quivi non fosse il suo difetto scoperto, diliberò di partirsi; e in su un legnetto montato, non a Pisa, come dovea, ma a Napoli se ne venne.

Era quivi in quei tempi nostro compar Pietro dello Canigiano, tresorier di madama la 'mperatrice di Costantinopoli, uomo di grande intelletto e di sottile ingegno, grandissimo amico e di Salabaetto e de' suoi; col quale, sì come con discretissimo uomo, dopo alcuno giorno Salabaetto dolendosi, raccontò ciò che fatto aveva e il suo misero accidente, e domandogli aiuto e consiglio in fare che esso quivi potesse sostentar la sua vita, affermando che mai a Firenze non intendeva di ritornare.

Il Canigiano, dolente di queste cose, disse: « Male hai fatto, mal ti se'portato; male hai i tuoi maestri ubbiditi; troppi denari a un tratto hai spesi in dolcitudine: ma che? Fatto è, vuolsi vedere altro »; e, sì come avveduto uomo, prestamente ebbe pensato quello che era da fare, e a Salabaetto il disse; al quale piacendo il fatto, si mise in avventura di volerlo seguire.

E avendo alcun denaio e il Canigiano avendonegli alquanti prestati, fece molte balle ben legate e ben magliate, e comperate da venti botti da olio e empiutele, e caricato ogni cosa, se ne tornò in Palermo; e il legaggio delle balle dato a` doganieri e similmente il costo delle botti, e fatto ogni cosa scrivere a sua ragione, quelle mise ne'magazzini, dicendo che, infino che altra mercatantia la quale egli aspettava non veniva, quelle non voleva toccare. Iancofiore, avendo sentito questo e udendo che ben duemilia fiorin d'oro valeva o più quello che al presente aveva recato, senza quello che egli aspettava, che valeva più di tre milia, parendole aver tirato a pochi, pensò di restituirgli i cinquecento, per potere avere la maggior parte de' cinque milia, e mandò per lui.

Salabaetto divenuto malizioso v'andò. Al quale ella faccendo vista di niente sapere di ciò che recato s'avesse, fece maravigliosa festa e disse: « Ecco, se tu fossi crucciato meco perché io non ti rende'così al termine i tuoi denari... »

Salabaetto cominciò a ridere e disse: « Madonna, nel vero egli mi dispiacque bene un poco sì come a colui che mi trarrei il cuor per darlovi, se io credessi piacervene; ma io voglio che voi udiate come io son crucciato con voi. Egli è tanto e tale l'amor che io vi porto, che io ho fatto vendere la maggior parte delle mie possessioni, e ho al presente recata qui tanta mercatantia che vale oltre a duomilia fiorini, e aspettone di ponente tanta che varrà oltre a tremilia, e intendo di fare in questa terra un fondaco e di starmi qui, per esservi sempre presso, parendomi meglio stare del vostro amore che io creda che stia alcuno innamorato dei suo. »

A cui la donna disse: « Vedi, Salabaetto, ogni tuo acconcio mi piace forte, sì come di quello di colui il quale io amo più che la vita mia, e piacemi forte che tu con intendimento di starci tornato ci sii, però che spero d'avere ancora assai di buon tempo con teco; ma io mi ti voglio un poco scusare ch'e, di quei tempi che tu te n'andasti, alcune volte ci volesti venire e non potesti, e alcune ci venisti e non fosti così lietamente veduto come solevi; e oltre a questo, di ciò che io al termine promesso non ti rende'i tuoi denari. Tu dei sapere che io era allora in grandissimo dolore e in grandissima afflizione, e chi è in così fatta disposizione, quantunque egli ami molto altrui, non gli può far così buon viso né attendere tuttavia a lui come colui vorrebbe; e appresso dei sapere ch'egli è molto malagevole a una donna il poter trovar mille fiorin d'oro, e sonci tutto il dì dette delle bugie e non c'è attenuto quello che ci è promesso, e per questo conviene che noi altressì mentiamo altrui; e di quinci venne, e non da altro difetto, che io i tuoi denari non ti rendei; ma io gli ebbi poco appresso la tua partita, e se io avessi saputo dove mandargliti, abbi per certo che io te gli avrei mandati; ma perché saputo non l'ho, gli t'ho guardati. » E fattasi venire una borsa dove erano quegli medesimi che esso portati l'avea, gliele pose in mano e disse: « Annovera se son cinquecento. »

Salabaetto non fu mai sì lieto, e annoveratigli e trovatigli cinquecento e ripostigli, disse: « Madonna, io conosco che voi dite vero, ma voi n'avete fatto assai: e dicovi che per questo e per lo amore che io vi porto, voi non ne vorreste da me per niun vostro bisogno quella quantità che io potessi fare, che io non ve ne servissi; e come io ci sarò acconcio, voi ne potrete essere alla pruova. » E in questa guisa reintegrato con lei l'amore in parole, rincominciò Salabaetto vezzatamente a usar con lei, e ella a fargli i maggiori piaceri e i maggiori onori del mondo, e a mostrargli il maggiore amore.

Ma Salabaetto, volendo col suo inganno punire lo 'nganno di lei, avendogli ella il dì mandato che egli a cena e a albergo con lei andasse, v'andò tanto malinconoso e tanto tristo, che egli pareva che volesse morire. Iancofiore, abbracciandolo e baciandolo, lo 'ncominciò a domandare perché egli questa malinconia avea. Egli, poi che una buona pezza s'ebbe fatto pregare, disse: « Io son diserto per ciò che il legno, sopra il quale e la mercatantia che io aspettava, è stato preso da' corsari di Monaco e riscattasi diecimilia fiorin d'oro, de' quali ne tocca a pagare a me mille, e io non ho un denaio, per ciò che li cinquecento che mi rendesti incontanente mandai a Napoli a investire in tele per far venir qui; e se io vorrò al presente vendere la mercatantia la quale ho qui, per ciò che non è tempo, appena che io abbia delle due derrate un denaio, e io non ci sono sì ancora conosciuto che io ci trovassi chi di questo mi sovvenisse, e per ciò io non so che mi fare né che mi dire; e se io non mando tosto i denari, la mercatantia ne fia portata a Monaco; e non ne riavrò mai nulla. »

La donna, forte crucciosa di questo, sì come colei alla quale tutto il pareva perdere, avvisando che modo ella dovesse tenere acciò che a Monaco non andasse, disse: « Dio il sa che ben me ne incresce per tuo amore; ma che giova il tribolarsene tanto? Se io avessi questi denari, sallo Idio che io gli ti presterrei incontanente; ma io non gli ho. E il vero che egli ci è alcuna persona, il quale l'altrieri mi servì de' cinquecento che mi mancavano, ma grossa usura ne vuole; ché egli non ne vuol meno che a ragion di trenta per centinaio; se da questa cotal persona tu gli volessi, converrebbesi far sicuro di buon pegno, e io per me sono acconcia d'impegnar per te tutte queste robe e la persona per tanto quanto egli ci vorrà su prestare, per poterti servire, ma del rimanente come il sicurerai tu? »

Conobbe Salabaetto la cagione che moveva costei a fargli questo servigio, e accorsesi che di lei dovevan essere i denari prestati; il che piacendogli, prima la ringraziò, e appresso disse che già per pregio ingordo non lascerebbe, strignendolo il bisogno; e poi disse che egli il sicurerebbe della mercatantia la quale aveva in dogana, faccendola scrivere in colui che i denar gli prestasse; ma che egli voleva guardar la chiave de' magazzini, sì per poter mostrar la sua mercatantia, se richiesta gli fosse, e sì acciò che niuna cosa gli potesse esser tocca o tramutata o scambiata. La donna disse che questo era ben detto, e era assai buona sicurtà. E per ciò, come il dì fu venuto, ella mandò per un sensale di cui ella si canfidava molto, e ragionato con lui questo fatto, gli diè mille fiorin d'oro li quali il sensale prestò a Salabaetto, e fece in suo nome scrivere alla dogana ciò che Salabaetto dentro v'avea; e fattesi loro scritte e contrascritte insieme, e in concordia rimasi, attesero a' loro altri fatti.

Salabaetto, come più tosto potè, montato in su un legnetto con mille cinquecento fiorin d'oro, a Pietro dello Canigiano se ne tornò a Napoli, e di quindi buona e intera ragione rimandò a Firenze a' suoi maestri che co' panni l'avevan mandato; e pagato Pietro e ogni altro a cui alcuna cosa doveva, più di col Canigiano si diè buon tempo dello inganno fatto alla ciciliana. Poi di quindi, non volendo più mercatante essere, se ne venne a Ferrara.

Iancofiore, non trovandosi Salabaetto in Palermo, s'incominciò a maravigliare e divenne sospettosa; e poi che ben due mesi aspettato l'ebbe, veggendo che non veniva, fece che 'l sensale fece schiavare i magazzini. E primieramente tastate le botti, che si credeva che piene d'olio fossero, trovò quelle esser piene d'acqua marina, avendo in ciascuna forse un barile d'olio di sopra vicino al cocchiume. Poi, sciogliendo le balle, tutte, fuor che due che panni erano, piene le trovò di capecchio; e in brieve, tra ciò che v'era, non valeva oltre a dugento fiorini. Di che Iancofiore tenendosi scornata, lungamente pianse i cinquecento renduti e troppo più i mille prestati, spesse volte dicendo: « Chi ha a far con tosco, non vuole esser losco. » E così, rimasasi col danno e colle beffe, trovò che tanto seppe altri quanto altri. --



[ CONCLUSIONE ]

Come Dioneo ebbe la sua novella finita, così Lauretta, conoscendo il termine esser venuto oltre al quale più regnar non dovea, commendato il consiglio di Pietro Canigiano che apparve dal suo effetto buono, e la sagacità di Salabaetto che non fu minore a mandarlo a esecuzione, levatasi la laurea di capo, in testa a Emilia la pose, donnescamente dicendo: -- Madonna, io non so come piacevole reina noi avrem di voi, ma bella la pure avrem noi; fate adunque che alle vostre bellezze l'opere sien rispondenti --; e tornossi a sedere.

Emilia, non tanto dell'esser reina fatta, quanto dell'udirsi così in pubblico commendare di ciò che le donne sogliono essere più vaghe, un pochetto si vergognò, e tal nel viso divenne qual in su l'aurora son le novelle rose. Ma pur, poi che avendo alquanto gli occhi tenuti bassi ebbe il rossore dato luogo, avendo col suo siniscalco de' fatti pertinenti alla brigata ordinato, così cominciò a parlare: -- Dilettose donne, assai manifestamente veggiamo che, poi che i buoi per alcuna parte del giorno hanno faticato sotto il giogo ristretti, quegli esser dal giogo alleviati e disciolti, e liberamente, dove lor più piace, per li boschi lasciati sono andare alla pastura; e veggiamo ancora non esser men belli, ma molto più, i giardini di varie piante fronzuti, che i boschi ne'quali solamente querce veggiamo; per le quali cose io estimo, avendo riguardo quanti giorni sotto certa legge ristretti ragionato abbiamo, che, sì come a bisognosi, di vagare alquanto, e vagando riprender forze a rientrar sotto il giogo, non sola mente sia utile ma opportuno. E per ciò quello che domane, seguendo il vostro dilettevole ragionare, sia da dire, non intendo di ristrigneni sotto alcuna spezialità, ma voglio che ciascun secondo che gli piace ragioni, fermamente tenendo che la varietà delle cose che si diranno non meno graziosa ne fia che l'avrete pur d'una parlato; e così avendo fatto, chi appresso di me nel reame verrà, sì come più forti, con maggior sicurtà ne potrà nelle usate leggi ristrignere. -- E detto questo, infino all'ora della cena libertà concedette a ciascuno.

Comendò ciascun la reina delle cose dette, sì come savia; e in piè drizzatisi, chi a un diletto e chi a un altro si diede: le donne a far ghirlande e a trastullarsi, i giovani a giucare e a cantare, e così infino all'ora della cena passarono; la quale venuta, intorno alla bella fontana con festa e con piacer cenarono; e dopo la cena al modo usato cantando e ballando un gran pezzo si trastullarono. Alla fine la reina, per seguire de' suoi predecessori lo stilo, non ostanti quelle che volontariamente da più di loro erano state dette, comandò a Panfilo che una ne dovesse cantare. Il quale così liberamente cominciò:

Tanto è, Amore, il bene
ch'io per te sento, e l'allegrezza e 'l gioco,
ch'io son felice ardendo nel tuo foco.

L'abondante allegrezza ch'è nel core,
dell'alta gioia e cara
nella qual m'hai recato,
non potendo capervi esce di fore,
e nella faccia chiara
mostra 'l mio lieto stato;
ch'essendo innamorato
in così alto e raguardevol loco,
lieve mi fa lo star dov'io mi coco.

Io non so col mio canto dimostrare,
né disegnar col dito,
Amore, il ben ch'io sento;
e s'io sapessi, mel convien celare;
ché, s'el fosse sentito,
torneria in tormento:
ma io son sì contento,
ch'ogni parlar sarebbe corto e fioco
pria n'avessi mostrato pure un poco.

Chi potrebbe estimar che le mie braccia
aggiugnesser già mai
là dov'io l'ho tenute,
e ch'io dovessi giunger la mia faccia
là dov'io l'accostai
per grazia e per salute?
Non mi sarien credute
le mie fortune; ond'io tutto m'infoco,
quel nascondendo ond'io m'allegro e gioco.

La canzone di Panfilo aveva fine, alla quale quantunque per tutti fosse compiutamente risposto, niun ve n'ebbe che, con più attenta sollecitudine che a lui non apparteneva, non notasse le parole di quella, ingegnandosi di quello volersi indovinare che egli di convenirgli tener nascoso cantava; e quantunque vari varie cose andassero imaginando, niun per ciò alla verità del fatto pervenne. Ma la reina, poi che vide la canzone di Panfilo finita, e le giovani donne e gli uomini volentier riposarsi, comandò che ciascuno se n'andasse a dormire.


FINISCE L'OTTAVA GIORNATA DEL DECAMERON


EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Tutte le opere di Giovanni Boccaccio - Volume IV", a cura di Vittore Branca, Arnoldo Mondadori editore, Milano, 1976







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